La verità su se stessi. E che la morte ci trovi ancora vivi, e che la vita non ci trovi morti.Incontro tenuto da don Tony Prai al primo incontro della Scuola di Mondialità riguardante la presentazione di alcuni passi per iniziare un cammino di verità su se stessi. Non si tratta di un articolo vero e proprio: sono piuttosto degli “appunti” presi all'incontro e messi un po' in ordine.
del 01 gennaio 2002
Incontro tenuto da don Tony Prai al primo incontro della Scuola di Mondialità riguardante la presentazione di alcuni passi per iniziare un cammino di verità su se stessi. Non si tratta di un articolo vero e proprio: sono piuttosto degli “appunti” presi all’incontro e messi un po’ in ordine.
1. Avere consapevolezza interiore di se stessi e di ciò che ci sta intorno
Nella nostra società si tende ad apparire e a dare peso alla parte esterna di noi stessi. La nostra personalità però dovrebbe affondare le radici negli strati più profondi del sé, ma questo spesso non succede perché crescendo tendiamo a mutilare e a nascondere quello che siamo.
Consapevolezza è sentire la propria esistenza interiore e “camminare nella novità di vita”, come diceva san Paolo.
Molti giovani sono sconosciuti a se stessi: dentro sono degli esseri piccoli che stanno male. Il disagio nasce quando una persona compie una mutilazione di se stessa perché non accetta quella parte di sé e così non si riconosce più. Il passo da fare è riconoscere la positività della propria esistenza.
Bisogna riconoscere che quello che tiene in piedi la propria vita non sta negli altri ma in se stessi = essere sicuri di sé (non si cerca nelle relazioni di guadagnarsi l’amore come in un campo di battaglia) ed essere consapevoli di ciò che è essenziale per la propria vita e difenderlo a denti stretti. Ci possono essere dei traumi che ci si porta fin da piccoli, che vengono rimossi (ma che riemergono nei sogni, soprattutto in quelli ricorrenti) e che conducono a delle conseguenze che sfociano in un comportamento problematico. Si possono risolvere cercando di riportare alla luce i traumi infantili per portarli fuori dal nostro “se”, accettarli e camminare per una crescita interiore dentro questo problema, per sentire che dare e ricevere amore non fa male, non fa paura.
Ci deve essere una attenzione al “qui ed ora”, un essere sempre consapevoli del momento e cercare di viverlo in pienezza. Le attese di un futuro più felice rovinano perché stando sempre spostati in avanti non si è mai contenti, anche quando capitano le cose che si attendevano. Questo porta ad un’inquietudine profonda, ad un senso di angoscia che può portare alla depressione. Bisogna invece cogliere il succo di quello che c’è attraverso la Contemplazione e la Gratuità.
2. Spontaneità
Nella consapevolezza di sé, una persona sa chi è e di che cosa ha bisogno (2-3 cose al massimo). Ci potrebbero essere però due difficoltà:
- Sbagliare ad interpretare i propri bisogni.
- Sapere quali sono i bisogni ma darsi le cose sbagliate (un esempio è prendere della droga per avere la felicità).
Gli animali, citando Hesse, non vogliono adulatori e non vogliono far impressione. Sono come sono, senza maschere. Invece avere un ruolo molte volte difende dalla solitudine perché permette di essere accettati dagli altri (lo scrittore Anthony De Mello in un suo libro dice che il padre era sempre allegro, un burlone, lo chiamavano ai matrimoni per far ridere e far festa, e nonostante questo alla fine si è suicidato. De Mello interpreta la morte del padre e dice: “…perciò si è suicidato, perché forse non era se stesso e non riusciva più a sostenere quel ruolo”). Le ragazze malate di anoressia arrivano ad annientarsi interiormente e a non riconoscersi esternamente (si vedono grasse quando non lo sono). Arrivano a non riconoscersi nemmeno esternamente. Crescere senza assecondare le proprie inclinazioni, il proprio “sé” porta a non essere se stessi (questo può derivare dal cercare di soddisfare le attese di qualcun altro).
3. Intimità
Intimità è sentirsi bene con se stessi. Quando non ci si piace si lanciano dei messaggi anche a livello corporale che dicono: “non amatemi”. Quando non si sta bene con se stessi, si cerca di divertirsi (= cessare di pensare) e questa è una lenta maniera di suicidarsi. Quando si trasgredisce è un modo per dire: “amatemi perché non mi amo”.
Se invece ci si piace, si lanciano segnali che dicono: “amatemi perché sono amabile”. La situazione ottimale è quando il “sé” coincide con l’“io” e c’è una piena intimità.
4. Silenzio/ Desiderio:
Questi sono due strumenti per arrivare all’intimità di se stessi.
Silenzio deriva da silére, verbo con cui i romani descrivevano il rumore del grano che cresce. Il silenzio fa pensare alle cose positive e porta a costruirsi; nella preghiera si sperimenta il silenzio, non serve fare niente, tutto dipende da Dio. Dal silenzio nascono le cose autentiche. Il cammino di conoscenza di sé si fa anche attraverso il desiderio (voglio farcela!)
Attraverso il desiderio si realizza già la felicità, quello che tutti desiderano.
(stralci dalla conferenza che don Tony Prai ha tenuto alla Scuola di Mondialità. Testo non rivisto dall’autore).
don Tony Prai
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