La Santa Famiglia e la strada dell’obbedienza

Non c’è pace per chi segue il Signore, né può sperare di stare tranquillo colui che ha lasciato ogni cosa per il Regno di Cristo, perché il bene è sempre avversato dal mistero del male, presente nella storia e scelto, in maniera deliberata, da chi, come Erode, ha fatto della superbia il proprio scudo, dell’orgoglio la sua difesa, dell’egoismo la legge del proprio vivere.

La Santa Famiglia e la strada dell’obbedienza

di Fra Vincenzo Ippolito, tratto da puntofamiglia.net

 

Non c’è pace per chi segue il Signore, né può sperare di stare tranquillo colui che ha lasciato ogni cosa per il Regno di Cristo, perché il bene è sempre avversato dal mistero del male, presente nella storia e scelto, in maniera deliberata, da chi, come Erode, ha fatto della superbia il proprio scudo, dell’orgoglio la sua difesa, dell’egoismo la legge del proprio vivere.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (2, 13-15. 19-23)
Prendi con te il Bambino e sua madre e fuggi in Egitto
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

La liturgia del tempo di Natale ci conduce per gradi ad approfondire il mistero della nascita del Salvatore. I giorni che seguono il Natale del Signore, infatti, ci donano di meglio comprendere il mistero dell’Incarnazione. Seguendo la liturgia, infatti, il nostro cammino è ritmato da un continuo approfondimento del mistero: Dio si fa uomo (Natale del Signore – 25 dicembre), grazie al Sì di Maria che è la vera Madre di Dio (Solennità della Santa Madre di Dio – 1 gennaio), in una famiglia che è il contesto naturale in cui ogni vita è accolta e si sviluppa (festa della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe). La liturgia ci dona di contemplare nella casa di Nazaret l’unione santa di Maria e Giuseppe che ha in Gesù Cristo il suo fulcro e la sua forza. Guardando oggi alla santa Famiglia, chiediamo con perseveranza la grazia di Dio, la presenza di Cristo, il vincolo dello Spirito-amore per vivere la sfida del dialogo costruttivo nei rapporti, l’avventura dell’unità.

 

In fuga per salvare il Bambino

Se la liturgia ci farà contemplare il cammino dei Magi, nel giorno dell’Epifania, la pericope evangelica odierna presenta già ora quanto la santa Famiglia affronta, dopo che quei misteriosi personaggi venuti dall’Oriente riprendono la strada di casa. Scrive, l’Evangelista: “I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe” (2,13). È come se Matteo chiedesse al lettore una corsa continua, perché il discepolo, al pari del Maestro, “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Ci saremmo aspettati di indugiare alla scena dell’adorazione dei Magi, invece è necessario riprendere il cammino, fronteggiando nuove situazioni che si presentano il cristiano non sa cosa significa riposare sugli allori, ma è sempre pronto a ripartire, per nuove avventure, nelle quali sperimentare la grazia di Dio. Così è anche per la santa Famiglia, si presentano all’orizzonte difficoltà non di facile risoluzione – erode vuole far cercare il Bambino per ucciderlo – ed inizia ora la corsa della custodia, nel desiderio di salvare colui che della vita è l’Autore. Non c’è pace per chi segue il Signore, né può sperare di stare tranquillo colui che ha lasciato ogni cosa per il Regno di Cristo, perché il bene è sempre avversato dal mistero del male, presente nella storia e scelto, in maniera deliberata, da chi, come Erode,ha fatto della superbia il proprio scudo, dell’orgoglio la sua difesa, dell’egoismo la legge del proprio vivere. Potrebbe sembrare un combattimento tra forze impari, invece, solo apparentemente l’ingiustizia vince, visto che “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5). Il credente è chiamato a vincere il male con il bene (cf. Rm 12,21), lasciandosi sempre guidare da Dio, che è la forza dei deboli ed il rifugio dei semplici. I Magi hanno avuto il loro non semplice cammino. Per trovare Gesù, sono dovuti passando perfino nella reggia di Erode, che, ironia della sorte, gli ha offerto, nella profezia di Michea, la possibilità di giungere fino a Betlemme. Ma non sono i soli a vivere le tribolazioni, per il nome di Gesù (cf. At 5,41), perché anche Maria e Giuseppe hanno sperimentato non poche difficoltà, per difendere quel Re, che domina le nazioni dalla mangiatoia e stringe nelle sue mani le sorti dei popoli. In tal modo, l’Evangelista, nelle figure presenti nelle prime scene della sua opera – Maria, Giuseppe e i Magi – sembra quasi che voglia mostrare come sia necessario lasciarsi sempre portare da Dio, anche nelle situazioni contrarie della vita.

