Leggere i giovani in profondità

Lo sguardo indifferente della gente a me interessa niente. Guardo fisso e penso al presente al futuro ci pensa già la gente...

Leggere i giovani in profondità

da Quaderni Cannibali

del 10 novembre 2009

PRIMA PARTE

 

Non sono un esperto di giovani, sono un insegnante di Lettere in un Istituto superiore statale della provincia di Bergamo, un liceo ad indirizzo sociopsicopedagogico. Qual è l’idea fondamentale che si è formata in me? Che cosa intendo in sintesi esprimere? Un’altra visione dei ragazzi da quella del bullismo, una visione in positivo, all’interno della quale collocare e capire anche quel insieme di avvenimenti e di comportamenti di tanti giovani che vengono etichettati con quella brutta parola.

 

Riassumo alcuni aspetti emergenti dalle parole dei componimenti stessi, dei ragazzi di questo tempo (tutti hanno avuto 18 anni ma il contesto storico rende sempre diversa una comune esperienza: non ho voluto parlare dell’adolescenza in generale ma di questa generazione, della condizione dell’adolescente in questo nostro tempo). Inizio citando un testo di Galimberti: un libro sui giovani, perché i giovani - anche se non sempre ne sono consci - stanno male.

 

La condizione giovanile oggi è una condizione di sofferenza, stanno male perché un ospite inquietante - il nichilismo - si aggira tra loro. Il disagio non è esistenziale ma culturale.

La percezione di una invasiva crisi morale e valoriale non è più l’eccezione alla regola ma è essa stessa regola nella nostra società. Lo dico ancora con le parole di E. Sabato: la prima tragedia che deve essere urgentemente affrontata è la perdita del valore di se stesso che sente l’uomo.

Il presente viene assolutizzato, perché il futuro fa paura e ci si sente totalmente impotenti a cambiarne il corso:

 

L’indifferenza

Lo sguardo indifferente

della gente a me

interessa niente.

Guardo fisso e penso al presente

al futuro ci pensa già la gente

 

Lo studente autore della poesia dice la stessa cosa di Galimberti: non penso al futuro, tanto al futuro ci pensano gli altri, la gente, un’indistinta e magmatica omologazione culturale. Tutti i giovani hanno sempre fatto fatica ad entrare nella vita ma oggi c’è qualcosa che differenzia il nostro tempo, c’è qualcosa di diverso: il disagio è culturale, di contesto, è l’aria che si respira per osmosi, è un sostrato, un retroterra scettico che alimenta tutto e che si esprime in una società che ha perso il sentimento della paternità verso i giovani.

 

 

SECONDA PARTE

 

Come si percepiscono le giovani generazioni

 

Per capire i giovani d’oggi, quindi, occorre valutare il contesto storico nel quale vivono: i ragazzi che hanno scritto i temi riportati nel libro sono nati nel 1989, l’anno del crollo del muro di Berlino, la fine delle ideologie e del “secolo breve”.

 

Non è una questione di sofferenza individuale ma di cultura collettiva: è venuta meno sia la speranza religiosa sia quella fiducia nell’uomo e nella tecnica che ha alimentato le ideologie rivoluzionarie. E’ come se le giovani generazioni si percepissero all’anno zero, in quella che Bauman chiama la “società fluida”.

 

Ne esemplifico alcune caratteristiche, utilizzando le parole usate dai ragazzi nei componimenti:

 

1)     Solitudine come disorientamento

 

            Mi pongo spesso, forse sempre, la domanda di cosa farò nella mia vita, come renderò significativo il mio essere, come lascerò delle orme su questo mondo. E improvvisamente mi sento sola e insicura, insignificante davanti ad un portone aperto su una stanza buia; dovrò varcare quella soglia, ma non so cosa troverò accendendo la luce.

 

2)     Scetticismo di fronte alle imponenti contraddizioni del mondo 

 

            perché il mondo è troppo complicato per capirlo, per trovarci un senso

 

            mi facevo tantissime domande sul motivo della mia esistenza, per quanto mi sia sforzata non sono mai riuscita a trovare una risposta

 

            l’uomo non è abbastanza intelligente per scoprire il motivo della sua vita, quindi tutto è un’illusione per “fare” qualcosa nella sua esistenza

 

            Ho sedici anni e per quanto ho vissuto posso dire che il mondo è diventato un inferno, un incubo

 

            io cerco di capire questo mondo, ma siccome le risposte che mi do non sono soddisfacenti, vivo la vita giorno dopo giorno, così com’è. Questo è il mio pensiero sulla mia esistenza

 

3)     Fragilità d’autorevolezza del mondo adulto

 

            […] raramente si cerca di capire perché siamo qui, perché il mondo è fatto come è fatto. Queste sono domande troppo grandi, a cui non si riesce a dare una risposta.

Perché nessuno in realtà la sa.

