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Maledetta vecchia Italia: ancora per quanto?

Il giovane che fa? Poco o nulla. Non reagisce perché è cresciuto nella logica della vecchiaia, così teme di sconvolgere o solo modificare equilibri, sistemi. Da un articolo del blog Il Cortile dei Gentili, il nuovo luogo d'incontro dove il dialogo è organizzato in duetti (credenti- non credenti).


Maledetta vecchia Italia: ancora per quanto?

da Quaderni Cannibali

 

Una mattina leggevo un rapporto delle Nazioni Unite dove si dice che nel mondo 870 milioni di persone soffrono la fame. Così, colto da un sussulto di angoscia e rabbia, ho pensato a noi, alla nostra situazione nazionale, al mondo produttivo, all’etica pubblica e a  tutta una serie di questioni personali e sociali. Poi, aprendo la mail mi è apparsa ancora la plastica immagine che circola da giorni in rete (e sulla bocca di tanti) con le manifestazioni giovanili in Spagna, Grecia, Francia nello stesso momento in cui da noi ci si mette in fila per ottenere quella sorta di gabbietta contemporanea che risponde al nome di I-phone 5. Infine ho pensato al 50° anniversario di apertura dei lavori del Concilio Vaticano II.  

 

Così mi sono chiesto: di fronte a una contingenza a tutti i livelli come quella attuale (per livelli intendo, a crescendo: persona e sua interiorità, rapporti tra persone, società, società e Stato, Stato con Stato) segnata dalla difficile e spesso vilipesa relazione tra libertà, dignità, educazione e giustizia, perché noi dai 18 ai 40 anni non ci aggreghiamo? Perché non avanziamo? Perché, poi, in questa Italia da basso impero, il giovane nello spazio pubblico è inteso o come carne da cannone (veline e calciatori) o – se gli va “bene”, come soggetto da cooptare nel melmoso sistema nazionale? Vedi, a questo proposito, i “giovani” politici o “giovani” autori ecc. che sono più nichilisti e insulsi dei meno giovani che li hanno posizionati lì dove oggi sono (per intenderci, era mille volte meglio un barone dei tempi che furono di un docente sessantottardo).

Ebbene, perché non riemerge quello spirito conciliare di entusiasmo, liberazione, creatività, speranza, proprio di quel lontano evento (quello sì, un evento. L’evento è questo, non un’inaugurazione con aperitivo annesso)? Mi sono risposto così: perché l’Italia è un Paese morto, senza futuro. Un Paese retto da vecchi, che in quanto vecchi non possono che obbedire alla logica della vecchiaia, che è conservativa, non innovativa, di sopravvivenza. Mi viene in mente una bellissima espressione toscana: “il vecchio regge l’anima coi denti”. Ecco, in ogni ambito il vecchio resiste e occupa. Fa ciò che gli comanda la vita. Ma il giovane che fa? Poco o nulla. Egli non reagisce perché è cresciuto lui stesso nella logica della vecchiaia, così teme di sconvolgere o solo modificare equilibri, sistemi. Cos’è questo se non un volto tangibile del famoso nichilismo?

 

Il Cortile dei Gentili è una delle mie ultime speranze. Avrà un grande futuro se si farà - unico, credo, in questo Paese – terreno di promozione di idee e giovani personalità di qualità. 

Questo non è sciocco giovanilismo demagogico e facilone. C’è n’è fin troppo, e di maniera. Io chiedo ai miei coetanei di aggregarsi per promuovere le loro qualità (anche professionali) migliori. Questo blog è a totale disposizione.

Il portale ufficiale del Cortile dei Gentili: di cosa si tratta?

Il Cortile dei Gentili è un suggerimento di Papa Benedetto XVI poi sviluppato dal Cardinale Ravasi, con lo scopo di creare uno spazio neutrale d'incontro tra credenti e non credenti. 

