La denatalità è frutto di una società che discrimina

Molte cose si potrebbero fare per rimettere la maternità al centro della felicità comune...

La denatalità è frutto di una società che discrimina

 

1.39 figli per donna.

I numeri sulle nascite sono un po' impressionanti: è difficile immaginare che una donna abbia 1 figlio e un terzo, o poco più, di un altro. Comunque, nella sua brutalità, questo è il numero medio di figli per donna, nel nostro Paese. Nel 2014 ci sono state 503mila nascite e 598mila decessi. C'è stato solo un anno in cui le cose sono andate peggio, ma era il 1917 ed eravamo in guerra.

Anche per questo siamo un Paese che invecchia. O meglio, stiamo diventando un Paese di uomini e donne che invecchiano soli.

 

Le conseguenze già si vedono e, se non si inverte il trend, diventeranno gravissime: troppo pochi giovani per accudire gli anziani; un sistema pensionistico insostenibile (ci vorranno molti anni perché si passi dal sistema retributivo al contributivo, più sostenibile ma anche più penalizzante); sclerotizzazione culturale e sociale e difficoltà ad aprirsi all'innovazione; rattrappimento del mercato domestico, ancora molto importante per il nostro sistema industriale...

Dietro quel numero che fotografa la denatalità ci sono tanti fattori, che potremmo definire culturali o di valore: giovani uomini e giovani donne che sembrano incapaci di fare scelte definitive, come il buon vecchio "mettere su famiglia"; che si illudono di essere persistentemente giovani; che giocano la loro vita sul successo sociale - soprattutto in termini di carriera - più che sul dono e sul prendersi cura.

 

«L'uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l'altro». Così scrive Papa Francesco nella Laudato Si' (n. 162).

 

Per questo, anche il tema della denatalità si può inserire nella prospettiva di quella nuova "ecologia umana" che Francesco ha collocato come tema portante della sua enciclica. Un'ecologia che implica il rispetto dei diritti e il prendersi cura, da parte della società, dei suoi soggetti deboli, fragili.

 

Le donne sono soggetti deboli? Ovviamente dipende. Ma di fronte alla prospettiva - e al desiderio - di fare famiglia e di mettere al mondo dei figli, direi proprio che sì, lo sono.

 

Ce lo dicono alcuni dati, a cominciare dal fatto, secondo l'Istat, le donne italiane di figli vorrebbero farne almeno due. Lo pensano, lo dicono, ma non lo fanno. Le donne francesi invece lo fanno, anche quelle scandinave. Perché loro sì, e le italiane - le donne che vivono nel paese che più di ogni altro produce retorica sulla famiglia - invece no? Non è solo una questione di culture giovanili o generazionali, che probabilmente non cambiano molto tra un Paese europeo e l'altro e su cui è difficile intervenire. È anche un problema di diritti e di politiche, su cui invece intervenire si può.

Diritto al lavoro (la percentuale di donne che lavorano è molto più bassa in Italia che negli altri Paesi), ad un lavoro non precario (la percentuale dei precari in Italia, già alta di per sé, lo è molto di più tra le donne che tra gli uomini), ad un lavoro pagato il giusto (la donne guadagnano meglio degli uomini e questo è forse l'unico problema che condividiamo con gli altri paesi europei).

Diritto ad un welfare che funziona, e che ti sostenga quando la vita si fa più difficile. Diritto a politiche familiari degne di questo nome. Diritto a politiche di conciliazione tra lavoro e casa, non poi così irrealizzabili in epoca di computer, cloud e skype.

 

In Germania, su questo stanno investendo. Perché anche in Germania si fanno pochi figli e sembra che il motivo sia semplicemente che lì non ci sia proprio il desiderio di metterli al mondo. Perciò il Paese ha reagito su due piani: da una parte conciliazione tra lavoro e vita privata e più servizi. Dall'altra apertura all'immigrazione qualificata, aprendo ai rifugiati, ma soprattutto ai giovani talenti che arrivano da ogni parte del mondo. Italia compresa.

D'altra parte, il lavoro delle donne con è solo una questione di diritti, ma anche di sviluppo economico. Secondo il McKinsey Global Institute, se nel mondo del lavoro le donne avessero gli stessi ruoli degli uomini, nel 2025 il Pil annuo globale aumenterebbe di 28mila miliardi, cifra che corrisponde al 26% del Pil globale. Papa Francesco più volte ha posto il tema del ruolo delle donne nella Chiesa, ma soprattutto nella società. Nell'aprile scorso è perfino intervenuto su un tema specifico come quello della disparità salariale («Perché per le donne è scontato che devono guadagnare di meno degli uomini? No, lo stesso diritto! La disparità è un puro scandalo»). E ha denunciato il persistente maschilismo di chi ancora oggi sostiene che la crisi della famiglia tradizionale e la diminuzione dei matrimoni, è dovuta all'emancipazione femminile. «Così facciamo la brutta figura di Adamo, che per giustificarsi di aver mangiato la mela ha risposto al Signore: "Lei me l'ha data"». (29 aprile 2015)

 

Insomma, quel numero, 1,39 figli per donna, è un richiamo a tutta la nostra società: se vogliamo avere un futuro, dobbiamo prenderci cura delle donne, oltre che della famiglia. Rispettandone i diritti e sostenendole. Alle "mamme italiane" abbiamo chiesto troppo ed è ora di pensare a come rendere la maternità compatibile con la vita di oggi e come farla ritornare fonte di felicità e di benessere per tutti.

Perché un Paese che invecchia è un Paese che avvizzisce. E un po' più di solidarietà - e di giustizia - nei confronti delle donne, conviene a tutti.

 

Paola Springhetti

http://www.vinonuovo.it

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