La sfida dell'educazione 1

La Conferenza Episcopale Italiana progetta per il decennio 2010-2020 una riflessione sul tema dell'educazione, e adotta non a caso espressioni estreme: sfida educativa, emergenza educativa.

La sfida dell’educazione 1

da Quaderni Cannibali

del 24 novembre 2009

 

 

1. L’educazione, un compito arduo

 

La Conferenza Episcopale Italiana progetta per il decennio 2010-2020 una riflessione sul tema dell’educazione, e adotta non a caso espressioni estreme: sfida educativa, emergenza educativa. 

 

 

 

 

Emergenza educativa è la formula usata da Ruini nella Prolusione al IX Forum del Progetto culturale (27 marzo 2009); La sfida educativa è il titolo del Rapporto-Proposta a cura del “Comitato per il progetto culturale” della CEI, edito da Laterza. «Il Comitato per il progetto culturale ha ritenuto che possa essere utile pubblicare, probabilmente a scadenza biennale, rapporti su questioni di particolare rilievo e attualità, precisando però che non dovrà trattarsi soltanto dell’analisi di un determinato problema ma anche di suggerimenti riguardo al modo di affrontarlo – spiega S. Belardinelli, coordinatore delle iniziative del Comitato.

 

Il Rapporto sulla sfida educativa è il primo, presentato il 22 settembre 2009 con grande eco sui media. La prefazione è di Ruini; i singoli capitoli non sono firmati, anche se essi sono scritti da una persona sola. Dopo un primo capitolo sull’idea di educazione sono considerati nove ambiti distinti: famiglia, scuola, comunità cristiana, lavoro, impresa, mass media, spettacolo, tempo libero, sport.

 

Nel suo primo capitolo sull’idea di educazione il Rapporto scrive che «nella coscienza condivisa, ai suoi diversi livelli, sembra smarrita non solo la pratica felice del processo educativo, bensì l’idea stessa di educazione». Si noti l’espressione faticosa, «pratica felice del processo educativo»; perché non dire pratica educativa? Chi scrive così sa che, anche quando la pratica felice non era persa, non era consapevole e intenzionale, ma un processo che si realizzava in larga parte senza consapevole intenzione. 

 

Alla decisione del Comitato segue quella della CEI tutta di dedicare all’argomento gli Orientamenti pastorali del decennio; essa è stata presa nel maggio 2009; nel settembre al Consiglio permanente è stata esaminata una prima traccia degli Orientamenti. «Non si tratterà di un semplice prontuario pedagogico a uso delle Chiese particolari, ma piuttosto di uno strumento che propizi una presa di coscienza plausibile e praticabile per reagire al diffuso nichilismo che pervade la vita di tanti, specie dei più giovani».

 

Il tema dell’educazione è poco formalizzato dal pensiero riflesso del nostro tempo. Esso è addirittura tendenzialmente rimosso. Anche coloro che ne parlano –pedagogisti, o cultori di “scienze dell’educazione” – ne ignorano la vera consistenza. Essa è più nota ai protagonisti: genitori, insegnanti, educatori religiosi.

1.1. Lo sanno bene i genitori.

 

Per loro il pensiero dei figli è il pensiero maggiore. Che pensiero è? Assume la forma del timore per i rischi a cui i figli sono esposti; l’immaginario pubblico mostra come gli adolescenti siano molto “sballati”. Il rimedio non può essere che la trasmissione dei “valori” veri; ma i “valori” non si insegnano; si possono trasmettere solo con la testimonianza pratica. E non basta quella della mamma e di papà; ci vorrebbe quella di tutto un mondo intorno, che però non c’è. I genitori oggi sono in affanno, perché intorno manca il mondo. viviamo forse in un’epoca postumanistica? Il costume un tempo dava forma all’umano, alla vita vera, bella e buona; oggi non più; sembra che non ci sia più una morale civile; i rapporto sociali sono retti sui principi del diritto e non della morale. I genitori nel rapporto con i figli sentono il dovere di attestare un senso della vita e le ragioni della speranza; ma insieme hanno l’impressione (giusta) di non potercela fare da soli.

