Il limite che ci accomuna è guardare il margine restando al centro. E così rischiamo di porre in evidenza solo l'atto eroico di noi ‚Äòbuoni' che andiamo verso il disagio, senza però chiederci dove ci collochiamo nei confronti del disagio.
Il mondo dei ‘normali’
“Il mondo dei ‘normali’ colloca il mondo del disagio di fronte a sé: il disagio è spesso visto come la terra abitata da persone che sbagliano, e che bisogna allontanare dai sani nella logica delle mele marce che non possono stare accanto a quello buone. Oppure è anche visto come la terra dei ‘disgraziati’, dei ‘poveretti’ che devono essere ‘recuperati’, diventando così motivo gratificante delle nostre pesche di beneficenza, occasione per diventare buoni.
Il limite che ci accomuna tutti è guardare il margine restando al centro. E così rischiamo di porre in evidenza solo l’atto eroico di noi ‘buoni’ che andiamo verso il disagio, senza però chiederci dove ci collochiamo nei confronti del disagio. Perché se davvero non si vuole fare solo assistenzialismo ma promozione dell’uomo, è necessario che il nostro servizio sia un ‘camminare accanto’ e non un semplice ‘atto di carità’.
Spesso la Chiesa guarda al margine, e vuole ‘uscire’, ma restando al centro. Allora questo nostro uscire è inutile. Perché è un uscire che ‘resta dentro’, e non corrisponde a un processo di incarnazione, perché non usciamo dai nostri schemi e dai nostri pregiudizi nei confronti del mondo del disagio. Usciamo con l’atteggiamento del maestro, senza conoscere l’affanno e la fatica di vivere in mezzo ai pascoli, cercando solo di inculcare in loro le nostre certezze. Ebbene, questo modo di ‘uscire’ non rispecchia una visione evangelica. Finché restiamo al centro, ben collocati sul piedistallo della nostra normalità, i disagiati saranno per noi solo un’opportunità per compiere una buona azione, e niente più.
Dobbiamo abbattere i recinti delle nostre normalità, chiamare le persone per nome, abitare i loro luoghi, stare al loro passo e rispettare i loro tempi, ascoltarli, respirarne gli affanni, e vederli non come persone da guarire ma come portatori di una domanda esistenziale che ci interpella, perché gli emarginati ci pongono davanti a problemi che anche noi viviamo: il senso della vita, la domanda di felicità, la ricerca di realizzazione, etc. E così ci riscopriamo compagni di strada.
Accompagnare gli emarginati significa condividere e accogliere la loro esistenza, rispettando i loro tempi, le loro fatiche, i loro affanni, le loro paure, i loro dubbi, le loro imprecazioni, le loro lacrime, le loro bugie, e il buio enorme che vivono costantemente. L’Uomo dei Nazareth ci invita a ad andare di persona negli spazi più nascosti e più difficili della storia, e qui incontrarci con Lui”.
La Preghiera Missionaria
Signore,
quando ho fame,
dammi
qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho sete,
mandami
qualcuno che ha bisogno
di una bevanda,
quando ho freddo,
mandami
qualcuno da scaldare,
quando ho un dispiacere,
offrimi
qualcuno da consolare,
quando la mia croce
diventa pesante,
fammi anche condividere
la croce di un altro,
quando non ho tempo,
dammi
qualcuno che io possa aiutare
per qualche momento,
quando sono umiliato
fa’ che io
abbia qualcuno da lodare,
quando sono scoraggiato,
mandami qualcuno
da incoraggiare,
quando ho bisogno della
comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha
bisogno della mia,
quando ho bisogno
che ci si occupi di me,
mandami qualcuno
di cui occuparmi,
quando penso solo a me stesso,
attira la mia attenzione
su un’altra persona.
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