E' questo che mi ha colpito del libro Nella carne, col sangue: l'esperienza della vita e della morte, della gioia e del dolore; e poi innamoramento e amore, figliolanza e paternità, incredulità e fede...
«Love is love». Slogan all’ultima moda, nell’accezione obamiana, sentimental-zuccherosa, che giustifica e rende lecito ogni desiderio. Ma sentite un po’ questa storia. Ciascuno pensi quel che vuole, io dico la mia. O «love is love» è questa roba qui: «nella carne, col sangue», o è merce contraffatta, buona per un giro di stagione.
Solo poche righe, nella quarta di copertina, avvicinano al contenuto del libro di cui parlerò. «In questo stralcio di vita narrata l’autore racconta il cammino che lo ha portato dall’incredulità alla fede, attraverso l’esperienza del matrimonio e della paternità, nel dolore per la perdita di tre figli fino al raggiungimento di una profonda consapevolezza: d’essere un uomo comune che si sente speciale perché amato da Dio».
E’ questo che mi ha colpito del libro Nella carne, col sangue, dell’autore milanese Andrea Torquato Giovanoli: tutto, di lui, riassunto in cinque righe. L’esperienza della vita e della morte, della gioia e del dolore; e poi innamoramento e amore, figliolanza e paternità, incredulità e fede… Tutto.
Il libro è così. Un uomo che per 115 pagine apre le porte del cuore e racconta che la vita è cammino, e come e quanto si può imparare dagli ostacoli (ma lo capisci solo dopo: quando cerchi di vedere la trama e l’ordito della tua storia personale e familiare).
Non voglio scendere nei dettagli: il libro si legge d’un fiato, e il lettore si sente di casa da subito. Chi vorrà accostarsi a questo testo (che non è un romanzo, è una testimonianza) incontrerà la storia umanissima del protagonista, che dopo le ritrosie iniziali – che sono le nostre – accetta pian piano il suo essere “creatura”, e cioè costantemente creato. Lascia che sia un Altro a prendere l’iniziativa; solo allora gusta la libertà vera. E scopre che è possibile «non vivere più solo da uomini, schiavi di una contingenza drammatica e priva di senso, ma di vivere già da Dio, sperimentando, nella carne e col sangue, come le situazioni umane normalmente considerate disgraziate possono essere in verità, se vissute alla luce della rivelazione del Dio incarnato, crocifisso e risorto, cagione di quella perfetta letizia di cui parlava San Francesco al suo confratello Leone, accogliendo, con un atto di libera adesione della propria volontà a quella divina, la vera pace del cuore che solo l’Onnipotente può concedere e che consente ai martiri di andare incontro alla morte col sorriso». Questo gli permette di accogliere la vita (e la morte) di tre figli, nella certezza che «il solo esistere è garanzia di essere amati, pensati con cura immensa istante per istante, fin da prima del tempo e con destinazione l’eternità». E ci ricorda che noi genitori siamo solo “procreatori”, perché il Padre è Lui. «Perché io sono chiamato a vivere in comunione con Dio la Sua genitorialità su ogni uomo – scrive – e ciò mi è ultimamente d’opportunità per comprendere appieno la mia figliolanza a Lui».
Altro che “autodeterminazione”! Finito di leggere, si comprende il senso della copertina, disegnata dallo stesso autore. Padre e figlio (ma si scorgono solo le loro braccia) si tengono per mano. Un chiodo trafigge le carni, e le unisce in un legame che è destinato a durare per l’eternità.
Perché è vero: “Love is Love”. Ma solo se Amore ha la lettera maiuscola.
Luisella Saro
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