1.2. Lo sanno meno bene gli insegnanti.

 

La consistenza del compito educativo e la sua urgenza è avvertita poi anche dai maestri e soprattutto dagli insegnanti medi, con altre caratteristiche.

 

a) Essi misurano il carattere arduo dell’educazione attraverso il difetto di interesse dei minori per il sapere da essi proposto. Perché è importante? è davvero importante? Diceva Heidegger che il significato della scienza non è argomento di competenza della scienza stessa. La scienza sospende ogni interrogativo sul significato; proprio da tale sospensione deriva la sua straordinaria univocità, non intralciata da interrogativi sulle massime questioni che dividono. Il prezzo di questo straordinario sviluppo è la sua irrilevanza in ordine appunto al significato del vivere. Il sapere della scienza è sapere che serve, a proposito di ciò che serve, dell’utile, e non del bene.

 

L’insegnamento scolastico della scienza, per diventare momento educativo, dovrebbe dire del significato della scienza, e anche del suo difetto di significato. Occorrerebbe che la scuola fosse in grado di mostrare come la scienza concorre a configurare gli stili della vita dell’uomo di oggi. «La scienza regna infatti sui di noi», nel senso che gli oggetti nati scientifici di cui ci serviamo, e le pratiche tecniche alle quali ricorriamo (per curare la salute, per curare l’immagine, per nascere e per morire, magari anche per generare i figli), plasmano gli stili della nostra vita, ma anche i nostri modi di vedere e di sentire.

b) Gli insegnanti misurano poi la difficoltà di educare attraverso gli stili di comportamento. È difficile garantire uno stile decoroso (linguaggio, abbigliamento, atteggiamenti). La mimica degli adolescenti è sempre “spudorata”; essi si rappresentano, assai più che esprimersi; mediante la rappresentazione cercano di comprendersi. Ma anche gli a-dulti per molti aspetti oggi si rappresentano; la società tutta pare avere adottato lo stile dell’adolescente; apparire per essere.

 

1.3. Lo sanno catechiste e sacerdoti

 

Sanno in altro modo la difficoltà di educare catechisti e sacerdoti, quanti cioè si cimentano con il compito di forma-re una coscienza, una prospettiva di vita, una visione del mondo, una speranza per la vita, una coscienza morale. I minori sono, in generale, sensibili al tema religioso; in fretta però si distraggono; non hanno sfondo. Non hanno per lo più una famiglia sensibile a questi temi e scontano di necessità l’asimmetria tra la qualità dei discorsi proposti in Parrocchia e gli stili di vita della famiglia. Con l’adolescenza poi, già con la preadolscenza, sono velocemente strappati al mondo della fanciullezza, e con esso anche al mondo della parrocchia.

 

2. La diserzione dell’educazione

 

L’educazione, prima ancora che compito arduo da realizzare, è compito arduo da definire. A motivo delle sue spic-cate difficoltà, minaccia d’essere abbandonato. L’abbandono non è scelto, neppure è dichiarato; è imposto da prin-cipi generali, che lo escludono. La concezione della vita umana, che sta al fondo della vita comune, ignora la rela-zione educativa. Vediamo le due forme maggiori dell’abbandono.

 

2.1. La diserzione ad opera dei genitori

 

Il compito educativo è spesso abbandonato dai genitori nel momento in cui il figlio entra nell’età difficile. Quando era piccolo, lo si guidava e correggeva; quando comincia a protestare il suo diritto ad essere rispettato, i genitori vedono come dissolta la loro autorizzazione a correggerlo; vedono dissolta la loro autorità. Un tempo le convinzio-ni supreme, morali e religiose, non avevano bisogno d’essere giustificate; erano da tutti condivise e apparivano au-tomaticamente convincenti.