 

L’annuncio dell’angelo che Giuseppe riceve lo sconvolge. Il testo non lo dice, ma è facile immaginarlo: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo” (2,13). Il messaggero divino presenta un pericolo, parla di una morte annunciata, di un tentativo, da parte di Erode, di uccidere il Bambino, perché vede in Lui un pericolo per la stabilità del suo trono. La sua paura si era già manifestata, tra le righe, alla visita dei Magi. La loro domanda: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (2,2) aveva scosso così profondamente la città santa, che il re “chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme” (2,7-8a). Il mancato ritorno dei Magi a Gerusalemme suscita l’ira di Erode, ma Dio, che custodisce sempre i suoi eletti e li preserva all’ombra delle sue mani, inviando il suo angelo in sogno a Giuseppe lo avvisa, perché corra ai ripari. E come un giorno, in sogno, lo Sposo della Vergine si era sentito dire: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (2,20), così ora, sempre durante una visione notturna, l’angelo del Signore gli intima: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo” (2,13). Dio previene la difficoltà, anticipa la prova, prepara Giuseppe ad affrontare la situazione minacciosa, non solo per il Bambino che Maria ha generato, ma per tutti loro. Tra breve si troveranno in pericolo, ma Dio li avvisa, dovranno fuggire lontano, non sarà semplice scampare alle mani del sanguinario re Erode, ma non solo soli, Dio, che al suo popolo aprì la strada del deserto, che nel deserto consolò Agar, per mezzo di un angelo, mosso a compassione per il pianto di Ismaele, ora si fa vicino a Giuseppe e a Maria e non li lascia vagare nel buio. “Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce – canta il salmista – perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare” (Sal 46,2-3). Giuseppe è visitato da Dio, attraverso il suo messaggero, nel tempo della prova, nel dubbio, quando vuol ripudiare in segreto Maria (cf. 2,19), come ora che il piccolo Gesù è in pericolo, preda della cattiveria di Erode. Il Signore non gli fa mancare la sua grazia, che previene, accompagna e segue ogni situazione e lo guida per mano ad affrontare tutto, con la sua forza, secondo le indicazioni che riceve dall’Alto. Si manifesta così in lui la virtù della giustizia, la capacità di ricercare sempre e solo ciò che piace a Dio, di non allontanarsi dalla sua strada, di non rifiutare la sua volontà. L’amore di Dio per l’uomo previene le difficoltà, indica la via per uscire dalla prova, fa sentire la sua vicinanza, dona la sua potenza invincibile, non lascia nella difficoltà coloro che credono in Lui ed attendono, con speranza, che riveli la sua volontà, per compierla in totale obbedienza.

 

