Nell'ottica di rendere sempre più e sempre meglio la FdG uno strumento pastorale anche per i circa 5.500 ragazzi che vi hanno partecipato, abbiamo scritto una breve guida che fa emergere meglio i rapporti tra storia e messaggio.
del 15 marzo 2009
 
 
  
La riflessione del Rettor Maggiore contenuta nella strenna di quest’anno è stata tradotta dall’MGS Triveneto nello slogan “SPLENDETE COME ASTRI NEL MONDO”, siate cioè luce del mondo soprattutto nel momento buio, nella notte.
Astri nel mondo. Chiamati a portare luce.
Astri nel mondo. Chiamati a indicare rotte di vita.
Astri nel mondo. Chiamati a segnare il futuro lavorando nel presente.
Astri nel mondo. Chiamati a pensarla diversamente dalle logiche di disperazione, di rassegnazione, di mediocrità che troppo spesso sono così vicino a noi. Come è a Emmaus.
Forse è per questo che all’ultimo Sinodo della Parola di Dio, don Pasqual Chavéz ha usato questo brano come quello più adatto per indicare ai padri sinodali il rapporto tra giovani e Parola di Dio.
Lo spettacolo della FdG nasce per riattualizzare la storia di Emmaus, autentica parabola del cammino di chi è in cerca della verità e del volto di Dio.
E al centro di Emmaus, le mani.
Le mani che spezzano il pane. Certo. Ma anche le mani che salutano, che accolgono, che prendono… mani che a volte allontano, mandano via.
Mani che ritmeranno tutta la storia contando da uno a cinque i tempi della storia. Come ci dice fin dall’inizio il coro di una piazza dove sta per giungere una manifestazione…
 
UNO, Ognuno è Qualcuno!   
DUE, Né asino, né bue!    TRE, Un altro oltre te e me! 
QUATTRO, Stupirsi del contatto! CINQUE, Siamo ora al dunque!
 
 
Cinque ragazzi si ritrovano a manifestare. Chi sa il perché. Chi ci crede. Chi ci va quasi per gioco.
Ognuno però vuole dire la sua. Perché ogni ragazzo a suo modo vuole essere qualcuno. Vuole riuscire a dare il meglio di sé. Partecipare significa questo. Farsi ascoltare, ma da chi? L’unico adulto che passa è un prete (un prete?) che sembra anche un po’ tocco (o straniero?). Ci sarà da fidarsi?
  
Un convegno andato male e una piazza che degenera.
Adulti con le risposte troppo pronte e poco piene. Adulti con sorrisi a perdere, senza sostegno. Adulti che deludono.
Allora l’urlo. Di dire cosa si vuole della delusione e poi la fuga (se ne vanno, come se ne sono andati i discepoli di Emmaus). Ma scappare non serve. La risposta è insieme. Da soli si crolla o si scoppia. Scoppia il caos, scoppiano le certezze, scoppia la rabbia e il sorriso diventa paura.
Dice un giovane: “Non ci sto a portare pesi imposti da altri, ma non ci sto neanche che altri decidano per me!  Né asino, né bue. Ma qui è un macello. In tutti i sensi. La strada non la vedo più… Ho paura. Chi mi darà una mano?”
La mano arriva. Strana. Sembra straniera. Mi chiama, mi attira, mi tira. Mi salva.
 
 
Il miracolo dell’incontro (come “lo straniero” per i discepoli). Il miracolo di un altro che mi cerca, che mi vuole conoscere. Un altro ma non generico. Un altro che è diventato importante per me,  perché non si è spaventato della mia notte: si è fatto prossimo vedendo la luce che potevo essere.
E dall’ascolto della mia paura di giovane in perenne standby nasce la sua parola forte e chiara che intreccia i miei perché e i miei no con la Parola e mi invita a: “Non aspettare più perché è venuto un tempo, questo, in cui tocca proprio a te!”.
 
 
Un incontro che mi porta ad un altro incontro.
Un uomo che mi porta a un altro uomo… o forse di più.
Sì di più, perché il cuore si infiamma, perché si riconosce la verità. Perché Dio mi è più vicino di quanto pensassi si è fatto pane per essere intimo del mio intimo e dal mio intimo mi illumina e mi spinge. Perché se è vero, come è vero, che Cristo è risorto allora tutto cambia. Tutto. Anche la mia opinione sui luoghi comuni.
Allora posso tornare. Non perché ho perso ma perché ho capito che tocca a me. Sono un seme. Per diventare quello che sono devo stare nella terra non in aria.
Tornare perché quel prete, straniero, che mi sembrava sciocco mi ha fatto capire la strada e tornare ora è la vera novità.
 
 
Tornato. Ho fatto la pace con gli altri perché ho fatto la pace con me. Ma non basta. Shalom, la pace, non è assenza di guerra: è pienezza di vita. Ora so che se le cose andavano male era perché mancava qualcuno che facesse la sua parte. Mancavo io. Ora tocca a me. Tocca a noi.
Perché sono chiamato a essere un astro che splende nel mondo. Qualcuno ha accesso la luce che era in me. Sono un astro, sapendo che se intorno a me è notte è normale, ma sapendo ancor di più che una stella vera è chiamata a essere stella e costellazione. Insieme.  Perché, come dice Lele, nella sua ultima battuta: “Questo è un tempo tutto nuovo, è il tempo che tocca a noi!”.
 
 
 
 
don Silvio Zanchetta, Gigi Cotichella
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