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"La vita è un'avventura, rischiala" (M. Teresa di Calcutta)

Ogni tanto arrivano buone notizie anche da fonti da cui non ci aspetteremmo granché e questo fatto genera sempre una fiammella di speranza: significa che non tutto è perduto! Nello specifico, in questi ultimi giorni due settimanali hanno catturato la mia attenzione: Vanity Fair e Diva e Donna...


'La vita è un'avventura, rischiala' (M. Teresa di Calcutta)

da Attualità

del 05 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

           Ogni tanto arrivano buone notizie anche da fonti da cui non ci aspetteremmo granché e questo fatto genera sempre una fiammella di speranza: significa che non tutto è perduto!            Nello specifico, in questi ultimi giorni due settimanali – che, peraltro, devo confessare, ho sempre guardato con spocchioso disprezzo – hanno catturato la mia attenzione: Vanity Fair e Diva e Donna. In entrambe queste riviste,infatti, viene fatto riferimento al tema dell’aborto in maniera “politicamente scorretta”, almeno per l’odierna società.            Su Vanity Fair numero 47, datato 30 novembre 2011, è dedicato un ampio spazio ad un’intervista fatta alla cantante italiana Giorgia: fin qui, nulla di strano.Tuttavia dalla domanda: “La maternità l’ha cercata o è stata lei a cercarla?” scaturisce uno spunto degno di nota. Giorgia, infatti, risponde così: “Tutte e due le cose. Per anni diventare madre è stata una specie di ossessione: e lì è davvero l’uomo che fa la differenza. Ho avuto due aborti spontanei, rischiavo di ricadere dentro a un meccanismo malato di autocompiacimento della sofferenza. Ma Emanuel (suo compagno e padre di suo figlio Samuel, nato il 18 febbraio 2010, ndr) anche in quell’occasione non si è lasciato abbattere. E proprio perché è l’anima che fa il corpo, quando abbiamo smesso di pensarci sono rimasta incinta”.            Ebbene, in queste poche frasi, pronunciate in un hotel di Milano, sono racchiusi tre concetti che generalmente non trovano spazio nella nostra società.La prima sottolineatura riguarda il ruolo determinante, troppo spesso negato e vilipeso, che l’uomo svolge nella maternità. Per una donna avere accanto un marito che è disposto a condividere con lei le ansie e la difficoltà che sono insite nell’avventura di generare un figlio e che la aiuterà a crescere il frutto del loro amore non è un fatto per nulla accessorio o ininfluente. Essere in due conta moltissimo, e questo sia per l’equilibrio dei genitori, come si diceva, che per quello del bambino.

           Il secondo aspetto importante, per altro solo accennato da Giorgia, riguarda il dolore che si nasconde dietro l’aborto. Troppo spesso e per troppi anni, si è tentato da più parti di far passare il concetto che abortire sia un fatto della vita come un altro, quasi come togliere un dente: può spaventare o fare male sul momento, ma poi lo si dimentica. Beh, non è affatto così, e sempre più studi acclarano come vi sia una vera e propria “sindrome post-aborto”, che si sviluppa secondo diversi gradi di intensità e di durata temporale a seconda delle situazioni psicologiche, sociali e culturali da cui proviene la donna che è andata incontro – volontariamente o meno – alla perdita del proprio bambino.

           Il terzo ed ultimo punto celato dietro le parole della cantante italiana riguarda il problema della fertilità. Oggigiorno sono sempre di più le coppie che non riescono ad avere figli: come mai? Sicuramente vi sono delle componenti ambientali, fisiche e sociologiche che determinano una maggiore incidenza del tasso di infertilità, ma nascondersi dietro queste giustificazioni non sempre appare sufficiente. È difatti documentato come, nell’atto del concepimento,la psiche umana svolga un ruolo di fondamentale importanza. Moltissime coppie non riescono ad avere figli perché sono sommerse dall’ansia di averne uno, o perché vivono una situazione di particolare stress; tuttavia appena smettono di provare ad averne un bambino, ecco che questo arriva. Questo fatto dovrebbe spingere molte coppie a riflettere seriamente sulle reali cause della propria infertilità prima di sottoporsi a strane terapie o di fare ricorso alla fecondazione artificiale…           Il secondo articolo degno di menzione è apparso su Diva e Donna numero 47, del 29 novembre 2011.Il settimanale in questione riporta una notizia-scoop: “Dopo pochissime settimane di gravidanza, Belen ha perso il suo bambino”. Esatto, c’è scritto proprio “bambino”. La neolingua, la cultura della morte, quella che ha tentato in tutti i modi di far passare la favola (pessima) de “l’embrione è solo un grumo di cellule”, questa volta ha dimostrato con le proprie stesse affermazioni che la verità è tutt’altra.

           Un embrione di quattro settimane – che è all’incirca il momento in cui la donna si accorge del ritardo – ha già un cuore che batte… altro che grumo di cellule! E a testimoniarlo sono le ecografie, non le supposizioni di alcuni fanatici pro-life (magari pure maschi). La vita inizia al momento del concepimento: poco importa se il bambino comincerà a respirare da solo soltanto nove mesi dopo, al momento della nascita; oppure se comincerà a parlare soltanto due anni dopo; o se inizierà ad essere parzialmente autonomo soltanto sei anni dopo e via dicendo. Un individuo di due ore ha la stessa dignità di vivere di un bambino di dieci anni, di un adulto di trenta e di un anziano di ottanta. Come diceva Madre Teresa di Calcutta: “La vita è la vita, difendila”.

Giulia Tanel

http://www.libertaepersona.org

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