Non mancano le difficoltà nella nostra vita familiare e comunitaria. Quando sembra che sia venuto il sereno, che si sta vivendo un tempo di pace, proprio allora, come un fulmine a ciel sereno, piomba la prova e situazioni impreviste destabilizzano il nostro cuore. Le difficoltà fanno parte della vita, i problemi sono all’ordine del giorno in ogni famiglia. Per questo ammonisce la Scrittura: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1). Dio ci prova “nel crogiolo dell’afflizione” (Is 48,10), purificandoci, come accadde al popolo, errante per quarant’anni nel deserto. Talvolta la prova risulta una correzione da parte di Dio (cf. Eb 12,4ss), ma è sempre per il nostro bene che Egli ci guida, per sentieri oscuri. Dio permette le tribolazioni e le mortificazioni, le tentazioni ed i fallimenti e le tempeste, perché vuole che ci fidiamo di Lui, che non iniziamo a fantasticare sul da farsi, ma attendiamo da Lui quella parola di luce, che ci dona di camminare, come Giuseppe, anche “di notte” (2,14). Difatti, essere chiamati da Dio per una missione grande – è il caso di Maria e Giuseppe – non esclude la prova, tutt’altro, perché chi più ha ricevuto, maggiormente deve mettere frutto i suoi doni. Lo stesso vale anche per noi. Le difficoltà fanno parte della vita, ma è importante non credere che da soli si possa affrontare e risolvere le situazioni avverse, perché senza Cristo e la sua grazia, non possiamo far nulla. Non esiste una vita senza problemi ed il cristiano è bene che non si faccia illusioni. Quello che dobbiamo domandare al Signore è la grazia di averlo accanto, sempre e di riuscire a donargli la docilità che gli è dovuta, per realizzare il suo disegno.

 

O Famiglia di Nazaret, che per prima hai vissuto la difficoltà, accompagna il cammino delle nostre famiglie e sostienici nei momenti di prove e di difficoltà. Illumina con la tua grazia il nostro cammino e soprattutto dona il tuo aiuto a coloro che sono soli, ai genitori in pena per i propri figli, a quanti hanno abbandonato la gioia e la speranza della vita.

 

 

L’obbedienza, unica strada per non soccombere nella prova

Leggendo con attenzione quanto Matteo ci dona, possiamo dividere il nostro brano in due scene, mentre nella prima l’angelo, una volta partiti i Magi, informa Giuseppe della necessità della fuga, per salvare il Bambino (cf. 2,13-15), la seconda, invece, presenta due nuovi interventi divini (2,20. 22a),che determinano in Giuseppe altrettanti gesti di obbedienza. Ciò che colpisce nelle due parti è la totale disponibilità del discendente di Davide alla proposta che Dio, volta per volta, gli propone. Il suo silenzio è accogliente obbedienza, il suo alzarsi rivela come la Parola di Dio mette l’uomo in movimento, al pari di Maria, che “andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1,39), dopo l’annuncio dell’angelo. Ciò che unisce Giuseppe alla sua Sposa è proprio la giustizia (cf. 1,19) quale la capacità di lasciarsi guidare da Dio, negli eventi della vita. E così, se dopo il primo comando di allontanarsi da Betlemme, per andare in Egitto, Matteo aveva appuntato: “Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto” (2,14), anche dopo la morte di Erode e un nuovo intervento divino, l’Evangelista scrive “Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele” (2,21). Non c’è ribellione nello Sposo di Maria, ma innato abbandono in Dio, che si rivela, indicandogli la via da seguire, mostrandogli come vivere le varie situazioni, cosa fare nelle differenti occasioni. Giuseppe obbedisce perché condivide con Dio la gioia di avere al suo fianco Maria come Sposa e Gesù Cristo come Figlio. Avverte la responsabilità, ma non se ne lascia schiacciare, vive con il Signore la sua preoccupazione e neppure la notte lo frena nel preservare i doni che Egli ha fatto proprio a lui. L’obbedienza in Giuseppe è un cammino, la si impara, come il Figlio di Dio fatto uomo, dalle situazioni della propria vita (cf. Eb 5,8), sotto la guida di Dio, che non ci fa mai mancare il suo aiuto e la sua assistenza.