 

Il concetto di Cortile dei Gentili arriva da lontano. Correva l’anno 20-19 aC, il re Erode diede inizio a grandi lavori di rinnovamento, quasi di ristrutturazione, del secondo tempio di Gerusalemme, costruito dopo l’esilio. La particolarità di questo tempio era che, oltre alle aree riservate ai membri del popolo di Israele (uomini, donne, sacerdoti), fu predisposto uno spazio nel quale tutti potevano entrare, giudei e non giudei, circoncisi e non, membri o no del popolo eletto, persone educate alla Legge e persone che non lo erano: i gentili o pagani. In questo spazio, inoltre, si radunavano rabbini e maestri della Legge disposti ad ascoltare le domande della gente su Dio, e a rispondere in uno scambio rispettoso e misericordioso. Questo era il cortile dei gentili o pagani, in latino l’atrium gentium, uno spazio che tutti potevano attraversare e nel quale potevano permanere, senza distinzioni di cultura, lingua o professione religiosa, un luogo di incontro e di diversità in cui si poteva dialogare sui temi importanti.

 

Questa è l’ispirazione per il Pontificio Consiglio della Cultura: «il Cortile dei gentili», luogo d’incontro e di dialogo, spazio di espressione per coloro che non credono e per coloro che si pongono delle domande riguardo alla propria fede, una finestra sul mondo, sulla cultura contemporanea e un ascolto delle voci che vi risuonano.

 

È stato aperto uno spazio al quale tutti possono accedere e partecipare alla ricerca del Dio sconosciuto.

 

Il Cortile dei Gentili, oggi, è uno spazio di confronto e dialogo che si muove su due fronti: gli incontri fisici e lo spazio virtuale. Il Cortile organizza eventi in diverse città del mondo allo scopo di creare dialogo e percorsi differenti per pensare il circostante: la bellezza, la legalità, la trascendenza, la scienza, l’arte ecc. Il dialogo è organizzato in duetti (credenti- non credenti) tra intellettuali di spicco della cultura laica e cattolica.

Il Papa scrive al Cortile dei Gentili: l’ateo viva «come se Dio esistesse»

«Sarebbe bello se i non credenti cercassero di vivere "come se Dio esistesse". Anche se non abbiamo la forza di credere, dobbiamo vivere sulla base di quest’ipotesi, altrimenti il mondo non funziona. Ci sono molti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto se Dio non è posto al centro, se Dio non diventa nuovamente visibile nel mondo e determinante nella nostra vita».          

Benedetto XVI lo dice ai partecipanti al «Cortile dei Gentili», che si è aperto il 16 novembre a Guimaraes e prosegue oggi a Braga, in Portogallo, «per affermare il valore della vita umana sopra la marea crescente della cultura della morte». Nel suo messaggio il papa ricorda che «la consapevolezza della sacralità della vita che ci è affidata, non come qualcosa di cui si può disporre liberamente ma come un dono da conservare fedelmente, appartiene al patrimonio morale dell’umanità». Ma qualcuno potrebbe allora obiettare: «Se la ragione può accreditare tale valore della vita, perché chiamare in causa Dio?». Benedetto XVI risponde con un esempio e un’esperienza: «La morte di una persona cara è, per coloro che la amano, l’evento più assurdo che si possa immaginare: ella è senza alcun dubbio degna di vivere, è buono e bello che esista (un filosofo direbbe che buono e bello trascendentalmente si equivalgono). Invece la medesima morte della medesima persona, agli occhi di chi non la ama, appare come un evento naturale, logico (non assurdo). Chi ha ragione? Chi ama o chi non ama?».

La risposta del pontefice è netta: «La prima posizione è difendibile solo se ogni persona è amata da un Potere infinito, ed ecco il motivo per cui è necessario richiamarsi a Dio. In realtà, colui che ama non vuole che la persona cara muoia, e se potesse lo impedirebbe per sempre. Se potesse... L’amore finito è impotente, l’amore infinito è onnipotente... Sì! Dio ama ogni persona e quindi ognuno è degno di vivere, senza condizioni». Il papa offre infine un secondo esempio per spiegare l’irrazionalità di chi voglia sfuggire a tale lettura: avviene «quasi come negli edifici in cemento armato senza finestre, dove è l’uomo che provvede al clima e alla luce; e tuttavia, persino in un mondo auto-costruito si deve far ricorso agli "aiuti" di Dio, che si trasformano in nostri prodotti»... Insomma, alla fine «il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste... Colui che si apre a Dio non si aliena dal mondo e dagli uomini, ma incontra dei fratelli: in Dio cadono i nostri muri di separazione, facciamo parte gli uni degli altri».‚Äã

Vittorio V. Alberti

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