La Pedagogia di Don Bosco: un gigante dell'amore

Don Bosco amava con i fatti e non con le parole. L'amore lo rese grande, non il suo metodo educativo. Egli amò i suoi giovani ed era costantemente preoccupato del loro bene. Diede loro il suo cuore, ma escluse rigorosamente tenerezze e abbracci.

La Pedagogia di Don Bosco: un gigante dell'amore

 

Un gigante dell’amore

 

L’azione educativa di Don Bosco era un carisma legato alla sua persona; non era qualcosa che si può imparare, come la didattica. Questo carisma consisteva inequivocabilmente nel suo grande amore; egli era l’uomo dell’amore. Già a quei tempi era chiamato «un gigante dell’amore». Nel suo operare, l’essenziale non erano né la pedagogia della preventività, né le sue parole d’ordine: religione e ragione. Questi sono soltanto concetti frammentari che doveva usare per cercare di farsi capire dagli altri educatori, per dar loro qualche punto di riferimento. Ma l’elemento portante della sua pedagogia era l’«amorevolezza» (atmosfera di amore, gentilezza, benevolenza sperimentabile). L’amore lo rese grande, non il suo metodo educativo. Egli amò i suoi giovani ed era costantemente preoccupato del loro bene. Diede loro il suo cuore, ma escluse rigorosamente tenerezze e abbracci. Don Albera, secondo successore di Don Bosco nella direzione della sua opera, dà questa testimonianza personale: «Io mi sentivo come prigioniero di una forza amorosa che dava energia ai miei pensieri, alle mie parole e alle mie azioni. Ma non potrei descrivere con più precisione questo mio stato d’animo, che era anche lo stato d’animo dei miei compagni. Mi sentivo amato in un modo mai prima conosciuto». 

 

Chi sa di essere amato ama a sua volta

 

Don Bosco amava con i fatti e non con le parole. Non lo si ripeterà mai abbastanza: il carisma del Santo è un mistero d’amore. Egli amava i suoi ragazzi di strada; e li amava in modo tale che essi comprendevano il suo amore. «Chi sa di essere amato ama a sua volta, e chi è amato può raggiungere qualsiasi scopo, specialmente con la gioventù». Così la pensava Don Bosco. L’amore per lui non era né un concetto né un sentimento, ma una forza spirituale. Egli mise se stesso a disposizione della gioventù; la comprese nel suo intimo; sapeva come era fatta. I giovani erano i suoi amici. Egli stesso si chiamava di preferenza «non padre, ma amico» ed era, tra gli educatori più conosciuti, «non solo il grande amante, ma anche il grande amato».  

 

Sui prati con i giovani carcerati

 

Basti citare, come segno della sua irraggiante forza carismatica, la cura spirituale per i giovani reclusi nelle carceri. Ragazzi giovanissimi, tra i dodici e i diciott’anni, erano chiusi insieme in grandi stanzoni e si raccontavano a vicenda quello che avevano combinato. Don Bosco cominciò a pensare alla sorte di quei ragazzi, specialmente ai frequenti casi di recidività dopo il loro rilascio. Benché uscissero pieni di buoni propositi, tornavano ben presto a scivolare per la china. Don Bosco ci pensò sopra e giunse alla conclusione che quei giovani carcerati non avevano dei veri amici, nessuno che si desse cura di star loro vicino. Senza esitare si prefisse di aiutarli. Il suo intervento risultò talmente salutare che la direzione del carcere volle dargliene un riconoscimento. Egli chiese che la forma di riconoscimento consistesse nel permesso di condurre liberamente a passeggio i giovani carcerati. Il direttore dell’istituto correzionale credette di non aver capito bene, ma inoltrò la richiesta di Don Bosco al Ministero della Giustizia.

Questi, per parte sua disapprovò il progetto e voleva respingerlo, ma alla fine cedette. Acconsentì ad esaudire la strabiliante richiesta solo a patto che un congruo numero di poliziotti accompagnasse i giovani reclusi. Don Bosco trovò la cosa eccessiva e rifiutò: si rese lui stesso garante di persona che avrebbe riaccompagnato in carcere tutti i giovani. Alla fine il permesso fu accordato e Don Bosco uscì con una schiera di giovani carcerati in aperta campagna e nei boschi circostanti la città. La giornata passò tra giochi e divertimenti e la sera Don Bosco ricondusse i giovani in carcere: nessuno aveva tentato la fuga. Si disse comunque che Don Bosco aveva avuto fortuna e, per precauzione, si sconsigliò chiunque altro ad imitare il suo esempio.

 

Fiducia genera fiducia

 

Questo fatto straordinario, però, rischia di mettere in ombra l’elemento determinante: solo la personalità carismatica di Don Bosco poteva compiere un’azione simile. Egli irradiava immediatamente un senso di fiducia tale che i giovani non potevano sottrarvisi. Fiducia genera fiducia; questa traspariva dal suo sguardo, dal suo indescrivibile sorriso, dalla sua mimica singolare. Dopo quell’episodio, il Ministro della Giustizia si intrattenne più volte con Don Bosco e gli fece, meravigliato, questa domanda: «Perché le autorità costituite non hanno quell’influenza che lei esercita con la sua persona?» Don Bosco rispose apertamente: «Eccellenza, la nostra è una forza di carattere morale. Lo Stato può solo appellarsi ai canoni del codice e comminare pene. Noi parliamo innanzi tutto al cuore e parliamo in nome di Dio». La risposta che diede: «La nostra è una forza di carattere morale», non era del tutto esatta; tuttavia colpiva in pieno il potere statale con tutto il suo legalismo. Trattandosi di Don Bosco non era tanto questione di morale; il fatto decisivo era che parlava direttamente al cuore. Il santo torinese possedeva in modo inequivocabile l’indefinibile carisma dell’amore che inondava i giovani come lo splendore del sole. 

 

Educatori guidati dall’amore

 

Non si può insegnare un carisma, neanche attuando una riforma dei programmi o prolungando di qualche anno gli studi universitari di pedagogia. Un carisma è, come dice la parola stessa, un dono di Dio che può essere dato a uno e non a un altro. Nonostante ciò, a chi intraprende la carriera del maestro, bisogna dire con tutta franchezza almeno questo: «Se non hai amore per i giovani, se non sei capace di comprensione e di pazienza verso il loro modo di agire da persone immature, sarebbe meglio che tu facessi un altro mestiere, ma non quello dell’educatore». Perché l’educazione è un’arte sublime, che supera quasi le forze dell’uomo e la cui opera è destinata quasi sempre a restare incompiuta, trattandosi di aiutare i giovani a prendere una decisione nella lotta tra il bene e il male. Tuttavia, chi si lascia guidare dall’amore e lo dimostra, ma soltanto questi, può avere speranza di riuscita.

(W. Nigg, Don Bosco un santo del nostro tempo, Editrice Elle Di Ci).  

 

 

Walter Nigg

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