«Due tortore per la purificazione e un pugno di sicli d'argento in mano per il riscatto del primogenito»... L'omelia della Domenica scritta da don marco Pozza.
Due tortore per la purificazione e un pugno di sicli d'argento in mano per il riscatto del primogenito (liturgia della Festa della Presentazione del Signore al Tempio). Quanto basta perchè quel Bambino – quaranta giorni dopo la sorpresa di Betlemme – “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenga un privilegio l'essere come Dio “ (Fli 2,5-6). Un Dio nascosto, feriale, quotidiano: Nazareno prima che Cristo. Dritti al tempio, magari sul ciuchino ch'era già stato mezzo di trasporto e di salvezza oltre il deserto, nell'Egitto dei profughi e della salvezza accorsa. Un ciuco per irridere Erode Il Pancione. Ieri a Betlemme, prima ancora a Nazareth; poi in Egitto e oggi al Tempio: perchè nessuno possa dire d'aver veduto l'Eterno prendere qualche scorciatoia. Un giorno la Legge Lui la porterà a compimento: nel frattempo la rispetta. Siamo ancora lungi dai trent'anni: siamo agli inizi, è di prima mattina, l'Uomo non è che una sbozzatura di ciò che sarà. Come gli altri, dunque: al Tempio, al tavolo, nel retrobottega. Nulla di più: così profondamente uomo che faticheranno ad intravedere l'Avvenire in quegli occhi d'infante che solcano i sentieri della gente comune. Che s'apprestano al Tempio in braccio ad una famiglia di quaggiù. Come un Bambino: Nazareno, per l'appunto. Non ancora il Cristo della Gloria.
Così nazareno/nascosto che il sacerdote nemmeno lo riconosce. Di professione sacerdotale, attendeva anche lui l'Avvento del Messia: nessun popolo fu mai avvisato tanto e anzitempo come il suo. Eppure prende le colombe, ne raccatta i cinque sicli d'argento e li rimanda a casa. Così, distrattamente obbediente alla legalità di Mosè, rispettoso della legge, finanche osservante della burocrazia del Tempio. Eppur così distratto da non accorgersi che nelle sue mani passava il Messia: l'Atteso, l'Invocato, il Desiderato, ciò che di più soave abitava il suo cuore, stamattina gli era giunto in fronte. Troppo intento alle colombe e ai sicli, non s'accorse della semplicità messianica: sicli e colombe non bastano per riconoscere uno sguardo che un giorno ammaestrerà a vedere il Cielo nascosto in un campo di grano o la Gloria dietro un fiore di giglio. Quando lo spirito è assonnato, non basta appartenere alla casta dei sacerdoti: la Salvezza passa e prosegue oltre. Non è osservanza, non è ritualità, non è nemmeno moralismo: è una Presenza. Mite, nascosta, quasi impercettibile agli animi distratti. Nazareno, per l'appunto: non ancora Cristo.
Un giorno quello Sconosciuto aggregherà a sé il mondo intero: farà uomini nuovi su scorze vecchie e usurate dai vizi. Scoperchierà tombe e inaugurerà sepolcri vuoti. Darà appuntamento a tanti, a troppi, a tutti. All'inizio – quand'era ancora semplicemente nazareno – diede appuntamento a chi teneva il cuore desto, sveglio, festivo: sarà pur facile riconoscerlo nel massimo della Gloria o della Sventura. Più ostico individuarne la fisionomia quand'è infante tra gli infanti. Non è arte per i sacerdoti: troppo distratti a menar bottega e riordinare le carte. Ciò che non è opra di salvezza loro, lo è di Simeone. Oltre gli ottanta, sacrestano ha solo voglia di morire: ha già riordinato tutti i cassetti della memoria e dell'eredità. E' una pesca matura: non più il rosa e il bianco degli inizi, bensì il colore della pienezza, colore che è anche gusto e sapore. Una vita attenta, non distratta. Nell'attesa del Suo passaggio, della sua Venuta: l'ha cercato dappertutto, spesso e sovente nell'ordinarietà delle piccole cose, dei piccoli incontri, dei pertugi impercettibili. E l'ha trovato: quell'Altro – ancor Bambino – ha mantenuto fede all'appuntamento, s'è fatto stringere come promesso. Simeone – coniugato sotto il Cielo con Anna, la beghina – s'accorge che è Lui. Oltre il sacerdote distratto, oltre il portinaio intento alle colombe, ancora oltre l'Erode dell'arroganza. Stamane al Tempio è festa: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. Anche al sacerdote la Salvezza s'era rivelata: però stava in tutt'altre faccende affacendato. Non sapeva che prima di essere Cristo, quel bambino era Nazareno. Di fronte a Dio, due sguardi si presentano al Tempio: quello di Simeone, vecchio sacrestano col sorriso: la Salvezza ha un Volto. Quello del sacerdote, distratto seppur corretto: uomo di Dio, non s'accorse del Volto di Dio.
Quale Dio stava attendendo?
don Marco Pozza
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