News 2

La coppia nel progetto originario

Un itinerario verso i fondamenti biblici della spiritualità coniugale. Il significato dell'essere coppia e della sessualità alla luce del progetto originario di Dio. Essere unità nella relazione.


La coppia nel progetto originario

da Teologo Borèl

del 14 gennaio 2006

Questa riflessione sulla Parola delle “origini”, in particolar modo sui primi capitoli della Genesi (Gen 1-2), si sofferma sulle caratteristiche antropologiche fondamentali dell’essere umano, declinato nella sua differenziazione interna al maschile e al femminile, concentrandosi sulla relazione originaria tra l’uomo e la donna e il ruolo della sessualità all’interno del progetto originario di Dio.

 

Caratteristiche antropologiche

Secondo il primo racconto della creazione (Gen 1,1-2,4a) l’uomo è fatto «a immagine e somiglianza di Dio», cioè è pensato nella sua unicità – a differenza degli animali, fatti ciascuno secondo la loro specie – ma anche nella sua relazione e differenza interna: «maschio e femmina li creò»; solo insieme, maschio e femmina realizzano l’immagine e la somiglianza con Dio! Il divino dunque non è rappresentato sulla terra dall’individuo, ma dalla coppia, cioè dalla relazione. L’uomo rappresenta l’unica immagine di Dio sulla terra; per questo nel Decalogo (cf. Es 20,4) c’è il divieto di farsi immagini di Dio (aniconismo). Con Ireneo potremmo dire che solo «l’uomo è la gloria del Dio vivente»!

Nel secondo racconto biblico della creazione (Gen 2,4a-25) l’uomo (adam) è tratto dall’argilla, dalla terra (adamah) lavorata dalle mani di Dio, ma è anche “soffio vitale” (neshamah chaim) di Dio che lo rende un essere vivente. Dunque è contemporaneamente fragilità e grandezza.

Secondo il progetto originario di Dio le caratteristiche fondamentali dell’essere umano sono dunque:

1) la comunicabilità: l’uomo è creato come gli animali il 6° giorno, ma è l’unico che condivide con Dio la parola, questo segno che lo spinge verso l’altro, ad uscire da sé attraverso il dialogo;

2) la relazionalità: «non è bene che l’uomo sia solo», siamo fatti a “immagine e somiglianza” di Dio e Dio è amore, relazione, comunione nella diversità; anche la relazione, specie quella sessuale vissuta nell’amore, tende al superamento dell’egoismo e della solitudine, all’uscita da sé per incontrare l’altro nella comunione;

3) la creatività: “lavorare e custodire il giardino”, collaborare all’opera creativa di Dio, che continua con l’uso responsabile dei beni e la salvaguardia del creato; “dare il nome agli animali”, cioè partecipare alla signoria di Dio sul creato; ma soprattutto la procreazione, cioè trasmettere la vita ricevuta alle future generazioni.

In altre parole, dai racconti di creazione emerge che l’uomo è persona, creatura fatta di relazioni al cui centro c’è l’amore, l’energia che si instaura tra la persona e il suo altro, il principio religioso che lo spinge fuori di sé. Vale a dire che non possiamo capire chi è l’uomo e che senso ha la vita se non vivendo dentro le tre relazioni fondamentali: con Dio, con il mondo, con l’altro uomo. L’autore biblico ci dice che, quando va in tilt la relazione con Dio, anche le altre relazioni restano compromesse.

 

In principio era la relazione

«In principio» – cioè nel suo aspetto originario e fondamentale, non tanto in senso temporale – queste tre relazioni sono armoniche ed equilibrate, perché ciascuna creatura occupa il posto giusto all’interno del creato. Il peccato commesso dall’essere umano compromette questa relazionalità con Dio (Gen 3), con l’altro uomo (Gen 4) e con il mondo (Gen 6-9;11). Questa distruzione della relazione con Dio riguarda la perdita della somiglianza con Dio, mentre l’immagine di Dio rimane impressa comunque nell’uomo. Lo scopo della vita umana – dopo il peccato – è dunque quello di ricostruire la somiglianza perduta, cioè ritrovare la comunione con Dio, con gli altri e con il mondo.

Dio aveva detto che la solitudine è un male per l’adam: «Non è bello/buono che l’uomo sia solo…» (2,18); dopo l’impressionante serie positiva di cose belle/buone uscite dalle mani di Dio (cf. Gen 1) siamo per la prima volta di fronte a qualcosa che non è “buono”, ma è “male”! È come se la “prima edizione” di uomo fosse mancante di una parte fondamentale. Dopo vari tentativi per superare questa solitudine ontologica dell’uomo attraverso gli animali, Dio deve ancora constatare che – alla lettera – «non trovò un aiuto “come/contro” di lui» (Gen 2,20). Notiamo che questa esigenza di completezza dell’uomo emerge prima del peccato: la creazione della donna non è funzionale al superamento del problema del peccato, ma al raggiungimento di quella pienezza di gioia e felicità umana che la sola mascolinità non può dare all’uomo, pur immerso nell’armonia del creato e della relazione fondante con Dio.

