La fede e i sacramenti

I sacramenti esistono perché accada sempre di nuovo questo grande mistero in cui cielo e terra si toccano e si compenetrano: Dio si coinvolge nella carne dell'uomo e l'uomo viene coinvolto nella vita e di Dio. Non bisogna cioè pensare separatamente la fede e i sacramenti, ma riconoscere il carattere sacramentale della fede.

La fede e i sacramenti

 

           La fede non è solo credenza, ma appartenenza. Venire alla fede è conoscere Gesù, riconoscerlo come Parola definitiva di Dio, seguirlo e imitarlo come unico Maestro, conformarsi e immedesimarsi ai suoi lineamenti di Figlio per raggiungere la statura di figli di Dio. La fede è cammino di fede, itinerario che coinvolge corpo e anima, intelligenza e volontà, affetti e legami, itinerario che ha inizio nell’incontro personale con Gesù e si sviluppa in intima amicizia con Lui.

          Trattandosi di un cammino irriducibile alla semplice conoscenza della verità e alla pura obbedienza alla legge, ecco delinearsi il carattere sacramentale della fede. L’«economia sacramentale» della fede – così ne parla il Catechismo (CCC II,1) – trova le sue radici nel mistero dell’Incarnazione, laddove «il Verbo invisibile si è fatto visibile» (Pref. Nat. II) e «la Parola si è fatta carne» (Gv 1,14). Lì si è realizzato un vero “sposalizio” fra la divinità e l’umanità, è accaduto quel «misterioso scambio» (Pref. Nat. III) per il quale il Figlio di Dio ha assunto tutta la debolezza dell’uomo, affinché ogni uomo assumesse la dignità di figlio di Dio.

          Ora i sacramenti esistono proprio per questo: perché accada sempre di nuovo questo grande mistero in cui cielo e terra si toccano e si compenetrano: Dio si coinvolge nella carne dell’uomo e l’uomo viene coinvolto nella vita e di Dio. La lingua stessa testimonia di questo misterioso incontro d’amore: significativamente, il latino sacramentum traduce il greco mysterion!

          La Chiesa sa molto bene che la fede non è relativa al pensiero o all’azione prima di riguardare il cuore e la carne. Un’antichissima esortazione di sant’Ignazio di Antiochia è in tal senso davvero sorprendente: «rivestitevi di umiltà e rinascete nella fede che è la carne del Signore. Rinnovatevi nella carità che è il sangue di Gesù Cristo». Come dire: la fede non è un fatto mentale, ma eucaristico! Non bisogna cioè pensare separatamente la fede e i sacramenti, ma riconoscere il carattere sacramentale della fede. Può sembrare difficile, ma in verità è molto ragionevole: come la vita naturale, prima di sbocciare in coscienza e amore, viene anzitutto dal corpo, dal sangue e dalle cure di una madre, analogamente la vita soprannaturale, che pone in noi la sapienza e la bontà di Dio, ci è comunicata nel corpo donato, nel sangue versato e nel sacrificio d’amore di Cristo.

          La fede è strettamente legata ai sacramenti, perché la fede è generazione di fede: non un insieme di verità da credere, ma una vita da accogliere, una vita che sprigiona tutta la sua bellezza, bontà e verità per il fatto che accade presso una libertà che la accoglie. Ecco perché la Chiesa qualifica la fede come “virtù teologale”, cioè come partecipazione a un modo di essere di Dio: perché essa è un abito interiore che origina da Dio, non dall’iniziativa dell’uomo; è dono effuso, non capacità acquisita; è frutto della grazia, non esito di uno sforzo.

Facile la verifica esistenziale:

          1. Esistono molte religioni e gli uomini sono generalmente religiosi religioni, ma di fatto la fede cristiana non si dà come sviluppo di un sentimento religioso, ma come effetto della Parola e del Battesimo, di un annuncio e di un rito;  

          2. a convincersi che la fede, prima che corrispondenza alla grazia è una grazia essa stessa, ci si può chiedere: chi trova semplice riconoscere, consentire e abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio? chi ha il coraggio di ritenersi semplicemente libero dalla lotta contro il dubbio, la sfiducia, l’incredulità? e chi può dire di essere naturalmente inclinato a quelle che il Catechismo elenca come le principali conseguenze della fede, e cioè «credere in Dio e amarlo con tutto il cuore», «conoscere la grandezza e la maestà di Dio», «vivere in rendimento di grazie», «riconoscere l’unità e la dignità di tutti gli uomini», «usare rettamente le cose create», «fidarsi di Dio in ogni circostanza, anche nelle avversità» (CCC 222-227)?

