“L'importanza di chiamarsi Ernest”

Il ricco possidente Jack Worthing, tutore della giovane Cecily, per sfuggire alla noia della campagna e recarsi in città, si è inventato uno scapestrato fratello minore, Ernest, appunto, al quale deve badare. A Londra, invece, Jack si fa passare per Ernest e, in compagnia dell'amico Algy, passa le serate in divertimenti. Quando, però [...]

“L’importanza di chiamarsi Ernest”

da Quaderni Cannibali

del 15 gennaio 2003

 ... si innamora di Gwendolen, cugina dell’amico e figlia della terribile Lady Bracknell, decide di cambiare vita, ma non sa come dire all’amata la verità. Le cose si complicano ancora di più quando Algy, per conoscere Cecily, si fa passare per Ernest…

 

 

 Diretta da Oliver Parker, già regista di Un marito ideale, altro film tratto da un’opera di Oscar Wilde, è una commedia graziosa che punta molto sulla simpatia degli inaffidabili protagonisti maschili. Critica feroce alla società frivola e annoiata di fine ottocento (l'opera teatrale è del 1895), il film richiama, però, gli anni ’20 ed inserisce comportamenti e mode tipici dei nostri giorni con l’intento di venire incontro ai gusti degli spettatori. Questa operazione un pò furbetta, però, lascia perplessi se si considera che la grandezza di Wilde è di avere scritto opere che si possono ritenere attuali ancora oggi.

 

 

 Il cast è composto da attori affermati. Già protagonisti del film Another Country – La  scelta, dove si dividono lo schermo in modo equo, qui Rupert Everett (Algy) riesce a rubare la scena al protagonista Colin Firth (Jack). Con una recitazione forse un po’ troppo marcata, Everett è l’adorabile dandy che già impersonava magnificamente in Un marito ideale, mentre Firth è a suo agio nei doppi panni del morigerato e affidabile Jack e dello scapestrato e volubile Ernest. E’ comunque un vero peccato che le scene tra Algy e Lady Bracknell siano poche considerando che la nobildonna è impersonata dalla bravissima Judi Dench, mai sopra le righe.

 

 

Se Frances O’Connor è a suo agio nel panni di Gwendolen, questo non si può dire dell’americana Reese Witherspoon che impersona Cecily. Poco convincente come inglese, Witherspoon, come al suo solito, tende ad avere quella recitazione a “smorfiette” che ha fatto la fortuna di Meg Ryan, ma che su di lei ha il difetto di evidenziare ancora di più la faccia da chiuaua.

 

 

 Il film è carino, ma meno riuscito di Un marito ideale. E’comunque godibile e divertente e fa rimpiangere le commedie degli equivoci mai banali che oggi non si scrivono più. 

 

 

Francesca Pascuttini

http://www.miramax.com/importanceofbeingernest

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