La decisione taglia come una lama affilataLettera di un ragazzo ad un giovane pr...

Per abitare la luna ci vuole la decisione. Facile a dirsi ma la decisione taglia come una lama affilata. Taglia tra “prima e dopo”, tra “questo e quello”, tra “ciò che scegli e ciò che non scegli”. È facile scegliere una stella, è difficile lasciare tutte le altre... Io non so bene chi sia don Bosco...

La decisione taglia come una lama affilataLettera di un ragazzo ad un giovane prete

da Quaderni Cannibali

del 30 gennaio 2010

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          Quando ho detto a mia madre che volevo scriverti una lettera mi ha raccomandato di chiamarti “padre”. Penso che sia una sua reminiscenza di quei tempi nei quali ha frequentato i frati di cui ora non vuole sentir nemmeno parlare. Deve essere successa qualche storia strana, imprevista e un po’ dolorosa, presumo…

  

            Tu non mi conosci, ma poco importa… Sono un giovane come tanti, uno di quelli che sta sulla soglia della vita aspettando che passi un treno su cui salire. Sono uno di quelli che conoscono a memoria gli orari. E così so quando passano i treni, ma ogni volta non li prendo attendendo quello giusto. Temporeggio, aspetto… per avere delle certezze e delle sicurezze. E intanto il tempo passa inesorabile.

            Sai... ti invidio un po’ per il fatto che tu hai deciso nella tua vita (anche se mi chiedo come tu faccia ad essere sicuro di quello che hai scelto). Questo non significa che vorrei fare o essere -come dite voi- quello che fai o sei tu. Infatti allo stesso modo invidio un mio amico che ha deciso di sposarsi… anche se forse lo fa solo perché la sua ragazza è incinta, ma intanto ha deciso. Anche mio padre ha deciso… Sì, ha deciso di andarsene da casa. Nella mia breve vita ho capito che ci sono decisioni importanti, decisioni subite ed altre accolte, alcune dolorose altre attese, decisioni impreviste e altre studiate a tavolino. Comunque sia, ho capito che non si può non decidere qualcosa… Eppure io, ad ogni treno carico di futuro che passa, rimando. E così decido anch’io: decido di rimandare e di attendere ancora. Probabilmente ho paura… ma non so bene di che cosa anche se forse so perché.

          D’altro canto quel Dio che cerco affannosamente, ma con pochi risultati, quel Dio che non capisco bene che volto abbia e che vorrei cancellare dal mio orizzonte per stare un po’ più tranquillo (le domande di vita infatti sono sempre piuttosto intriganti), lo sento in questo momento estremamente deciso nei miei confronti. Forse per questo vorrei che avesse nella mia vita il valore di un soprammobile o fosse come uno di quegli oggetti “usa e getta”… Allo stesso tempo, però, lo sento un po’ “paralizzato”… Ho come l’impressione di avere io il coltello dalla parte del manico, è come se la maniglia della porta che mi spalanca l’infinito sia solo dalla mia parte. Sento Dio risoluto ad entrare nella vita di un indeciso cronico, ma allo stesso tempo sta sulla soglia e non sfonda la porta. Che sia una questione di libertà? Ma sai com’è… io non apro la porta agli sconosciuti -e siccome non lo frequento è tale-, non spalanco la mia esistenza senza avere delle sicurezze, non posso rischiare perché di vita ne ho una sola. Eppure ho come l’impressione che sto impedendo al sole di sorgere…

          Ci sono delle parole che ho letto su una bacheca in uno dei miei pochi passaggi in oratorio che mi hanno colpito e che mi han fatto vibrare dentro. Ho letto che siamo fatti per l’infinito e che il segreto della vita non sta nel possedersi ma nell’essere stretti da un abbraccio eterno. Se devo essere sincero, sono cose che penso anch’io ogni volta che vedo un cielo stellato: in quei momenti non solo vorrei toccare il cielo con un dito ma vorrei essere cielo, essere stella. Ho avuto lo stesso fremito anche la prima volta che una ragazza mi ha abbracciato forte: avrei voluto gridare al tempo di fermarsi per rendere infinito quel momento. Non so come dirtelo ma questa voglia di infinito mi scorre nelle vene e mi fa temere allo stesso tempo perché non riesco a contenerla e a decifrarla con la mia ragione che invece tutto vuole capire e motivare. Ho anche l’impressione di essere come una candela accesa in una stanza buia. Ma sono così geloso della mia luce che non ammetto concorrenti e così non accendo le candele che sono accanto a me. E intanto mi consumo. Se non mi decido di condividere la luce o di alimentarla so che mi spegnerò condannandomi e condannando altri al buio.