           

            Nemmeno quelli che dicono di essere “adulti”, “maturi”.

           

            Questi cosiddetti ”grandi” ne sanno quanto i bambini su queste cose: tra loro parlano di politica, di grandi questioni mondiali, ma alla fine cosa sanno veramente più degli altri? Niente, è solo un’illusione. L’illusione di sapere tutto, di possedere quelle risposte che tutti cercano e di essere quindi superiori a tutti gli altri, che non potranno mai capire niente.

 

4)     Terrore di crescere senza credere in nulla

 

            Ora la mia nuova speranza per il domani è che un giorno, quando mi troverò anch’io così vicino alla morte, avrò il coraggio di cambiare e di vivere sotto una nuova bandiera: quella di Dio. (in un tema a proposito dell’ Innominato manzoniano).

 

            C’è una paura che agita i pensieri di tanti ragazzi: il terrore di crescere senza credere in nulla. Quando un ragazzo comincia a pensare si chiede: io che valori trasmetterò ai miei figli? Quali sono i miei valori? In cosa credo? Che ideali ho? Ecco che si affaccia nei testi la “questione di Dio”.

           

            Difficilmente Dio viene citato nei temi e non mi sento di dire se ciò accada per una comprensibile forma di rispetto e di discrezione oppure perché la trascendenza non è generalmente oggi nei ragazzi un orizzonte di risposta alle grandi domande della vita.

 

5)     Precarietà

 

            […] noi ragazzi dovremo frequentare le scuole obbligatoriamente fino ai 18 anni, dove le scuole saranno per la maggior parte licei; è ovvio che subito dopo aver terminato il Liceo ci si dovrebbe iscrivere in Università e dopo questa, magari, servirà un corso di specializzazione…In conclusione studieremo fino a ottant’anni, mentre staremo perdendo i capelli, perché “crescina” non aiuterà più e mentre ci scenderà la bava dalla bocca perché ci addormenteremo, ma il momento più vivace resterà l’intervallo, quando parleremo dei nostri reumatismi, mangiando prugne per non perdere la dentiera e perché, senza pensione, non avremo più soldi per poter comprare altro.     

           

            Che schifo! Non sono affatto d’accordo! Sono concorde anch’io col dire che l’istruzione è fondamentale, ma così è esagerato.

 

6)     Paura, noia, rabbia

 

            La realtà di ogni giorno la potrei paragonare ad un mondo parallelo, un mondo che assomiglia ad un enorme, grandissimo campo di battaglia. E il campo di battaglia è così deserto che nulla può aiutarmi. Su un fronte tre grandi nemici: la noia, la rabbia, la paura.

 

            Sull’altro fronte io, piccolo essere di fronte a tre nemici così grandi. Tutti diversi e l’uno più potente dell’altro. Nella vita di ogni giorno li trovi sempre, ti attaccano e ti fanno star male, ti portano a non accettare più quello che si ha dentro, quello che si è.

 

 

7)     Incertezza nell’identificazione dei propri desideri

 

Penso che questo sia un aspetto caratteristico dell’adolescenza, della giovinezza: infatti si desidera sempre qualcosa ma non si sa cosa, vi è l’incertezza del futuro ma la speranza in tutto, ed è caratterizzata anche dall’alternanza dei due stati d’animo.

 

La vita intera credo sia attesa, sembrerà una frase stupida, eppure sono convinta che sia così: si spera e si aspetta nell’avere di più, nella salute, nell’amore, nel lavoro e nel migliorare la vita stessa. Se una poesia ha la capacità di far scaturire un insieme di pensieri, riflessioni, emozioni, colori, allora diventa una delle meraviglie del mondo.

 

Ho rapidamente individuato alcuni motivi ricorrenti nei componimenti, che ci parlano di come “l’ospite inquietante” (il nichilismo) si manifesti nel profondo della sensibilità e del giudizio che tanti ragazzi hanno della realtà in cui vivono.

 

 

TERZA  PARTE

 

Oltre il nichilismo

 

Comincio ora l’ultima parte della mia riflessione: che cosa i ragazzi hanno espresso in positivo, oltre il nichilismo? Sono andati oltre, perché la necessità di vivere, l’energia vitale spinge sempre la natura del giovane a forzare il giudizio razionale sul mondo e a far prevalere la sua esigenza affettiva, il suo “cuore”, perché – come ricorda Goethe – l’uomo è un essere volto alla costruzione di senso e nel giovane la logica è sempre fusa a un sentimento che si impadronisce di tutto l’essere (Dostoevskij).

 

Ecco le parole di un componimento di una ragazza di 17 anni

 

Eppure anche se non ce ne accorgiamo, la giovinezza è un regalo, che non richiede nulla in cambio. La giovinezza è meraviglia, stupore e proprio per questo, per farla permanere anche negli anni che passano, dobbiamo ritrovarla nelle piccole cose splendide che si possono vedere in qualsiasi momento in natura e nell’uomo. E quindi è importante osservare e imparare ad amare e ringraziare per tutto ciò che esiste.