Allora Dio crea la donna, e la pone accanto all’uomo affinché gli sia di “aiuto”. Al contrario degli animali la donna (ishah) può stare di fronte all’uomo (ish), può parlare con lui, perché è “simile” a lui. È come lui, cioè allo stesso livello, a pari dignità, ha un volto simile; ma è anche contro di lui, cioè è diversa (fisicamente e psicologicamente). Attraverso il dialogo, il confronto e anche lo scontro l’uomo e la donna possono aiutarsi ad uscire da se stessi, a crescere e maturare nella reciprocità. La “seconda edizione” dell’adam è in fondo quella – mai pienamente compiuta – che Dio vuole costruire (e continua a farlo) attraverso il dialogo, la reciprocità, per portare l’uomo alla comunione e all’unione.[1]

La donna viene tratta dalla costola di Adamo, segno non solo di uguaglianza ma anche di appartenenza e relazione: essa troverà se stessa solo al fianco di Adamo (da cui è stata tratta), e Adamo, grazie alla donna, uscirà fuori dal suo isolamento per entrare nella relazione. La donna cercherà il suo posto accanto all’uomo e Adamo cercherà la sua costola per ritrovare il bene e la salvezza nell’altro.[2]

Ma dire che la donna è stata tratta dall’uomo significa anche sottolineare la reciprocità, visto che anche l’uomo è tratto (cioè nasce) dalla donna (cf. Gen 4,1)! Inoltre è impossibile pensare all’uomo che nasce prima della donna: con quelle caratteristiche somatiche di complementarietà, è chiaro che uomo e donna sono stati pensati insieme!

 

Sessualità luogo del dialogo

La sessualità diventa, in questo nuovo progetto di uomo, il luogo massimo del dialogo, il luogo dove l’uomo e la donna, attraverso il corpo, escono da se stessi, dal proprio egoismo per entrare nella comunione con l’altro. È la sessualità vissuta nella verità e nell’amore del reciproco appartenersi. L’amore è infatti la sola forza in grado di sradicare dal di dentro e sino in fondo l’egoismo, la solitudine e la chiusura.

L’egoismo è infatti una cosa concreta, che penetra la persona fino in fondo; solo una forza altrettanto concreta come l’amore può contrapporsi ad esso. Ma deve essere una forza indistruttibile e inesauribile, come è appunto l’amore (cf. Ct 8,6-7). La sola coscienza teorica della verità o del bene non sono sufficienti a vincere l’egoismo (rischiano di essere delle illuminazioni esteriori); è necessaria un’incarnazione del vero e del bene, e questo si ha nell’amore, specialmente quello sessuale, che è l’unico amore che si vive allo stesso livello di unione, cioè nella reciprocità, omogeneità e uguaglianza tra i partners. Il matrimonio è, in sostanza, una vittoria sull’egoismo.

Interessante: solo dopo che l’uomo ha di fronte la donna arriva alla parola: «Questa è la volta (buona)!» (2,23). È la prima parola che l’uomo pronuncia, ed è un canto di meraviglia. Non basta “dare nomi” agli animali (cf. 2,19-20), occorre qualcuno che ti stia davanti, che stia al tuo livello (né sotto, come le bestie, né sopra, come gli uccelli). Il dialogo è possibile solo quando hai davanti un altro da te che però è simile a te, è fatto come te, un altro in cui puoi rispecchiarti ma che è diverso da te.

I due in realtà saranno una «carne sola» (2,24): come Dio è “Uno”, ma non solitario, così anche la coppia realizza nell’amore un’unità che è comunione di vita! Ciò si esprime massimamente nell’unione sessuale che, vissuta nel dono reciproco, è portatrice di unità e comunione profonda; un compito da costruire e realizzare giorno per giorno, non un dato di partenza. Questo, dunque, il progetto originario di Dio per l’uomo e la donna: né simbiosi o fusione, né separazione e rottura, ma comunione e unità di vita nelle reciproche differenze.

Questa unità di vita è espressa non solo dall’unione sessuale, ma anche dall’uscita dalla casa paterna; quando ci si sposa, si esce di casa, e questa è una parola rivoluzionaria rispetto alla società antica patriarcale e alla cultura del clan e della famiglia allargata. Inoltre, viene esclusa la poligamia, differenziando così Israele dai paesi e dalle culture circostanti.

Il peccato – come vedremo in un prossimo articolo – incrinerà queste caratteristiche compromettendo le relazioni fondamentali dell’uomo con Dio e con tutto ciò che lo circonda. Anche il progetto armonico di unità della coppia ne rimarrà drammaticamente segnato.

 

 

[1] Non dimentichiamo infatti che questi racconti fondatori della Genesi non raccontano tanto la preistoria della storia dell’umanità, quanto sono rivolti al futuro e indicano il sogno originario di Dio sull’uomo, il mondo e la storia, che il peccato dell’uomo ha in parte infranto. È il cammino dell’uomo verso il “giardino”, che rappresenta più un punto d’arrivo che di partenza.

[2] Per un approfondimento di queste tematiche vedi S.S. Averincev - M.I. Rupnik, Adamo e il suo costato. Spiritualità dell’amore incarnato, ed. Lipa, Roma 21998.

 

 

Luca Buccheri

http://www.dehoniane.it

Versione app: 3.15.3.0 (e8dc3b7)