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"La mia vita, Gesù, per mamma e papà"

La testimonianza di vita del giovane Albertino. «Albertino ‚Äì gli diceva il nonno ‚Äì noi dobbiamo amarlo tanto, Gesù, non offenderlo mai, dargli la nostra mano e il nostro cuore... e Lui verrà a prenderci per portarci in Paradiso». Albertino stava ad ascoltare e rispondeva: «Nonno, nonno, parlami ancora di Lui, che io voglio saper tutto di Gesù!».


'La mia vita, Gesù, per mamma e papà'

da Quaderni Cannibali

del 08 giugno 2011

 

 

          Era un ragazzo intelligente, vivace e simpatico. Nato in un giorno di primavera, nel suo borgo di campagna, a un passo dalla chiesa con il campanile come un dito alzato a indicare il cielo. Dai suoi genitori, ebbe educazione cristiana, ma lui fin da piccolo passava quasi tutto il suo tempo con i nonni, mentre gli altri erano occupati nel lavoro.

          Si chiamava Albertino. Il suo nonno “stravedeva” per lui, e, spesso durante il giorno, se lo prendeva tra le braccia e gli narrava di Gesù: il Figlio di Dio disceso dal Cielo a farsi uomo per noi, il Bambino di Betlemme, il ragazzo di Nazareth, il giovane Lavoratore nella sua casa... quindi il Maestro per le strade della Palestina, l’Amico dei piccoli, dei poveri, dei sofferenti, il sommo ed eterno Sacerdote, che lascia se stesso nel Pane e nel Vino, il Martire innocente e il Salvatore dal peccato e dalla morte, sul Calvario, il Risorto e Vivente nella sua Chiesa.

          «Albertino – gli diceva il nonno – noi dobbiamo amarlo tanto, Gesù, non offenderlo mai, dargli la nostra mano e il nostro cuore... e Lui verrà a prenderci per portarci in Paradiso». Albertino stava ad ascoltare e rispondeva: «Nonno, nonno, parlami ancora di Lui, che io voglio saper tutto di Gesù!».

          E il nonno gli narrava di Gesù che guarisce i malati, dà la vista ai ciechi, fa camminare gli storpi, narra le parabole del pastore che ricerca la pecora perduta, del seminatore che uscì a seminare, del figlio scappato da casa, che poi ritorna da suo padre, delle vergini che attendono lo Sposo con la lampada accesa, del Re che giudicherà i buoni e i cattivi e riterrà fatto a se stesso ciò che avremo fatto ai piccoli e agli umili. «Adesso, va’ a giocare, Albertino», concludeva il nonno, ma il bambino spesso aveva i lacrimoni agli occhi e gli ripeteva: «Ma non tornano i miei genitori? Possibile che io debba stare sempre senza di loro!». «Adesso vengono – lo rassicurava la nonna –, sono a lavorare nel loro negozio, non fare capricci».

«Piccola ostia con Te»

          A scuola, quando fu l’ora di andarci, Albertino si distingueva per bontà, dolcezza e impegno nello studio. Non offendeva nessuno, stava sempre tranquillo e buono e quando aveva voglia di altercare con qualcuno si metteva la mano sul petto, dove teneva una medaglia della Madonna, che il nonno aveva tenuto con sé negli anni duri della Guerra del 1915-18, il tempo in cui era stato soldato e aveva rischiato la vita.La Madonna aiutava ogni volta Albertino a essere mite, forte, a difendersi dai compagni cattivi, lasciandoli soli e facendo la sua strada, meglio, la strada di Gesù. Dopo la Prima Comunione, chierichetto nella bella chiesa, con il bellissimo vestito ornato di pizzo, stava volentieri inginocchiato sui gradini dell’altare, vicino a Gesù che scende dal Cielo nel Pane e nel Vino consacrati e si offre in Sacrificio di espiazione.

          «Gesù – pregava Albertino –, io sono un monello, sono soltanto un bambino, spesso troppo vivace, qualche volta cattivo, ma voglio offrirmi anch’io con Te... Gesù, io voglio essere puro e limpido, come Te, mia bianca piccola Ostia che mi nutri e mi difendi, che mi fai crescere nella vita come Tu mi vuoi. Oh, Gesù, mia candida Ostia, che io sia sempre una piccola ostia con Te».Quinta elementare, prima media. Albertino era ormai un adolescente. Certi compagni erano cambiati, non frequentavano più la chiesa come prima, facevano dei discorsi, mio Dio, oh, da dove venivano quelle parole? Lo raccontò ai suoi genitori, alla sua mamma, turbato dentro. Ma quelli lo liquidarono con poche parole: «Già, anche tu devi diventare uomo, non sei più un bambino. Devi darti un tono».

