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LE CHIAVI DI CASA

“Le chiavi di casa” tocca la sfera della malattia, ma soprattutto quel groviglio di problemi familiari e interpersonali che questa porta con sé. Senza premere il pedale sulla retorica della sofferenza, Gianni Amelio dimostra come l'autostima e la serenità che l'accompagna siano strettamente legate al bisogno che ognuno di noi ha dell'altro, alla necessità di conoscersi e amarsi reciprocamente...


LE CHIAVI DI CASA

da Quaderni Cannibali

del 28 ottobre 2005

Regia: Gianni Amelio

Interpreti: Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling, Andrea Rossi

Origine: Italia/Francia/Germania 2004

Durata: 105'

 

Gianni, un giovane padre, ritrova dopo quindici anni il figlio Paolo, handicappato a causa di complicazioni sopravvenute durante il parto (nel quale la madre ha perso la vita) e che alla nascita ha abbandonato alle cure di alcuni zii. Gianni, che nel frattempo si è risposato ed è diventato padre di nuovo, tenta ora di costruire un rapporto con Paolo tra problemi, ansie, angosce e paure...

 

 

Hanno detto del film

(...) “Le chiavi di casa” tocca la sfera della malattia, ma soprattutto quel groviglio di problemi familiari e interpersonali che questa porta con sé. Un padre, che era fuggito di fronte alle proprie responsabilità dopo la morte della moglie in seguito al parto e la nascita di un bimbo affetto da handicap, dopo quindici anni si trova a dover affrontare la difficile prova di accompagnare il figlio in Germania per un programma di fisioterapia intensiva. Un viaggio di sconosciuti, dunque, dove all’inizio predominano l’imbarazzo e la diffidenza di entrambi, la vergogna e il rimorso del padre, ma dove poi subentrano la scoperta reciproca, la tenerezza e l’affetto. Senza premere il pedale sulla retorica della sofferenza, Gianni Amelio dimostra come l’autostima e la serenità che l’accompagna siano strettamente legate al bisogno che ognuno di noi ha dell’altro, alla necessità di conoscersi e amarsi reciprocamente.

(Enzo Natta, www.ancci.it)

 

Per la prima volta nel cinema di Amelio, un ragazzo riuscirà forse a salvare l’anima di un adulto (...) e a salvarsi da lui senza essere costretto a fuggire (...). Per la prima volta, le forze affettive in campo si equilibrano, e non nel segno della compassione o della rinuncia, ma in quello del bisogno e del rispetto reciproci. Per la prima volta insieme, padre e figlio attraversano la città sconosciuta con curiosità e la clinica minacciosa con dolore: il padre è straziato dallo strazio cui la riabilitazione sottopone il corpo del figlio (...), è affascinato dall’inesauribile energia di Paolo, ma è anche innervosito, esasperato, disperatamente consapevole della distanza che li separa e sempre li separerà. Il figlio è una forza della natura, un affabulatore tenerissimo (...), un ragazzo che gioca, che coccola, ma che all’improvviso può incupirsi e partire per tornare a casa, quella casa della quale, orgoglioso, esibisce le chiavi e della quale sa raccontare, ora gioioso ora terribilmente atono, i riti quotidiani (...). Gianni Amelio ci racconta i primi balbettii di questa conoscenza e la progressiva crescita di questo affetto con la naturalezza di un amore “normale”: anche se circondate da istantanee di altre vite segnate dal dolore impotente della differenza (...), dimentichiamo in fretta le anomalie fisiche di Paolo, come pare dimenticarle il padre, per vivere invece insieme a loro le inevitabili alternanze di un amore che nasce, le ombre di un passato rimosso, le inadeguatezze di un rapporto a due.

(Emanuela Martini, FilmTV, 14/09/2004)

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