Questa notte ho fatto un sogno, i miei alunni non avevano più un volto, i loro nomi erano diventati numeri, ed io ero sommerso da libri, registri e mucchi di fotocopie. Mi sono svegliato di colpo e così ho cominciato a scrivere...
del 16 settembre 2009
Carissimi Prof.ssa e Prof.,
sono Carlo, ma anche Sara, oppure potrei essere Alberto, Maria, Paola: insomma uno dei vostri alunni.
Ho pensato di scrivervi all'inizio di quest'anno scolastico e spero abbiate un minuto per leggere questa lettera tra le tante carte in cui siete immersi e le numerosissime riunioni, programmazioni, aggiornamenti, progetti, ecc. Vi scrivo come scriverei ad un amico - non vi offenderete per questo - ma spesso la cattedra crea barriere quasi invalicabili e io mi faccio sempre più piccolo dietro un banco già troppo piccolo. Lo so che non potete e non dovete essere degli 'amiconi', ma nemmeno degli estranei o dei contabili. Ritorno a scuola dopo un'estate serena, con la voglia di rivedere i miei compagni e, perché no, anche voi. Mi auguro che lo stesso valga per voi, che il pensiero che ricominci la scuola non sia un peso, che non vi annoi il fatto di avere davanti degli alunni non sempre all'altezza della situazione o un po' esuberanti o magari con qualche problema irrisolto in famiglia. Sì la famiglia, quella che mi piacerebbe trovare in classe almeno per quanto riguarda lo stile, che credo si chiami familiarità, nel modo di discutere, di stare insieme, di organizzare i vari momenti, di scherzare, di studiare. Non vi chiedo di essere mamma, papà, nonno, fratello, cugino, ma almeno di considerarmi una persona con i propri limiti e ricchezze, capacità e debolezze. Forse penserete che io stia esagerando, che stia andando oltre i limiti, che le stia sparando grosse, ma mi chiedo, da qualche anno, perché i Proff. debbano sempre avere ragione, non possano mai chiedere scusa oppure ammettere di aver sbagliato. Conoscere il greco, l'inglese, la matematica, la chimica, l'italiano corrisponde forse a possedere la verità assoluta? A proposito di materie mi domando pure che senso abbiano tante nozioni, molteplici datazioni, grandi teoremi imparati a memoria, quando poi, se mi permetto di esprimere la mia opinione su qualcosa, mi sento rispondere che il programma non lo prevede o che sono troppo giovane. Ma come faccio a crescere se non c'è nessuno che mi dia la possibilità di sbagliare e correggermi senza mettermi in ridicolo davanti agli altri, senza rimandare a domani qualcosa che potrei apprendere subito solo perché la campana ha suonato? A volte in classe mi sento solo anche in mezzo ai compagni, la mia identità è confusa, mi sento un numero di un elenco, che vive appena l'emozione o la paura di essere chiamato quando si apre il registro. Eppure mi basterebbe poco, una parola, un sorriso, una pacca sulla spalla, un incoraggiamento, un 'sta' sereno', un 'vali più di un voto'. So, miei cari Proff., che non è facile insegnare e che noi siamo dei veri ossi duri, che non vi diamo tregua; so pure che lo stipendio non è alto e che meritereste molto di più. Ma avete scelto voi di percorrere questa strada, di rischiare di incontrarmi, di mettere a disposizione le vostre competenze, il vostro tempo, la vostra passione e di questo vi ringrazio. Infine ho due richieste da farvi a cuore aperto e con anticipata gratitudine: quest'anno datemi un po' più di fiducia e per favore chiamatemi, rimproveratemi, lodatemi usando il mio nome proprio!
 
 
Marco Pappalardo (Docente di Lettere al Liceo Classico e Scientifico 'Don Bosco' di Catania)
Marco Pappalardo
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