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Ma questo non c'è nel programma!

Fare l'insegnante è una vocazione stipendiata. Per non parlare del sacerdote, che è una vocazione e basta. Una vocazione il cui stipendio è l'unicità della persona, sempre degna di ogni sforzo. Anche se tutti i ragazzi del mondo fossero superficiali e immorali, siamo “chiamati” a prendercene cura. Dio si fa uomo proprio perché l'uomo ha bisogno di lui e risveglia nell'uomo la nostalgia di quel cielo che l'uomo è capace di guardare...


Ma questo non c'è nel programma!

da Quaderni Cannibali

del 27 aprile 2011

 

 

          Mi ha scritto una diciottenne, che ha proposto la lettura di un mio articolo, durante l’ora di religione. Nell’articolo invitavo i ragazzi a desiderare cose grandi e gli adulti a mostrarle attraverso la loro vita, dando spazio all’istanza centrale dell’adolescenza: la fame di bellezza, verità, bene.

          Quindi invitavo ad approfondire la domanda di senso sul mondo e le persone, vero banco di prova perché l’io rispecchiandosi nel mondo, si conosca e ami, e possa quindi emergere e costruirsi secondo la propria vocazione. La vita ci è data e l’adolescenza è la stagione per accettare questo “dato” come “compito”: vocazione (chiamata e risposta). Solo il senso e la ricerca di senso dà all’io dell’adolescente gli strumenti per scoprire ciò che è venuto a raccontare di unico, ciò che è venuto a creare. Un proverbio ebraico dice che Dio ha creato l’uomo per sentirgli raccontare storie. Noi raccontiamo la nostra storia quando l’assumiamo come compito: la nostra e quelle di chi ci è affidato.

          La ragazza racconta che i ragazzi erano attenti e interessati, ma che ad un tratto il professore, un sacerdote, l’ha interrotta dicendo che la realtà descritta nell’articolo non esiste e che i ragazzi cercano solo cose materiali e divertimenti effimeri, altro che il senso… La ragazza ha risposto alla forzatura ideologica (generalizzante e pessimista nel confondere i sintomi con le cause) con l’evidenza della carne: lei era la testimonianza di quella ricerca. Il professore l’ha rimproverata del fatto che quella ricerca non emergeva dal sul modo di stare in classe e che le domande fondamentali della vita erano nel programma di secondo anno e non era suo compito tirarle fuori.

          Fare l’insegnante è una vocazione stipendiata. Per non parlare del sacerdote, che è una vocazione e basta. Una vocazione il cui stipendio è l’unicità della persona, sempre degna di ogni sforzo. Anche se tutti i ragazzi del mondo fossero superficiali e immorali, come li descriveva il professore, a maggior ragione saremmo “chiamati” (vocazione è ciò che la realtà chiede, non quello che noi vogliamo la realtà sia) a prendercene cura. Dio si è incarnato a dispetto delle statistiche e si è occupato di coloro che ricadevano sotto il suo raggio di azione spazio-temporale di 33 anni in Palestina, e spesso erano proprio i cosiddetti “peggiori”. E lui era venuto per quelli.

          Si fa uomo proprio perché l’uomo ha bisogno di lui e risveglia nell’uomo la nostalgia di quel cielo che l’uomo è capace di guardare, ma spesso dimentica come fare. Gesù dava del tu a tutti, non generalizzava, cercava e trovava il bene sempre, sapeva contare sempre e solo fino a uno: la persona. Si occupava del bene piccolo, lo curava e lo faceva crescere, come il Padre si prende cura dell’erba del campo.

          Lo chiamavano Maestro, perché aveva l’autorità della verità unità all’amore. Ogni maestro, partecipa alla vita del Maestro: essere mediatore di conoscenza vera e dare spazio e fiducia al bene che c’è in ogni uomo, lasciandolo libero di scegliere. Il giovane ricco se ne andò, anche se il Maestro gli disse la verità e “fissatolo lo amò”.

          L’insegnamento è arte dell’incarnarsi, entrare nelle contraddizioni del caos del cuore adolescente e dare fiducia a quel caos. Educare è educare alla libertà sino al rischio di fallire, ma lasciare la porta aperta per un ritorno del figlio che temporaneamente (cioè per tutto il tempo della libertà) si è allontanato. Inganno sarebbe seguire il figlio nella sua fuga dalla realtà. Pensate se il prodigo si risvegliasse con il padre a fianco, a pascolare i porci con lui. Inganno è anche rimanere arroccati nel proprio castello e giudicare in modo sprezzante il figlio che torna pentito dal sul caos, per mettere un po’ di ordine. L’amore del Padre è preventivo, è roccia, non è conseguenza dei meriti del figlio. L’ho visto fare a Padre Puglisi nel mio liceo, di lui scrive una studentessa: “Non plasmava, non condizionava, non imponeva, non giudicava, attendeva i tempi di ognuno. Anche se bisognava aspettare anni. Parlando metteva in evidenza le cose belle, il cammino fatto, anche se piccolo. Diceva: guarda sei migliorata, ora fai un altro passo”.

          Vorrei avere anche io quella pazienza che sa aspettare e andare incontro quando finalmente uno spiraglio si apre, che mette in evidenza il piccolo passo positivo. A questo è chiamato un maestro, questa è la sua vocazione. Chi sta con adolescenti è chiamato ad accettarne il caos, sapendo che è la strada per l’ordine, solo chi è nel caos tumultuoso dell’adolescenza ha fame di senso. Il Maestro non ha avuto paura del caos dell’uomo, ci è sprofondato dentro, si è fatto caos, per ridarci l’ordine.

 

Alessandro D'Avenia

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