La riscoperta del “gusto” di Cristo nella pastorale universitaria

José «Pepe» Claveria guida la pastorale universitaria cattolica a Vienna. Ci racconta la sua esperienza. Il mio compito fondamentale è stare con i ragazzi, educarli a scoprire la forza grandiosa che è Cristo, in fondo già presente in loro per la grazia del battesimo, ma che spesso è nascosta.

La riscoperta del “gusto” di Cristo nella pastorale universitaria

da Teologo Borèl

del 11 dicembre 2009

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Pepe, da quanto tempo ti occupi della pastorale universitaria a Vienna e in che cosa consiste il tuo lavoro?

           Ho iniziato a lavorare nella pastorale universitaria nove anni fa, nel 2000, e dal 2006 ne sono diventato il responsabile. Il mio compito fondamentale è stare con i ragazzi, educarli a scoprire la forza grandiosa che è Cristo, in fondo già presente in loro per la grazia del battesimo, ma che spesso è nascosta.

 

Quali sono i luoghi in cui incontri gli studenti universitari?

           Incontro i ragazzi negli studentati (strutture che forniscono alloggio a centinaia di persone), nella mensa e nella cappella dell’università. Gli studentati rappresentano una preziosa occasione per conoscere i ragazzi, un luogo semplice per trovarsi, per condividere la vita con loro, attraverso un’amicizia che fiorisce magari in una cucina, con una cena insieme.

In che modo curi il rapporto con loro?

           Innanzitutto li ascolto. La mia prima responsabilità come cappellano è, infatti, la disponibilità alle persone che mi sono affidate: non voglio seguire solo i miei progetti o le mie idee, sebbene legittimi. Desidero piuttosto favorire le riunioni di studenti che incominciano a scoprire la concordia che nasce nel nome di Gesù.

           A partire da questo sono sorti interessanti “fenomeni”, molti dei quali, i più belli, non programmati. All’interno degli studentati, ad esempio, alcuni hanno espresso il desiderio di sostenersi a vicenda, più da vicino. Hanno dato vita ad appartamenti in cui i ragazzi vivono una embrionale vita comune, con una regola minima: ogni giorno pregano insieme le Lodi, al mattino, e almeno una volta a settimana si trovano a cena insieme, per condividere quello che stanno vivendo.

           Un altro esempio è ciò che è accaduto la scorsa primavera. Due studentesse di medicina mi hanno chiesto: «Perché una volta non parliamo di quelle cose importanti che in Università sono un tabù?». Ed io: «Quali?». «Per esempio il dolore», mi hanno risposto. Ho accettato la loro richiesta, con la condizione che il nostro fosse un incontro aperto a tutti. La prima volta sono venuti una ventina di studenti di medicina, spinti dal desiderio di scoprire il senso del dolore e della vita. Oggi l’incontro si tiene mensilmente.

           Spesso gli studenti che incontriamo avvertono il gusto di una vita comune che non è fonte di distrazione, ma li aiuta a studiare e a divertirsi in maniera umana, a discutere delle cose a cui tengono di più, a vivere la fede. Dal “gusto” che questa compagnia offre a volte nascono amicizie che durano per tutta la vita.

Quali sono gli altri pilastri su cui si fonda la pastorale universitaria?

           Insieme alla vita comune, l’altro principale pilastro della pastorale universitaria è la celebrazione della messa ogni domenica sera in Duomo. Si tratta per noi del punto in cui tutto inizia, del momento in cui un Altro, Dio stesso, è per eccellenza all’opera. La messa è anche il luogo dove si evidenzia l’unità visibile della Chiesa. Partecipano gruppi cattolici diversi: il «Circolo di preghiera Loreto», la Legio Mariae, i Giovani Pro Life, i Focolari, la Comunità Emmanuel, Comunione e Liberazione… A turno preparano i canti, la liturgia, le letture, l’offertorio ecc. In questa occasione fanno esperienza che nella molteplicità dei carismi la Chiesa è una e si aprono ad un orizzonte più grande.

           Vi partecipano in molti. A volte invitiamo il cardinale o i vescovi ausiliari. Dopo la messa si esce insieme, in un locale nelle vicinanze per un momento gioioso e divertente ma, almeno questo è il tentativo, che non vuole essere banale. Una sera è venuto a cena con noi il cardinale. Gli abbiamo dato un microfono e lui si è messo a rispondere alle domande dei ragazzi sui temi più diversi. Credo sia indispensabile che i ragazzi percepiscano la presenza di una guida, per affermare l’unità della Chiesa.

La liturgia riveste dunque un ruolo fondamentale in ciò che stai proponendo.

           Infatti. Con i collaboratori laici e sacerdoti ci troviamo una volta a settimana per pregare insieme e per un momento di meditazione su un testo, da cui cerchiamo di trarre un aiuto per la nostra vita e il nostro lavoro con i ragazzi. Negli ultimi tempi abbiamo letto insieme Lo spirito della liturgia di Benedetto XVI. Attraverso questo testo abbiamo compreso meglio la bellezza della sobrietà e dell’essenzialità della liturgia romana.

           Insieme ai ragazzi stiamo riscoprendo quanto il canto, soprattutto quello gregoriano, possa trasformarsi in un eccezionale strumento educativo per vivere il rapporto con Dio. A partire da questo lavoro i ragazzi stanno imparando ad entrare in chiesa in silenzio, riescono a pregare meglio e scoprono che sono davanti alla sacra presenza di Dio che si dona alla loro vita e che li attrae.

Che tipo di proposta avanzi a quelli che non appartengono a nessun gruppo particolare?

           Molti dei ragazzi che conosciamo non appartengono a un gruppo o a un movimento. Sono però persone che ci tengono a partecipare alla vita della comunità. Per queste ragioni offriamo una struttura fondamentale di vita di Chiesa, non solo a livello liturgico, ma anche a livello catechetico. Abbiamo cominciato a proporre una catechesi mensile, dove si discute di temi diversi, proposti dagli stessi ragazzi, come l’amicizia, lo studio, il lavoro, la sessualità, la politica.

Di che natura è il cambiamento che vedi accadere nelle persone che ti sono affidate?

          Il fenomeno che mi pare più significativo è quello di molti ragazzi che provengono da una tradizione e da una storia famigliare cattolica. L’arrivo in università li disorienta, poiché si trovano in un ambiente intriso di ateismo e di laicismo e spesso non posseggono ragioni adeguate per affrontare questa sfida. Nella nostra comunità universitaria spesso riscoprono le ragioni della loro fede. Hanno quasi lo stesso entusiasmo di quelli che hanno appena incontrato il cristianesimo, perché trovano un luogo in cui la fede è un incontro umano, che spalanca verso qualcosa di più grande. Allora cominciano un cammino insieme a noi e così a poco a poco la loro vita fiorisce.

Gianluca Attanasio

http://www.sancarlo.org

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