Si moltiplicano gli abbellimenti, le luci, le proposte natalizie, ma quella Culla rimane sempre più vuota. Simbolo forse della nostra incapacità di dare "contenuti" al nostro festeggiare. Dobbiamo uscire , dobbiamo festeggiare, dobbiamo essere felici. Ma non siamo in grado di spiegare il motivo. Perché festeggiare?
All'approssimarsi della Natività, si rincorrono, come ogni anno, le polemiche sui festeggiamenti, visti come uno spreco inutile. Del resto, lo stesso Pontefice invita alla sobrietà per riscoprire il vero Natale. Forse proprio qui è il cuore del problema: si moltiplicano gli abbellimenti, le luci, le proposte natalizie, ma - complice forse la crisi delle nascite - quella Culla rimane sempre più vuota. Simbolo forse della nostra incapacità (specie di noi occidentali) di dare "contenuti" al nostro festeggiare. Dobbiamo uscire, dobbiamo festeggiare, dobbiamo essere felici. Ma non siamo in grado di spiegare e spiegarci il motivo. Perché festeggiare? "Per tradizione, perché si è sempre fatto": una risposta priva ormai di sapore e di mordente, che comincia anno dopo anno a starci sempre più stretta, aumentando solo la nostra insofferenza al Natale in particolare, ma anche a tutte le feste comandate. Non trovare il tempo di riflettere fa sì che non siamo più in grado di approfondire o dare spiegazioni che ci soddisfino. E la frenesia dei preparativi, degli amici da chiamare, degli auguri da scambiare, diventa un cliché logoro e consunto, di cui non si avverte più il bisogno e di cui anzi si inizia a provare fastidio e ripulsa, come di una mostra non richiesta di ostentazione e vanità.
In varie scuole d'Europa, sta diventando la Festa della Luce invernale, o festa delle Luci, per paura di discriminare chi non crede. "Buone feste" è il cartello, dal sapore un po' anonimo, che troneggia in modo quasi unanime alle porte dei negozi. Pur rischiando di perdere un po' il sapore familiare che i clienti affezionati delle piccole botteghe amano trovare dal negoziante di fiducia, ormai il politically correct detta legge ovunque.
Quattro settimane (sei per gli ambrosiani) di avvento in preparazione ad un Evento; ma l'Evento pare sia stato pressoché perso di vista, così che ci sembra - inevitabilmente - di essere in attesa di Godot, non dell'incontro con Gesù Cristo.
Veniamo all'annosa questione dei regali, croce e delizia di ogni Natale che si rispetti, almeno qui in Italia. E non è difficile né strano che sia così. Infatti, questa usanza prende evidentemente spunto dal modo in cui i romani, durante i Saturnalia (festa che si protraeva dal 17 al 24 dicembre, quale conclusione del lavoro nei campi, in attesa della successiva primavera), usavano scambiarsi i regali. Considerando che il 25 dicembre i Romani festeggiavano la divinità del Sol Invictus, non fu difficile unire le due usanze. Da una parte, fu lo stesso Giulio II a decidere il 25 dicembre quale data per il Natale, volendo identificare in Cristo il nuovo Sole della storia, datore di luce per l'umanità. Dall'altra, il gesto dei doni (non uno scambio però, o meglio, non alla pari) è ricordato nel Vangelo da parte delle misteriose figure dei Magi, venute da lontano per adorare il Re Bambino in una povera culla.
Dunque, innanzitutto, l'usanza dei regali non è direttamente contemplata o dovuta al Natale, ma derivata da un'altra festività, pagana.Tuttavia, sia in relazione al Vangelo, sia per fini educativi, sono personalmente ben lungi dalla demonizzazione dei regali per vari motivi.
Innanzitutto, a livello evangelico non si tratto di uno "scambio alla pari": i magi, pur ricchi, regalano solo delle cose; il Divino Infante si dona integralmente a ogni uomo. Di fronte a questo dono, tutti gli altri, impallidiscono! Quindi, basandoci sul racconto biblico, non dovremmo mai badare al regalo come un "do ut des", ma avere tutt'altra prospettiva, che è forse l'unica veramente liberante, cioè quella della gratuità, che è disponibile a ricevere un contraccambio, naturalmente, ma che non vede il contraccambio quale condizione imprescindibile senza la quale non si è disposti a prendere l'iniziativa di fare un dono.
Secondariamente, un dono è un presente, ricorda cioè la nostra presenza alla persona a cui lo facciamo: è un modo per mostrare riconoscenza, gratitudine, affetto a chi amiamo, rendendo questi sentimenti in un certo senso tangibili. Che sia acquistato oppure fatto a mano, garantisce comunque che siamo stati disposti a dare il nostro tempo per pensare al dono migliore per quella persona, per fare felice proprio lei.
In ultimo, ricevere un regalo, specie per i più piccoli, è il modo più semplice ed efficace di imparare la gratitudine e di sperimentare di "non bastare a se stessi", ma di aver bisogno gli uni degli altri (non solo per un regalo, ma per un conforto, un aiuto, un sorriso, confronto, un consiglio…). Così, dal ringraziare per un giocattolo gradito e magari atteso, si riuscirà a guardare con grato stupore anche un mattino di brina, un tramonto ad alta quota, lo sciabordio delle onde, la mano amata che stringe la tua, il braccio dell'amico che ti sorregge, il sorriso di un bambino, come le piccole grandi attenzioni che la vita spesso ci offre e di cui non ci accorgiamo perché troppo occupati a lamentarci.
Ecco perché non riesco a dire di evitare di farne. Non deve diventare uno stress o l'unico dei pensieri. Ma credo possa essere anche un modo, forse molto concreto, per fare ordine anche nelle nostre relazioni, nei nostri affetti e comprendere che ruolo abbiamo noi in essi e loro all'interno della nostra vita.
Pur cogliendo l'invito alla sobrietà, non bisogna mistificarlo. Il problema non sono i festeggiamenti. Confido nell'intelligenza delle persone, nella speranza che nessuno, per ostentazione, si riduca sul lastrico per festeggiare il Natale. Festeggiare con un pranzo o una cena in compagnia di amici e parenti che magari il resto dell'anno si fa fatica a vedere non credo possa essere negativo. Trovare del tempo anche per chi è meno fortunato, non è meno lodevole (a patto che non ci si ricordi di loro solo a Natale). Ma tutte queste tradizioni, se slegate dalla loro radice, che è la nascita di Cristo, rischiano di diventare sul serio insulse e sfoggiare solo vanità invece che richiamare la luce di Cristo, che è venuto in terra proprio a ricordarci la nostra dignità e a mostrarci quanto siamo preziosi agli occhi di Dio. È vero: ogni anno si ripete il rito, si ripetono le tradizioni, si ripetono le polemiche e si ripetono le "allergie" natalizie di tanti che, in un periodo non facile per molti, vedono in ciò solo ostentazione e vanità, con un pizzico di ipocrisia. E in realtà il rischio che sia veramente così è davvero alto; tuttavia è responsabilità di tutti e di ciascuno far sì che la festa per la nascita di Gesù non sia solo luci e strenne, ma si riveli motivo di riflessione, di crescita umana e spirituale, momento per riposare ma anche occasione per dare un senso alla fatica quotidiana. Non c'era posto, per Lui, a Betlemme. Ma pare che anche oggi faccia fatica a trovare posto. Non solo a Betlemme.
Maddalena Negri
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