La vita di chi rimane in Siria: i salesiani ad Aleppo

Pier Jabloyan: "Ci siamo chiesti: come dobbiamo rispondere a questo disastro che colpisce la nostra gente?"...

La vita di chi rimane in Siria: i salesiani ad Aleppo

 

Sono più di 4 milioni i siriani fuggiti dal proprio paese dall'inizio della guerra. Almeno 7 milioni sono sfollati interni e 10 milioni non hanno ancora lasciato le proprie case. Tra loro, anche un gruppo di sacerdoti salesiani che continua a organizzare attività per i ragazzi di Aleppo e prendersi cura di loro. Nonostante le bombe.

 

“Come raggiungere il più vicino ospedale”, “come trattare ferite da bruciature”, “Croce rossa Siria”: sono le parole più cercate su Google nel mese di settembre, secondo i dati del motore di ricerca analizzati dai giornalisti di Al Jazeera per un’inchiesta del canale Aj plus. Ma anche “come raggiungere la Germania”, “mappa della Grecia”, “mare che separa Turchia e Grecia”. Chi vive in Siria oggi, tra le bombe di Assad, quelle della Russia e le violenze dei ribelli e dei gruppi terroristici come lo Stato islamico, pensa a come salvarsi la vita o fuggire. C’è anche chi prova semplicemente a “vivere” offrendo un’alternativa di quotidianità a bambini e giovani, organizzando gite, incontri di catechismo, lasciando aperto il cortile dell’oratorio. Sono i salesiani di Aleppo, che operano nel paese dal 1948, quando sono arrivati per aprire una scuola professionale e un oratorio, “proprio come voleva don Bosco”, racconta Pier Jabloyan.

 

“La storia dei salesiani ad Aleppo è molto antica”, mi spiega, “sono pochissimi i giovani cristiani di Aleppo che non sono passati nei nostri cortili dell'oratorio”..

Pier ha 30 anni e pubblica foto sul suo account Instagram come i suoi coetanei in qualsiasi parte del mondo. "Ecco il cielo di Aleppo stasera", scrive sotto una foto di uno splendido tramonto, pubblicato una settimana fa.

Pier è un prete salesiano che ha studiato in Italia, e quest’estate è tornato in Siria per coordinare i centri estivi per centinaia di giovani siriani.

 

“Fin dall'inizio della guerra, non abbiamo avuto il dubbio di ripensare la nostra presenza ad Aleppo tra i giovani, anzi, ci siamo chiesti: come dobbiamo rispondere a questo disastro che colpisce la nostra gente? La risposta non poteva essere se non avere maggior cura dei giovani", dice sicuro Pier, che a settembre ha incontrato papa Francesco a Roma per il primo incontro mondiale della gioventù consacrata. In quella occasione gli ha donato un bossolo di proiettile, “uno tra le migliaia e migliaia di proiettili e schegge di mortai che piovono ogni giorno sulla città di Aleppo”: questo in particolare era caduto nel cortile dell’oratorio salesiano durante le giornate dei centri estivi.

Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani sono almeno 200mila i morti dall’inizio conflitto, nel marzo del 2011. Circa un terzo (70mila) sono civili, e almeno 8.803 sono minori di 18 anni. “Fermate la guerra in Siria e non partiremo più”, aveva dichiarato a Budapest un piccolo profugo siriano davanti alle telecamere di Al Jazeera.

 

"Vedere tantissimi dei migliori giovani andarsene lontano, mettendo a rischio la propria vita, è doloroso, ma tutto questo ci spinge ancora a non arrenderci a questa situazione e a lavorare di più. Come salesiani diciamo le stesse parole di Don Bosco ai suoi giovani: "Con voi io sto bene", quindi noi salesiani di Aleppo, stiamo bene con i giovani di Aleppo".

Dai racconti e dalle foto di Pier sembra che la vita ad Aleppo non sia mai cambiata. Campi estivi, ritiri spirituali, attività educative e sportive che coinvolgono almeno 500 giovani ogni anno. “Stiamo vivendo una vita molto difficile, una vita di guerra, ma non mancano i segni di speranza. Qui c'è ancora spazio per la gioia, ogni occasione è buona per fare festa, ci si sposa, si festeggiano i compleanni”, mi scrive.

 

Oggi decidere di stare in Siria non vuol dire solo avere a che fare con violenza e distruzione, ma anche con disagi che rendono impossibile la vita quotidiana: “La mancanza di sicurezza, dei servizi pubblici, dei beni essenziali come acqua e cibo, gasolio ed elettricità distrugge la quotidianità”. Pier parla di “bisogni che sono normali per l’uomo moderno”, come quelli di bere acqua potabile, far funzionare una ventola o accendere la tv. Per sopperire alla mancanza di acqua si scavano dei pozzi, ma ci si ammala per il rischio di malattie dovute alla contaminazione di acqua non sicura. Ogni famiglia ha un familiare ferito, morto o rapito.

Prima del conflitto la Siria era uno dei paesi del Medio oriente con il più alto tasso di istruzione. Secondo Save The Children negli ultimi quattro anni, nelle aree di maggiore conflitto come Aleppo, si è passati dal 90% al 6%. E nel 2014 la metà dei bambini rifugiati non ha avuto accesso all’istruzione. “Ad oggi manca il 50% delle risorse economiche necessarie per finanziare i programmi di educazione”, spiega Roger Hearn, direttore della regione Medio Oriente dell’ong. Non si tratta solo di denaro. La Siria ha perso almeno il 22% degli insegnanti che aveva prima dell’inizio del conflitto, centinaia sono morti e migliaia sono scappati dal Paese. Almeno un quarto delle scuole sono state danneggiate o distrutte e circa tre milioni di bambini siriani non possono frequentare le lezioni.

"Benvenuto ad Aleppo, che resiste pur essendo considerata una delle città più pericolose al mondo", dice un cartello nel centro salesiano. In una delle ultime foto di Pier su Instagram si vedono decine di bambini sorridenti intenti a fare un bans: è l’inizio dell’anno pastorale. Anche quando “il cielo piove piombo”, come scrive su un’altra fotografia, e i proiettili cadono sul campo da calcio del centro, a Pier basta guardare questi volti per ricordarsi che sì, Aleppo è proprio il posto in cui stare.

 

 

Donata Columbro

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