          Il desiderio di infinito, che mi pervade nonostante la mia sordità interiore, richiama in me il desiderio di totalità: non amo le mezze misure e non sopporto il compromesso di una vita a colori con tonalità sbiadite. Intuisco che la totalità centra con me. D’altra parte che senso avrebbe abbracciarsi con un braccio solo o baciarsi stando ad un centimetro di distanza dalla persona amata o guardarsi negli occhi con gli occhiali da sole…! Sì, la totalità e la radicalità mi appartengono ma mi fanno anche tanto spavento perché dare un abbraccio è fare una promessa, e dare un bacio è decidere d’appartenere alla persona amata, e guardarsi negli occhi significa avere il coraggio della verità. Intuisco che solo il fascino di un abbraccio, di un bacio, di uno sguardo possono farmi vincere la paura della totalità. Solo l’attrazione per la bellezza può salvarmi da una vita fatta di sterili nostalgie. A proposito… non è certamente mia intenzione vivere di nostalgie!

          Mi han detto che la tua vita dovrebbe essere fotocopia del tuo santo fondatore. Io non so bene chi sia don Bosco… Mi sono informato solo una volta quando trovai in soffitta un quadro portato da mio nonno negli anni ’50 da Torino. Allora chiesi a mia nonna chi fosse qual santo e mi disse che era uno che accendeva i desideri dei giovani. La sua, evidentemente, era una frase costruita a tavolino per cercare di farmi piacere i santi. Non gliel’ho mai detto ma ci riuscì con quelle parole a farmi piacere almeno don Bosco. E per un po’ di tempo ho fatto di quell’espressione “accendere i desideri dei giovani” il mio motto di animatore in fasce. Poi lasciai l’animazione e quindi anche quella frase ma non la certezza che i desideri, quelli che hanno il gusto dell’eternità, sono come una grande scala che ti permette di toccare la luna senza però poterla abitare. Per abitarla… ci vuole la decisione. Facile a dirsi ma la decisione taglia come una lama affilata. Taglia tra “prima e dopo”, tra “questo e quello”, tra “ciò che scegli e ciò che non scegli”. È facile scegliere una stella, è difficile lasciare tutte le altre…

           Ora più scrivo e più mi accorgo che mi sto rivolgendo a te come ad un padre. Te lo dico un po’ per farti contento, dato che si coglie nei tuoi occhi il desiderio di esserlo, un po’ perché mi accorgo di essere figlio. A te come padre chiedo ai aiutarmi ad accendere i desideri che sono ancora latenti in me facendoli diventare decisione, libera ma determinata risoluzione. I desideri abortiti a causa di una mancata decisione diventano illusioni e le illusioni ingannano gli occhi e fanno male. Aiutami a salire su uno di quei treni che passano nella mia vita altrimenti rischio di fare della mia esistenza solo una bella sala d’attesa.

          Ho l’impressione di non avere fede ovvero di non aver ancora incontrato Dio. Ti dicevo che lo sto facendo aspettare. Ma io… posso aspettare? Posso aspettare che la mia vita abbia il sapore dell’infinito? Posso aspettare che la mia vita diventi amabile? Posso aspettare di dare sapore ad ogni attimo della mia vita? Quanto posso aspettare ancora?

          Non è vero che Dio non c’è: sono io che sono andato da un’altra parte. Dio mi attende lì dove abita la totalità, lì dove abbandonarsi non è una condizione subita ma una scelta di appartenenza. Dio mi attende lì dove l’appartenere a qualcuno è una gioia incontenibile: è bello sapere di avere qualcuno a cui appartenere! È una cosa da Dio svuotarsi per lasciarsi abitare da chi ci ama. Dio mi attende lì dove il prendersi cura di sé passa attraverso il dimenticarsi. Parole, parole…. Sono bravo a parole!

          Forse è questo il mio problema… Mi voglio appartenere, voglio essere mio, voglio avere delle sicurezze, voglio avere successo... Ma caro don, il tuo don Bosco che sicurezze aveva se non la fiducia in Dio?

          Forse è ora che anch’io mi arrischi a prendere il primo treno che passa nella certezza che Dio è il capotreno di un viaggio di cui non conosco né le tappe e né l’itinerario, ma solo la meta: vedere i miei desideri diventare decisioni di vita, decisioni da perseguire a tutti i costi.Così ha fatto Gesù.

Per ora termino qui.

Lo so, questa è una lettera incompiuta. Ma lo è così anche la mia vita.

Bye!

 

I.B.

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