          Lo disse al sacerdote della sua parrocchia, in confessione... Ed ebbe una risposta bella e grande: «Coraggio, Albertino. Tu devi essere diverso da quelli. Non aver paura. Custodisci il tuo cuore, il tuo corpo, la tua mente e la tua lingua... per Gesù solo. Mi comprendi? Prega Gesù che ti faccia comprendere. Mai il peccato. Vivi sempre in grazia di Dio. Pronto a morire».Andò a inginocchiarsi davanti all’immagine dell’Immacolata e le disse: «Oh, Mamma, mamma, sii tu la mia mamma. Custodiscimi limpido e forte, io voglio dire sempre di sì al tuo Gesù, io voglio essere come Lui, anche sulla croce. Mamma mia Maria Santissima: anch’io, sai, come Domenico Savio, la morte, ma non i peccati. Anche per me, Gesù solo, Gesù sempre. Mai separato da Lui. La mia anima sempre nella sua grazia divina».

Un grandissimo dolore

          All’esame di terza media uscì con ottimo. Era davvero bravo in tutto, dal latino alla matematica, dalla storia all’educazione fisica. Anche un bellissimo ragazzo che le “bambine” guardavano con occhi dolci, mentre lui sembrava farsi assente. La professoressa di lettere un giorno guardandolo da lontano, mentre giocava nel cortile della scuola, disse con la collega di matematica: «Vedi, quel nostro ragazzo così diverso dagli altri? Se ci fosse Dante, direbbe di lui, come di re Manfredi: “Biondo era e bello e di gentile aspetto” (Purg. III, 107). Ma da dove viene quello?». L’altra le rispose: «Oh, non mi dire: è così bravo che io, così dura come sono, me lo prenderei in braccio e me lo coccolerei, come mio figlio. Porta una luce addosso, che gli altri non hanno. Eppure non è che sia seguito tanto dai suoi genitori. Di lui, si interessano più i nonni che i suoi genitori». «È vero – disse la letterata –, a chiederci informazioni viene sempre quel signore dai capelli bianchi, distinto e gentile, suo nonno». «Già, i genitori d’oggi, in molti, lavorano».

          Durante l’estate la famiglia di Albertino si trasferì a Torino. Papà aveva trovato un ottimo posto di lavoro e poteva guadagnare molto. Anche la mamma aveva trovato una brillante sistemazione. La sera della partenza, Albertino non riusciva più a staccarsi dai nonni e alla fine disse: «L’estate non è ancora finita e io verrò a trascorrere le settimane che restano qui con te, nonno. A ottobre, con la scuola, vedremo... Verrai tu e la nonna a passare l’inverno a Torino, vicino a noi».

          Si iscrisse al ginnasio, con la sua brillante intelligenza. Ma prima andò a cercare di fare amicizia con il sacerdote della sua nuova parrocchia e lo trovò: si chiamava don Silvio ed era già anziano, quasi come suo nonno. Volle subito aprirgli il cuore, con la confessione, e sentì da lui parole dolcissime e forti: «Bambino mio, tu abiti vicino alla chiesa. Prima della scuola, vieni a trovare Gesù nel Tabernacolo. Lui è qui e ti aspetta».«Padre – rispose Albertino – è troppo poco venire a trovarlo. Verrò a Messa tutti i giorni, a riceverlo nella Comunione, perché io, a 14 anni, ho tanto bisogno di lui... Poi, sa, una cosa le voglio dire: i miei genitori non vanno più d’accordo, non si amano più... La mamma, oh, la mamma...». E scoppiò a piangere a dirotto. «La mamma non sta bene?», gli domandò don Silvio. «No, sta troppo bene, la mamma ha un altro uomo, l’ho scoperto io. E vedrà, ora si separeranno. Un fallimento per loro, per me, per mia sorella più grande e mio fratellino più piccolo. Che cosa devo fare?». «Pregherò per loro, per te. Cercherò di conoscere i tuoi cari, di avvicinarli, ma prega tanto anche tu per loro, prega la Madonna, d’accordo?».