          Certo, la fede si innesta nella dimensione di fiducia che vi è in ogni uomo, ma poi la supera in tutti i sensi: la purifica e la trasforma, la ridona a se stessa e la porta oltre se stessa. Fino al punto da capovolgere tutte le più elementari sicurezze mondane: ciò che prima contava molto, nella fede non ha più valore; ciò che era presente fino ad essere ingombrante, nella fede diventa perfino «spazzatura» a confronto della conoscenza di Cristo (Fil 3,8); e ciò che prima alimentava e assicurava la vita (ma non poteva evitare la morte) nella fede cede il passo al cibo più sostanzioso e alla roccia più sicura del vivere la Parola (che è morte sicura dell’uomo vecchio, ma anche ingresso in una vita che non finisce). Per questo Gesù diceva: «mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34), e traduceva per noi in termini sacramentali: «perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55).

          Vale la pena insistere ancora un poco sulla grazia della fede, anche per non mancare di gratitudine nei confronti di Gesù, che ci ha ottenuto tale grazia a caro prezzo: l’umiltà della sua incarnazione e l’umiliazione della sua passione. Per rendere un minimo l’idea, nel tempo d’Avvento la Chiesa legge ogni anno una bellissima pagina di sant’Ireneo che interpreta la fede come un delicato e drammatico adattamento di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio: «se l’uomo riceverà senza vana superbia l’autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato, cioè da Dio, l’onnipotente, l’artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà nell’amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto… Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre». L’opera di Dio appare qui talmente grande, che davvero la fede non può che essere l’obbedienza della fede, cioè un progressivo adattamento alla mentalità di Dio e una sempre più profonda assimilazione al Suo modo di essere e di amare.

          La logica della fede è allora una sola cosa con la logica sacramentale, perché ciò che si dice e che si fa nella liturgia non si orienta a chiudere Dio nelle nostre misure, ma a dischiudere l’uomo al mistero di Dio. nelle cose del cuore, di Dio come cuore dell’uomo, ci sono cose che non si possono sapere prima di viverle, cose di cui non si può avere intelligenza senza una qualche iniziale esperienza, né averne una vera comprensione senza alcuna iniziazione. Nella fede, l’obbedienza suscita l’intelligenza!   In altre parole, essendo una partecipazione ai sentimenti del Figlio, la fede ha una vitalità e un’energia, una logica e una pedagogia, un modo di comunicarsi e di propagarsi del tutto originali, la cui sorgente risiede nei sacramenti. Il Catechismo, con bellissima espressione, dice che «nella Liturgia lo Spirito Santo è il pedagogo della fede»: è Lui che «risveglia la fede, la conversione del cuore e l’adesione alla volontà del Padre», è Lui che dona «l’intelligenza spirituale della Parola di Dio» e «ricorda ciò che Cristo ha fatto per noi» (CCC 1099.1098.1101.1103). Per questo, se i sacramenti sono “sacramenti di Cristo” e “sacramenti della Chiesa”, nondimeno sono anche chiamati «sacramenti della fede»: non solo infatti «presuppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono» (CCC 1123). Da questo stretto legame fra fede e sacramenti deriva la formula tradizionale latina «lex orandi, lex credendi», che significa: «la legge della preghiera è la legge della fede, la Chiesa crede come prega» (CCC 1124).  

          Alla luce di queste considerazioni, dovrebbe crescere la convinzione che la fede matura di Eucaristia in Eucaristia e di Confessione in Confessione, cioè man mano che il cuore si purifica dal peccato e cresce nella vita di grazia, si scioglie dalle catene dell’orgoglio e si fa docile all’azione dello Spirito. E dovrebbe approfondirsi la convinzione, di fronte alle prove della vita, che la grazia del sacramento del Matrimonio per gli sposi, come la grazia dell’Ordine per i sacerdoti, rende possibile vivere i doveri del proprio stato anche quando tutto sembra superiore alle nostre capacità di comprensione e sopportazione, alle risorse della nostra volontà e del nostro coraggio: quando si tratta della volontà di Dio, la fede scavalca ogni ostacolo, perché fa spazio, nel cuore della nostra debolezza, alla potenza dell’amore di Dio. La fede, alimentata dai sacramenti, permette al credente di vivere il paradosso di san Paolo: «quando sono debole, allora sono forte» (2Cor 12,10).

Due suggerimenti per crescere nella fede.

          1. Vivere la Comunione eucaristica con ogni confidenza, consapevoli di ricevere la Grazia e di poter ottenere le grazie: un Dio che non dona meno di stesso, come non ci donerà ogni altra cosa buona che non contrasti la sua santa volontà?

          2. Mostrare ai ragazzi la ragionevolezza e la preziosità dell’obbedienza di fede, mettendoli in guardia dal rischio mortale che si corre nel seguire la propria convinzione e il proprio sentimento immediato: confidando in stessi piuttosto che in Dio, ascoltando le parole del mondo invece che la Parola di Dio, saziandosi di ogni altro pane piuttosto che del pane eucaristico non si diventa liberi, si diventa schiavi!

 

 

Don Roberto Carelli

 

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