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L'impegno del cattolico nella società

I fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla ‘politica', ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune.


L’impegno del cattolico nella società

da Attualità

del 14 maggio 2010

 

 

          Al n° 164 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa leggiamo: “Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzitutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso.

 

          Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s’intende ‘l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente’ (Gaudium et spes, n. 26). Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale.

          Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale”.

          Proprio partendo da questo principio, i cattolici non hanno mai rinunciato a partecipare alla vita sociale e politica nella storia dell’Italia, anche se da più parti sono stati ostacolati.

Un dovere inderogabile

          Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Christi fideles laici (n. 42), aveva ribadito che “i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla ‘politica’, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune”. Quindi partecipare alla vita politica-economica e sociale di una Nazione comporta per il cristiano un dovere inderogabile, derivante dalla cittadinanza e nel perseguimento di quell’obiettivo della giustizia che è proprio dello Stato. Oggi la società moderna pone seri interrogativi, soprattutto etici, al cattolico, che si impegna nella società.

          Il Cardinale di Venezia, Angelo Scola, così definisce il problema della società moderna: “A ben vedere il fenomeno stesso della globalizzazione è strettamente dipendente dal fatto che l’Occidente sta imponendo a tutto il mondo una concezione della felicità come puro prodotto progressivo della tecnoscienza. In questa visione delle cose non vi è più posto per l’anima, la risurrezione della carne, la vita eterna”. In questo senso il cattolico è chiamato ad essere ‘presenza viva’ nella società e non può derogare da questo suo compito.

          Il bene comune non è la semplice somma del bene dei singoli, è piuttosto il prodotto di una moltiplicazione, i cui fattori rappresentano i beni dei singoli individui (o gruppi).

Governare il nuovo mondo

          Di fronte a tali problematiche il cattolico come si pone davanti al nuovo contesto? Il prof. Vittorio Possenti, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia pone l’attenzione sul vincolo solidaristico e comunitario: “Occorre individuare il vero universale civile, che non è lo Stato, e forse neppure la politica, ma l’uomo con i suoi diritti e doveri… Ciò che tiene unita la società, la politica ed infine il mondo, sono la giustizia e l’amore, oltre e forse prima della libertà”.

          In questo senso il cattolico che sceglie di promuovere il bene comune è chiamato ad una scelta di campo: educare la persona umana, come nel 1964 enunciava Vittorio Bachelet: “formare l’uomo ad una lineare aderenza agli essenziali immutabili principi della convivenza umana e in pari tempo al senso storico, alla capacità cioè di cogliere il modo nel quale quei principi possono e debbono trovare applicazione fra gli uomini del suo tempo; vuol dire altresì rendere consapevole l’uomo della necessità di attrezzarsi spiritualmente, intellettualmente, moralmente, tecnicamente per divenire capace di attuare concretamente quei principi nella concreta convivenza umana in cui è chiamato a vivere”.

          Il problema principe del cattolico è ripartire dall’educazione, come sostiene il presidente nazione dell’Azione Cattolica Italiana, Luigi Alici, professore di Filosofia all’Università di Macerata: il compito del cristiano non è quello di fare, ma è quello di stimolare le persone, intessendo nuove relazioni educative, che permettono di riscoprire il senso del dono: “Non si può convenire sul fine se non siamo in grado di convenire su ciò che ci accomuna in origine, o almeno sulla legittimità e possibilità di tenere aperta la domanda; ci accomuna veramente non tanto ciò che scegliamo, ma ciò che ci mette in condizione di scegliere, al quale la fede riconosce un volto personale. La stessa semantica del ‘commune’, d’altro canto, ci rimanda ad un munus – dono e compito – non riducibile ad artificio contrattuale o ad una mera addizione di interessi (o peggio, di egoismi) individuali, in quanto attesta un orizzonte originario che custodisce e giustifica la stessa distinzione di pubblico e privato”.

Farsi prossimo

          La riscoperta del dono come bene comune comporta il ripensamento di alcune funzioni vitali della politica, che non deve escludere nessuno. L’inclusione di ciascuno nella sfera del bene comune comporta la necessità della prossimità: “Le povertà non si curano e la giustizia sociale non si raggiunge solo con la società civile e i suoi carismi (c’è un bisogno co-essenziale delle istituzioni, dello Stato su tutte), ma neanche senza la società civile, che lo Stato e il filantropo debbono aiutare (sussidiare, appunto) in modo da metterli nelle condizioni di poter operare efficacemente data la loro prossimità ai bisogni delle persone.

          Chi è prossimo delle persone e dei problemi (la società civile) conosce i bisogni, e chiede aiuto alla istituzioni per poterli soddisfare (a volte, invece, si assiste ad una sussidiarietà all’incontrario: l’istituzione fissa gli obiettivi, ‘fa il bando’, e poi le associazioni della società civile rispondono alla gara)”: afferma Luigino Bruni, professore all’Università della Bicocca a Milano. In questa prospettiva di bene comune entra in gioco la felicità, quale potere di ristabilire un nuovo legame sociale di ‘fraternità’, che per il cristiano raggiunge l’apice nella ‘agape’. È questo l’arduo compito a cui il cristiano è chiamato nella sua ‘missione civile’.

          Coinvolgere la società nell’ ‘agape’ significa scuotere la società dalle ‘passioni tristi’, che secondo Stefano Zamagni, professore all’Università di Bologna, generano malinconia e depressione, a cui i cattolici non possono assistere con passività e rassegnazione. La sfida da raccogliere per il ‘cristiano impegnato’ è quella di “di battersi per restituire il principio del bene comune alla sfera pubblica. Il bene comune deve poter trovare spazio di espressione ovunque, in qualunque ambito dell’agire umano, ivi compresa l’economia e la politica. Il messaggio centrale è dunque quello di pensare la carità, e quindi la fraternità, come cifra della condizione umana, vedendo nell’esercizio del dono gratuito il presupposto indispensabile affinché Stato e mercato possano funzionare avendo di mira il bene comune”.

          Infatti, Papa Benedetto XVI scrive nell’enciclica ‘Deus Caritas est’ (28) che “L’amore-caritas sarà sempre necessario, anche nella società più giusta… Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e aiuto. Sempre ci sarà solitudine”. In base a ciò il cattolico è chiamato a tracciare percorsi ed ad indicare sentieri nuovi nel quotidiano vivere per creare le condizioni di una vita buona: “Compito proprio dei cattolici è quello di elaborare e promuovere un’autentica cultura della vita, fondata su una visione non riduttiva dell’uomo e capace di generare un ethos largamente condiviso e dare forma a un’ampia progettualità politica, di dialogare con differenti ispirazioni ideali e di far crescere nell’intera società italiana la consapevolezza degli snodi decisivi che essa deve affrontare.

          Su questo terreno, la nostra ispirazione cristiana non è certo un limite, né un elemento da mettere tra parentesi per poter meglio interagire con gli altri, ma una risorsa quanto mai necessaria per il rinnovamento della politica e della qualità della vita civile nel nostro Paese.

Simone Baroncia

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