          Albertino andò a casa... e mamma non c’era. Papà era scuro in volto. La mamma rientrò in casa, tardi, quella sera. Prima del riposo, i suoi cari non si salutarono neppure più tra loro e non salutarono lui. Giorni di tempesta. Appena rivide il nonno, glielo confidò e il buon vecchio si strinse al cuore Albertino e pianse anche lui a dirotto: «Il Signore ci aiuterà, il Signore ci aiuterà». Non seppe dirgli altro.L’anno scolastico, nel prestigioso Liceo di Torino, passò veloce. Tutti nove e dieci, in italiano, latino, greco e scienze. Guardato da tutti, come un allievo esemplare. Di una cortesia, di una bontà senza limiti. Incuteva rispetto solo a vederlo. Ogni settimana, il suo colloquio e confessione con don Silvio: «Padre, mi aiuti a rassomigliare a Gesù». «Albertino, vivi sereno: Gesù è contento di te, cammina con gioia». Durante l’estate, andava al paese natio, con i nonni.

«Prendi la mia giovinezza»

          Ora i suoi genitori non si parlavano più tra loro. Mamma, spesso, mancava da casa. Albertino pregava a lungo, davanti al Tabernacolo nella chiesa del borgo o all’ombra di un albero, con il Rosario tra le mani. Una mattina, dopo la Comunione, ebbe un’idea, guardando il Crocifisso: “Ecco, Gesù ha sacrificato la vita per noi, per ottenerci salvezza... Perché non posso farlo anch’io per i miei genitori?”.Non c’era più nessuno in chiesa: solo lui e Gesù. Albertino si alzò e piano, piano, salì i gradini dell’altare, andò a inginocchiarsi proprio davanti al Tabernacolo e appoggiò la testa sull’altare: «Gesù... Gesù... ascoltami... prendi la mia vita... la mia giovinezza in fiore... Ma Tu... fa’ che i miei genitori tornino a volersi bene... Sei d’accordo? Io sì, lo voglio».

          All’inizio del nuovo anno scolastico, ai primi di ottobre 1967, V ginnasio, Albertino disse ai suoi genitori che aveva da alcuni giorni un forte mal di capo. Lo accompagnarono dal medico. Lo guardò a lungo, lo interrogò a fondo... Rimase perplesso. Lo fece ricoverare in ospedale. Presto la diagnosi fu chiara: tumore al cervello, inoperabile, dei più gravi.

          I dolori diventarono atroci. Le cure dolorose. Si tentò di tutto per salvarlo. I genitori erano impietriti dal dolore, vedendo disfarsi sotto gli occhi quel figlio così bello e buono, la loro speranza più grande. Ora la mamma gli stava vicino, più che poteva, cercando di trattenere le lacrime. Albertino era forte e sereno. Il Rosario sempre tra le mani.«Ma perché – gli domandò una sera la mamma –, perché, Albertino, ci lasci? Ma perché, proprio tu, bambino mio, che sei sempre stato buono come un angelo? Non è giusto, mio Dio!». «Mamma – le rispose –, quando tu e papà non andavate più d’accordo, quando vi vedevo su una strada cattiva che porta all’inferno per sempre, io ho offerto la mia vita a Gesù affinché ritorniate subito a essere uniti e vi vogliate bene per sempre. Adesso io vi vedo uniti per me, ma dovrete essere uniti sempre».«Dunque, Albertino, tu muori per noi?», gemette la mamma. «Sì, io muoio per te e per papà... Ma non temere. Io vado da Gesù e pregherò sempre per voi. Non dimenticatemi. Io vi ho sempre voluto bene».

          In una sera gremita di stelle, di fine agosto 1968, Albertino, 16 anni appena, consumato dal dolore, ricco di offerta e di preghiera, diafano come l’Ostia consacrata, andò da Gesù per sempre in un eterno abbraccio di amore. Qualche giorno prima di morire, ai suoi genitori vicini al suo letto, aveva detto: «Ora datevi la mano, come quando vi siete sposati. E diamoci l’un l’altro un bacio. Gesù ha voluto l’amore uno e indissolubile. Gesù prenderà il mio posto. Io vado a Lui, vi preparerò il posto, poi un giorno saremo sempre insieme. Vi aspetto con Gesù».

          Il nonno non resse alla separazione e un mese dopo, a 80 anni, se ne andò dal suo Albertino. I suoi genitori sono vissuti d’amore e d’accordo sino alla più tarda età, spendendosi a fare del bene. Sulla tomba di Albertino, il parroco, d’accordo con i genitori, ha fatto scrivere: Amor meus Jesus.

 

Paolo Risso

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