L'esistenza comune, vita ecclesiae

Gesù, anche per tutti i non-discepoli che lo ascoltano, fa miracoli bellissimi, racconta parabole che fanno fare bella figura anche a loro («Il buon samaritano»), li indica come esempio di apertura al vangelo («la donna cananea»). Fa prediche appassionate e promesse emozionanti, apposta per loro.

L'esistenza comune, vita ecclesiae

da Teologo Borèl

del 25 marzo 2010

 

          Gesù, anche per tutti i non-discepoli che lo ascoltano, fa miracoli bellissimi, racconta parabole che fanno fare bella figura anche a loro («Il buon samaritano»), li indica come esempio di apertura al vangelo («la donna cananea»). Fa prediche appassionate e promesse emozionanti, apposta per loro. Poi li fa sedere per terra e gli dà da mangiare. E insegna ai suoi discepoli a fare altrettanto. A insegnare il vangelo, predicare la conversione, introdurre al battesimo, a incalzarli con il comandamento di agape e la speranza di una vita nuova nel grembo di Dio.

          Il ministero cristiano, così come la vita cristiana, si nutrono in primo luogo di immedesimazione radicale con la forma della vita quotidiana, nella quale Gesù Cristo si trova perfettamente a proprio agio. È il terreno fondamentale della nostra rivelazione su «chi è» veramente Dio. È l'humus della nostra fede testimoniale, è il campo dell'edificazione della ekklesia, che dovremmo imparare a riconoscere come un fiume che scorre sempre e non si ferma mai. Le sue sponde sono un alveo per dare direzione e forza, non altro: perché, infine, l'alveo è quello che il fiume si scava da sé, camminando incessantemente verso il suo punto di attrazione. Ossia, il Signore alla destra del Padre. Niente di meno di questo.

          Tutto il resto, è veramente un «sovrappiù». Intreccia e segue – doverosamente, persino – le vicende delle civiltà, degli imperi, delle invenzioni, del pensiero. Ma la forma della vita quotidiana – l'essere e l'avere in-comune dell'umano, su tutto il pianeta e in tutte le epoche – è lo splendido habitat di tutte le prestigiose storie della libertà umana degna dell'origine e della destinazione offerta da Dio. Il Verbo di Dio l'ha frequentata e abitata semplicemente per trent'anni, prima di accendervi il fuoco della verità di Dio intelligibile per tutto il pianeta, e per la storia passata e futura.

          Non fu certo per mancanza di coraggio per della propria identità. L'incarnazione, che fa abitare Dio nelle viscere della comune umanità dell'uomo, è una cosa più seria delle semplificazioni che le imponiamo. Nella rivelazione cristiana si ritaglia proprio qui - una volta per tutte e per sempre – lo spazio dei magnalia Dei e dei memorabilia hominum. Tutto l'apparire di Dio qui, è totalmente all'altezza della condition humaine (e qui si aggiusta definitivamente anche il tiro circa la natura hominis e la natura Dei, se non si vuole rimanere dilettanti dell'antropologia e della metafisica).

          Il vangelo non ha altro scenario. Guardate il regno di Gesù: un seme, una moneta, un tesoro nel campo, un figlio ritrovato, un debito sciolto, un credito che coglie l'attimo. Ascoltate la singolare escatologia di Gesù: «Quel giorno berremo un vino nuovo», «vado a preparavi un posto». In questo contesto si rimpicciolisce, agli occhi della meschinità dell'animo e della volontà di potenza, (dentro la religione come fuori dalla religione), l'orizzonte della grande storia (oggi mediaticamente stabilita) che fa la differenza agli occhi del mondo. Si allargano a dismisura, invece, i luoghi ove la storia si fa grande, se si hanno mente e cuore sufficientemente saldi per coglierne i segni e gli eventi, nella vita che ci accumuna.

          Il Magnificat, l'anticipazione della misura esatta della differenza, si scrive sullo stesso foglio delle Beatitudini. È a questa altezza, quella della vita quotidiana, che si vede esattamente, fin nei dettagli, l'evangelo al lavoro. Lontano di qui, la buona notizia dell'evangelo scivola verso l'ingenuità dell'anima bella, che pensa di vedere Dio in tutte le cose solo perché non vede più le cose; o approda al delirio della conquista del mondo, che scambia la rivelazione della signoria di Dio con il dominio della città dell'uomo.

          È una verità che non va oscurata. La custodia e l'enfasi di questa verità sacrosanta mi appare oggi come un compito storico per il ministero sacerdotale. Lo è sempre, naturalmente. Ma ora, la condizione presente del mondo e della Chiesa lo fa apparire come un kairos, del quale il semplice sacerdote è un punto nevralgico. Potrei anche dire il semplice sacerdozio, intendendo la condizione oggettiva del sacramento che chiede di essere esistenzialmente interpretata da un soggetto disponibile a verificarla.

          L'accettazione del ministero ordinato ha la sua grazia e il suo azzardo, indisgiungibili. Se accetti la prima, sai già che avrai anche il secondo. E viceversa. Inutile fare l'inventario tutte le sere, per vedere se conviene ancora. È un soldo da giocare, senza rimanere in perenne attesa della squadra migliore possibile. E il profitto va destinato ad altri già in partenza: non è un'impresa di famiglia, non è un investimento nella ricerca di sé.

          L'anima bella, totalmente occupata a rimanere fuori dal Mondo che c'è, può ritrovarsi a finire, silenziosamente e inavvertitamente, anche fuori della Chiesa che c'è, della quale deve farsi carico, con la sua dose di lacrime e sangue. Quelli di cui il Signore ha cura, e dei quali comanda di avere cura, sono tutti lì dentro, intricati nei cerchi concentrici della vita reale. La zizzania non è tutta fuori, il buon grano non è tutto dentro.

          Gli ingenui e gli ignavi, del buon grano sanno assai poco: la zizzania non la vedono neppure. I duri e puri strappano sempre anche il grano, giusto per liberarsi l'orticello loro. Il lavoro del seminatore è lavoro di campo, non di orticello. La differenza – decisiva – sta nel fatto che il buon seminatore semina sempre e dovunque grano buono, che riceve dal Signore. Dove si trova qualcuno che sposa, con tutti i suoi difetti e i suoi limiti, la causa del Signore della semina, lì è la Chiesa di sicuro. La Chiesa non è dove trovi il filo spinato tutto intorno, ma dove senti uscire il profumo del pane.

          «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». E non si parla soltanto del pane che nutre la sopravvivenza, come si sa. Naturalmente, vale simultaneamente e senza contraddizione, l'ammonimento: «ciascuno esamini se stesso». Perché è in questo modo che si entra nel mistero dell'amore di Dio, interrogandosi sulla propria disposizione a riconoscere e a praticare la sua giustizia.

Pierangelo Sequeri

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