 

L’angelo gli ha detto di andare nella terra d’Israele e lui, come in precedenza, obbedisce “Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi” (2,22). Nell’ascolto del messaggero celeste, il discendente di Davide ha posto tutta la sua fiducia, ma quando sente la voce degli uomini, sul conto del figlio di Erode, la paura prende il suo cuore e di nuovo l’angelo deve intervenire a rincuorarlo, conducendolo a cambiare il cammino. La paura è un sentimento naturale che ogni uomo sperimenta, davanti alle difficoltà. Avvolge l’animo e prende possesso dei pensieri, insinuandosi e contaminando quando c’è nell’interiorità dell’uomo. Non si finisce mai di obbedire e di imparare l’obbedienza. Il padre legale di Gesù, nel suo sogno iniziale, prima di prendere Maria come sposa (cf. 1,18-25) e anche adesso ha bisogno di tempo, di essere portato per mano, è come se sentisse il peso del suo limite, il carico della sua umanità. Non bisogna scandalizzarsi se abbiamo bisogno di tempo, perché l’obbedienza che facciamo richiede un lungo noviziato, perché si metabolizzi quanto il Signore chiede e desidera da noi. Non sempre siamo capaci, davanti ad una situazione, essere coraggiosi ed intrepidi, talvolta siamo deboli e pusillanimi, ma anche allora Dio ci chiede di generare il bene, attraverso il parto della nostra obbedienza, le cui doglie possono anche durare più di quanto si crede e si pensa, ma che sono pur sempre necessarie per portare il passo con Dio. Giuseppe si lascia guidare. La paura che le voci sul conto di Archelao hanno fatto sorgere in lui, lo hanno bloccato, invece di procedere fiducioso, si ferma, impaurito da ciò che ha ascoltato. Anche a noi capita lo stesso e solo un nuovo intervento potente di Dio può rimetterci in moto, per non lasciarci vincere dal male.

 

Pregate per noi, o Santi Sposi, ispirateci propositi giusti e santi nell’educazione dei nostri figli, infondete in noi il coraggio di vivere e superare lo smarrimento e di non sentirci mai padroni della vita altrui, ma servi del progetto di Dio che supera sempre la nostra mente. Fate di noi degli autentici testimoni del primato del divin volere, della forza dello Spirito, della ricerca del bene vero e pieno. Nessun preconcetto alberghi nella nostra mente, nessun egoismo serpeggi nelle nostre parole, ma donateci di sperimentare l’unità nel volere tra noi e con Dio per vivere sempre di Lui e con Lui la beatitudine della vera gioia promessa a quanti, innestati in Cristo, vivono della sua Parola di vita.

 

La casa del Verbo è il cuore di ogni credente

L’Evangelista ci dona, come ultimo dato, prima di chiudere il sipario sulla vita di Gesù fanciullo, riguarda la sua Nazaret, paese dove la sacra Famiglia mette dimora. “Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret” (2,23). In un nuovo sogno il padre legale di Gesù è informato dei passi da fare, anche questa volta convalidato dal ricorso alla Scrittura. Il Figlio di Dio fatto uomo realizza le antiche profezie e compie quanto era stato detto sul suo conto. La custodia che Giuseppe e Maria riservano a Gesù è modello del nostro servizio alle comunità a noi affidate. Il Re dei re, nato a Betlemme, al pari dell’antico Mosè che scampò dalle acque, è riuscito a fuggire dalla furia non del faraone, ma del re Erode, perché Dio Padre lo ha affidato alla tenera cura dei suoi Genitori. Il futuro Legislatore, che sulla montagna donerà, nelle beatitudini, la nuova Legge, realizza le antiche figure e compie ciò che tutte le genti attendevano, che Dio dimorasse per sempre con l’uomo.

 

Guardando oggi al mistero della santa Famiglia, dobbiamo chiedere al Signore la grazia di appartenere a Lui solo e di far trasparire in noi la potenza della sua grazia. Non fu questo l’impegno di Maria e di Giuseppe nell’accogliere il Verbo fatto carne? È necessario seguire Gesù nella sua Incarnazione e allontanarci da tutto ciò che non è gradito ai suoi occhi. Solo così le nostre famiglie saranno lo specchio delle virtù e dell’amore della casa di Nazaret, nella quale regna sovrana la volontà di Dio ed i suoi comandamenti sono osservati come strada di libertà e di gioia.

 

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