 

Ora non è più così; i figli, stupiti dalle attese e dai molti divieti dei padri, chiedono ra-gioni; i padri non sanno rispondere. Facilmente si arrendono; rispettano – così dicono – la coscienza dei figli. Quale sia la vita buona, deciderà ciascuno per sé. Nei confronti di questa diserzione è facile elevare obiezioni; esse, assai sentite dai genitori stessi, non hanno però risposta nel coscienza condivisa; neppure in quella della Chiesa.

 

2.2. La diserzione ad opera del pensiero

 

Il compito educativo è cancellato a livello di pensiero riflesso. La pedagogia pare finita, sostituita dalle “scienze dell’educazione”. Non è una mutazione solo di parole; l’educazione passa dalla competenza della filosofia (morale) a quella delle scienze umane. Esse non si occupano della crescita del minore sotto il profilo della libertà, dunque della coscienza morale; ma solo di didattica di benessere, o di salute mentale.

 

Le nuove scienze non si occupano di di educazione; si occupano dei processi di crescita del minore, di volta in vol-ta qualificati come processi di identificazione (la psicologia dell’età evolutiva) oppure come processi di socializza-zione (sociologia), di apprendimento dunque di saperi e abilità indispensabili al rapporto sociale. Psicologi e socio-logi si occupano certo dei processi di crescita dei minori; non si occupano dell’educazione come un compito mora-le, come una responsabilità dell’adulto nei confronti del minore. L’adulto infatti è responsabile: è in debito di una risposta davanti al minore.

 

Deve più precisamente rispondere davanti al minore della promessa che gli ha fatto. Che egli gli abbia fatto una promessa appare molto chiaro nel caso del genitore; lo sappia o no, egli fa sempre una pro-messa al figlio, la fa molto prima e molto più di quanto capisca e voglia; poi deve però anche capire e volere. Que-sta responsabilità non è solo del genitori, è di tutta la generazione adulta. L’adulto è per il minore un testimone, del senso della vita, della promessa che la illumina, della legge che la governa. (illustrazione per riferimento alla teoria della famiglia moderna proposta da Talcott Parsone).

 

3. Il grande inganno: il “puerocentrismo”

 

Per capire la situazione presente della sfida educativa di oggi è necessario dunque avere presenti queste due circo-stanze elementari, ignorate invece nelle forme correnti del dibattito pubblico.

 

a) La prima circostanza: l’educazione si realizza prima d’essere pensata e perseguita; si realizza nei fatti, in maniera sorprendente; soltanto poi diventa anche un impegno. La pedagogia moderna ignora la precedenza dei fatti sulle i-dee; accorda poca attenzione ai fatti e sviluppa quindi progetti educativi abbastanza cervellotici, remoti dai fatti o-biettivi.

 

b) La seconda circostanza: l’educazione si realizza prima di tutto nel rapporto tra genitori e figli, non nel rapporto tra maestro e discepolo. La pedagogia moderna sceglie come relazione di riferimento per capire l’educazione pro-prio la relazione tra minore e precettore. Questa scelta conferisce al pensiero pedagogico caratteristiche dubbie.

 

L’educazione è pensata a procedere da ideali definiti a monte rispetto alla vita concreta. La figura dell’educatore e il suo rapporto pratico con il minore rimane fuori dell’osservazione.

 

In tal modo l’educazione assume un tratto “puerocentrico” assai problematico, sleale nei confronti del minore. Illu-stra bene questo tratto la maieutica: non si dovrebbero proporre al minore convinzioni e modelli di vita preconfe-zionati; occorrerebbe tirare fuori da lui quello che ha dentro (educare come educare). Socrate protestava la propria ignoranza; sterile, come l’ostetrica, egli faceva partorire gli altri. Tali formule sono diventate i luoghi comuni del pedagogismo moderno. La questione seria della scuola non sarebbero gli obiettivi, dunque la figura della vita buo-na, ma soltanto il metodo. Inconvenienti conseguenti.

 

La Sfida dell’educazione:

 

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don Giuseppe Angelini

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