C'è addirittura il gruppo “Ti chiedo la gentilezza di bestemmiare”: e in 12mila hanno cliccato “mi piace”. Tra i commenti: “Questa è una lotta di civiltà”.
Il Consiglio d’Europa in pratica l’ha definita “libertà d’espressione”, come si trattasse di libertà di parola e di stampa, una delle garanzie che ogni stato democratico deve ai propri cittadini, e quindi non solo a giornali, televisioni, radio; ed oggi anche a provider e internet. L’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo specifica che ogni persona ha il diritto “alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” e, per l’articolo 21 della nostra Costituzione, è un diritto di tutti “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ma questa libertà include anche il poter bestemmiare.
Provate a navigare su Facebook, e non soltanto tra i giovani, come ho fatto io qualche giorno fa. Constaterete che oltre alla bestemmia nuda e cruda, il termine Cristo – e lo scrivo con il dovuto rispetto – è facilmente usato come un intercalare, come fosse un “mamma mia” o sullo stesso piano “Santa pace!” o un “mio Dio”, che sentiamo con preoccupante regolarità. È vero, è un’abitudine diffusa quella di inserire nei nostri discorsi termini che non hanno un senso con quanto stiamo dicendo, che hanno perso il significato originario, che pronunciamo quasi senza rendercene conto; un intercalare che tra i giovani può significare l’appartenenza al gruppo, ad una comunità, ben diverso dall’intercalare per prendere tempo, come accade soprattutto a chi parla in pubblico, ma…
Ma torniamo alle bestemmie su Facebook. Vogliamo tirare in ballo il disagio giovanile, i problemi familiari, le carenze della scuola e dei professori, oppure per gli adulti lo stress per il lavoro e la crisi economica? Facile addossare la colpa a una di queste categorie: il problema comunque rimane. Per chi ha fede ma, ho il sospetto, anche per chi non ce l’ha. Non sono buddista, però mi darebbe fastidio sentire imprecare contro Budda o contro Allah anche se non sono musulmana. In Italia la blasfemia è considerata un illecito amministrativo, dal 1999 “chiunque pubblicamente bestemmia con invettive o parole oltraggiose contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309”. L’oltraggio nei confronti della Madonna non è sanzionabile perché non è ritenuta una divinità. Nei paesi musulmani, dove c’è la sharia, ossia la legge coranica, chi bestemmia è punibile con la pena di morte (in Afghanistan per impiccagione).
Ma torniamo nuovamente alle bestemmie su Facebook. C’è addirittura il gruppo “Ti chiedo la gentilezza di bestemmiare”: e in 12mila hanno cliccato “mi piace”. Tra i commenti: “Questa è una lotta di civiltà”, “Chi bestemmia crede nel progresso, non in un amico immaginario”. Altro commento: “Voi che bestemmia tirereste se il vostro corso di laurea fosse disorganizzato in modo estremo?” E la domanda, coerentemente, non poteva finire che con un bel bestemmione. Nella pagina, poco rispetto anche per Gesù e la Madonna, accanto a una serie di loro fotografie.
“Solo” 3.188 “mi piace” invece per il “Club della bestemmia”, sempre su Facebook, nato per quanti “non sanno dove esprimere la propria capacità artistica” in questa materia. E non è difficile indovinare come termina, anche in questo caso, l’invito a scrivere e a dare spazio alla propria creatività.
Ma i responsabili di Facebook che fanno? Anche per questo social network in Italia vale la sanzione amministrativa, ma niente più, per legge nessun oscuramento del profilo colpevole di blasfemia, nessuna chiusura dei gruppi. Sono lì, a testimoniare la nostra libertà d’opinione del nostro Stato super-democratico e politically correct e ad aspettare nuove adesioni. Eppure tempo fa un trentenne è stato estromesso da Facebook proprio per una bestemmia contenuta in una frase di insulti indirizzati ad una vicina di casa, a notte fonda troppo rumorosa. Già, ma i siti, allora, perché stanno ancora lì in rete? Semplice disattenzione o indifferenza?
Elisabetta Broli
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