 

Procedo per accenni:

 

1) Innanzitutto nel testo sostengo che, a differenza di quanto descrivono i media, di come spesso essi hanno dipinto i ragazzi di oggi, sulla base di isolati fenomeni di quello che viene comunemente chiamato “bullismo”, abbiamo a che fare con una generazione di adolescenti molto intelligente. Quando smettono di parlare per luoghi comuni, retoricamente e dicono veramente qualcosa di sè, immediatamente colpiscono per l’intelligenza, tanto che siamo costretti a chiederci: “siamo capaci di rispondere a ciò che domandano”?

 

Non sono semplicemente la generazione del vandalismo, dei sassi gettati dal cavalcavia, delle stragi del sabato sera, della goliardia a scuola. Non nego la presenza e la gravità di tali fenomeni, critico il fatto che a livello mediatico non ci sia stata un’altra lettura, una lettura che non si limitasse a descrivere degli episodi ma cercasse di spiegarli. Si parla dei ragazzi con un distacco incomprensibile, una diffidenza, quasi venissero da un altro pianeta, come non fossero il frutto e il prodotto della nostra educazione e della nostra società, li si giudica con distacco, perché non si vuole arrivare a giudicare noi stessi, gli adulti, che in loro raccolgono ciò che hanno seminato.

 

2) Se si ha a che fare con persone intelligenti, bisogna rapportarsi con loro in modo intelligente: ciò significa che la relazione scolastica deve avvenire tra persone che hanno dignità, libertà, che si stimano, come afferma Camus: Nella classe del signor Bernard i ragazzi sentivano di esistere..li si giudicava degni di scoprire il mondo.

 

Il ragazzo a scuola percepisce subito se ha davanti uno che lo giudica degno di scoprire il mondo oppure uno che gli trasmette delle nozioni da imparare, al di là della comprensione di cosa esse c’entrino con la realtà che c’è fuori dalla finestra. Dove manca l’intelligenza e l’educazione all’uso consapevole della ragione nella relazione è inevitabile che la relazione diventi povera.

 

3) Altro motivo dominante nei componimenti è questo: noi vogliamo che qualcuno ci ascolti, aderisca al nostro vissuto. La gran richiesta che viene è quella di essere ascoltati e di essere ascoltati davvero. Il ragazzo ha bisogno di un interlocutore, vuole essere ascoltato, perché ritiene che ciò che vive sia importante, anche se l’adulto è così distante dalla condizione dell’adolescente da non sentirlo più come tale.

 

4) Fondamentale: vogliamo essere ascoltati senza sentirci giudicati. Il ragazzo non chiede che l’adulto sia coerente, non punta l’indice sull’incoerenza dell’adulto, chiede che l’adulto sia leale, percependo che tante difficoltà e domande sono sue come dell’adulto. Allora non si deve cercare di “sdrammatizzare”, affermando la validità di valori che egli percepisce immediatamente non essere interiorizzati in chi sta cercando di comunicarglieli.

 

Se non sai rispondere a ciò che ti chiedo non trasmettermi finti valori, cerca con me, coinvolgiti con il mio vissuto. Siamo adulti capaci di dire qualcosa a questi ragazzi? Sul significato di quello che fanno e di quello che vivono? I giovani hanno bisogno di qualcuno che crede in quello che dice, hanno bisogno di proposte credibili, di un’ipotesi di senso (Ogni nostra paura ha la sua collocazione nell’amore, Sant’Ilario) o – come afferma Pavese – di dare alla propria sofferenza un significato.  

 

5) I ragazzi chiedono di essere responsabilizzati, chiedono fiducia, sono stanchi di essere parcheggiati nei master, nei corsi di specializzazione, tenuti in una condizione di precariato che non consente loro di mettersi in gioco, in percorsi scolastici che diventano sempre pi√π lunghi, per accedere ad un mondo del lavoro precario, in cui si sentono nulla.

 

Quanta tristezza abbiamo messo nel cuore dei ragazzi in tutti questi anni, tra distruzione delle certezze, paura del futuro, invasione di prodotti tecnologici (cellulare, computer, auricolare, lettore di musica iPod....), che hanno avuto la terribile conseguenza di isolarli in una dimensione sempre più individuale, in un deserto relazionale dove la realtà affettiva è diventata un miraggio.

 

Ecco, sono arrivato a quello che – a mio parere – è il punto: ai ragazzi d'oggi manca una essenziale paternità, la percezione di essere amati, stimati, non lasciati soli ed a se stessi nella ricerca di un significato per la loro esistenza, mancano loro adulti accoglienti e capaci di coinvolgersi autorevolmente in una relazione educativa. Educare: la sfida che ci aspetta.

 

 

 

Matteo Lusso

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