L'intuizione del popolo è già stata autorevolmente interpretata e affettuosamente restituita alla sua verità emozionante. «Vescovo e popolo», è stata l'espressione con la quale il Papa Francesco ha voluto indicare l'icona di riferimento di questo nuovo corso del papato.
Un popolo così bello, che presidia affettuosamente il luogo di nascita del nuovo Papa, fin dall’inizio delle doglie della Chiesa, non l’avevamo ancora visto. I nostri rappresentanti in piazza san Pietro hanno voluto esserci, già nella consueta formazione di ascolto e di dialogo, come quando il Papa appare alla finestra del suo appartamento. Hanno mandato un messaggio inequivocabile, al quale ci associamo con convinzione. Ormai una nuova storia del papato, sapientemente preparata dallo Spirito Santo e modellata dagli illuminati predecessori del Papa Francesco, con esperimenti e ritocchi, è incominciata. Il papato vivrà ormai in presa diretta con il popolo di Dio, ben deciso a guidarlo nel Signore e a farsi accompagnare nel Signore. Lui li confermerà nella loro fede, loro lo confermeranno nel suo ministero.
L’intuizione del popolo è già stata autorevolmente interpretata e affettuosamente restituita alla sua verità emozionante. «Vescovo e popolo», è stata l’espressione con la quale il Papa Francesco ha voluto indicare l’icona di riferimento di questo nuovo corso del papato. «Incominciamo questo cammino di fratellanza, di fiducia, di amore, di reciproco sostegno nella preghiera», ha detto il nuovo Papa, parlando come Vescovo di Roma. E poi, quel silenzio da groppo in gola, in cui il Papa ha chiesto al popolo di chiedere a Dio la benedizione per lui.
La Chiesa di Roma viene restituita alla sua originaria vocazione, inclusa nell’elezione del suo Vescovo, convocata al sostegno della sua missione di Pontefice dell’intera Chiesa cattolica. I mezzi di comunicazione dovranno farsene una ragione, e adattarsi al nuovo corso.
L’immagine del ministero petrino si decide ormai nella forma del rapporto di affettuosa e religiosa corrispondenza fra il Vescovo e la Comunità, non prima di tutto nell’alchimia di vere o presunte politiche degli apparati. E noi, noi stessi, ne saremo restituiti alla fede nei legami che rendono bella e trasparente questa reciproca appartenenza, sigillata da una reciproca benedizione, resa eloquente da un’intesa che si condensa nella preghiera condivisa. Diventa molto difficile – grazie a Dio! – manipolare questa intesa, interferire in questa alleanza, insidiare questa fiducia.
Il Papa che ci è stato donato, del resto, lo Spirito Santo non l’aveva perso di vista. I calcoli e le previsioni, basati sulle logiche degli apparati, si sono dimenticati i segni.
Non se li è dimenticati lo Spirito. Li hanno prontamente intercettati, lasciandosene illuminare, i Cardinali Elettori. Diventano ora evidenti i punti-luce che si ravvivano, lasciandoci stupiti per la mano fine dello Spirito che li raduna. Questi segni luminosi sono affilati come lingue di fuoco e facili da leggere per tutti, a qualsiasi nazione o lingua appartengano. Il nome religioso, in primo luogo, che è quello di Francesco.
Esiste forse, in questo preciso momento storico, un nome più esatto, per significare l’invocazione dell’immenso popolo delle beatitudini che abita la Chiesa, o frequenta i suoi sagrati, e spia i suoi passaggi come Zaccheo sul sicomoro? E poi l’America latina, che ci viene incontro – e in soccorso – per sostenere l’impresa della nostra nuova evangelizzazione. Un cristianesimo che si è fatto strada attraverso sofferenze e generosità inenarrabili, ci manda un Vescovo per Roma, a riaprire per noi la strada della fiducia, della speranza, della nuova fraternità con i popoli: la nostra vocazione epocale, la nostra missione per il futuro che è già incominciato. E infine, un testimone del valore cristiano della consacrazione religiosa, già vissuta nello spirito e nella condotta di un’autentica dedizione, che viene convocato a interpretare autorevolmente, per tutta la Chiesa, la radice profondamente ministeriale, servizievole, sobriamente appassionata di Dio, della sequela evangelica radicale.
Ci sono dei momenti in cui la Chiesa ci sembra così affaticata e stretta d’assedio, che noi stessi – che la amiamo da dentro – patiamo il suo stesso avvilimento, quasi non sentendoci all’altezza, o nella possibilità, di fare ciò che sembra necessario. E poi, sempre scompigliando le previsioni e le nostre stesse attese, la Chiesa ci appare improvvisamente capace di superare se stessa. È questo che è accaduto, ieri sera, più o meno nell’ora di Emmaus. ‚Äã‚Äã
Pierangelo Sequeri
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