La luce dentro al tunnel di Anita Marton

Un anno fa il mondo non era tanto diverso da quello in cui siamo oggi. Mancano solo i canti dai balconi e i post motivazionali. Il “finirà presto” si è trasformato in un “ma quando finisce?” a cui si tenta di dare una risposta approssimativa.

La luce dentro al tunnel 


 

di Anita Marton

 

Un anno fa il mondo non era tanto diverso da quello in cui siamo oggi. Mancano solo i canti dai balconi e i post motivazionali. Il “finirà presto” si è trasformato in un “ma quando finisce?” a cui si tenta di dare una risposta approssimativa. Come se fossimo tutti dei bambini impazienti di arrivare al mare che chiedono costantemente ai genitori quando si arriva, e il tempo sembra non passare mai. Spesso si ironizza sul modo in cui racconteremo alle generazioni future come abbiamo vissuto questa pandemia, e molti saranno costretti ad ammettere di aver trascorso le proprie giornate su Netflix o su Tik Tok. Altro che trincea e rifugi antiaereo. Sappiamo bene, però, che non siamo né i primi né gli ultimi a dover passare attraverso un periodo difficile. Bisogna resistere, in un modo o nell’altro, rimboccarci di nuovo le maniche e aprire bene gli occhi e il cuore in cerca di una luce anche dentro a questo tunnel.

 

Una ragazza appunta sul suo diario queste parole “Se sopravviverò a questo tempo e allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà pur credermi. Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile1.  È il luglio del 1942, Etty scrive dalla sua stanzetta ad Amsterdam, mentre la guerra sta portando via con pezzi sempre più grandi della sua vita, della sua libertà, e le restrizioni per chi è ebreo, come lei, diventano di giorno in giorno più rigide. Eppure, in mezzo a tutto questo dolore e a questo male che le cresce attorno, Etty è capace di trovare la luce anche se chiusa nella sua piccola stanza. Etty ha un cuore libero, rivolto sempre al bene, anche quando si trova nel campo di Westerbork, prima di raggiungere Aushwitz; scrive: “io ho una qualità così infantile, che ogni volta mi fa trovare bella la vita e che forse mi aiuta a sopportare tutto così bene1. Non perde mai l’occasione per rivolgere il proprio sguardo di bene e di accoglienza verso chi incontra: “io voglio solo esserci 1. La luce della sua esistenza, fatta da piccole cose quotidiane, come può essere la vita di ciascuno, si irradia per le strade di Amsterdam. Nel suo diario, che va dal marzo del 1941 alle ultime lettere che spedisce dal campo di Westerbork nel settembre del ’43, si scopre la vita di una giovane donna piena di Dio in quello che dice, in quello che fa, in ciò che pensa, fedele alla sua scelta di non camminare da sola. Sfogliandone le pagine, risulta chiaro come le cose che scrive siano tutte, e sempre più, un’unica, lunga chiacchierata con Dio, cuore a cuore, libera e sincera, come se stesse parlando con un carissimo amico. “Signore, fammi vivere in un unico grande sentimento – fa’ che io compia amorevolmente le mille piccole azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore.” 1 confida, e conclude con la sua immancabile concretezza che tanto ce la fa sentire vicina: “Oggi inghiottirò venti pillole di chinino, non mi sento proprio tanto bene a sud del mio diaframma 1

 

Nel mezzo del cammin di nostra vita” ci ritroviamo in mezzo a una “selva oscura”, fatta di lockdown, telegiornali che somigliano a tanti necrologi, immagini di sofferenza, notizie di guerra, fatta di diritti negati, incomprensioni, odio, pregiudizio, incoerenza; “la diritta via” è smarrita. Dante, nella sua profonda tristezza dovuta all’ esilio forzato, lontano dalla sua cara Firenze, strappato via per sempre dal luogo che ha sempre chiamato “casa”, ha scritto una delle opere più grandi di tutti i tempi. E fin dal primo verso della sua Divina Commedia, invita tutti noi, che siamo brancolanti nel buio, a prendere parte al suo viaggio. Lo sappiamo cosa ci aspetta: un lunghissimo inferno nero, un alto purgatorio, difficile da valicare, prima di raggiungere la vera luce del paradiso. Per fortuna non siamo da soli: ecco che, immersi nella tenebra, Virgilio ci prende per mano, accompagnandoci verso la luce. Come molti altri stanno facendo, anche il professor Alberto Boldrini2 ha deciso di aiutarci a capire un po’ meglio la storia raccontata dal Poeta. Grazie alle sue chiacchierate di “28 minuti con Dante”, ci porta a spasso per i canti della Divina Commedia, oltrepassando le allitterazioni e i chiasmi, spingendoci ad andare più in profondità per scoprire il messaggio che Dante ci ha lasciato dentro le sue terzine.

 

Quello che fa il professor Boldrini non è forse una luce che ci può aiutare a vedere meglio? Così come la testimonianza di Etty, le parole di Dante, la presenza di Dio, la vicinanza di tanti amici e persone care? Lasciamoci accompagnare dai tanti Virgilio che ci sono posti accanto, da soli non riusciremmo a fare un passo tra i rovi di “esta selva selvaggia e aspra e forte”. Non è un viaggio semplice, ma è un cammino necessario per poter essere, a nostra volta, luce per i molti che si abbandonano all’ oscurità. Nessuno si salva da solo, nemmeno il Sommo Poeta. 

 

 


1 Etty Hillesum, Diario 1941-1943, traduzione di Chiara Passanti, Gli Adelphi, Milano 1996.

2 Alberto Boldrini, docente di lettere presso il Collegio Salesiano Astori, ogni lunedì è in diretta alle 21:15 sul suo profilo Instagram, @prophofficial, per “28 minuti con Dante”.

 

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