Oggi iniziano gli esami di maturità per moltissimi giovani. Ecco una lettera dedicata loro dal prof. Marco Pappalardo (salesiano cooperatore)
Carissima maturanda e carissimo maturando, mentre qualcuno dei tuoi parenti e dei tuoi amici leggerà questa lettera, tu – maturanda/o del 2024 - sarai già in piedi in attesa di recarti a scuola o insonne seduto sul letto in vista di affrontare la prima prova scritta; forse la leggerai dopo, quando tutto sarà compiuto. La notte non è stata facile per te, ti avevano avvisato o, come diresti tu, “te l’avevano tirata”; anche per i più sicuri questo primo vero esame non lascia sogni sereni. Stai lì in attesa del giorno, di quella sveglia che per anni è stata odiata ma che, quando serve, non vuole suonare mai. Non si dorme in casa, non lo fanno neppure i tuoi genitori che riprovano una sensazione vissuta molti anni prima. Per una volta nella vita scolastica i vestiti, scelti con attenzione e cura, sono già pronti dalla sera prima e persino lo zaino è lì ad attendere con un carico inusuale e poco noto, quello del vocabolario d’Italiano. Sulla scrivania è in evidenza il documento di riconoscimento che più guardi, più mostra quella foto di cinque anni prima, facendoti rivedere in pochi istanti – come nei film prima di qualcosa di estremo – pezzi fondamentali della tua vita.
Che faranno i compagni? A che cosa staranno pensando? Andrà tutto bene? E i commissari esterni? Dall’inizio dell’anno scolastico hai sentito ripetere: «Mi raccomando, quest’anno non sarà come tutti gli altri, poiché ci sono gli esami di maturità»”; in realtà, l’anno è stato proprio simile agli altri con la sola differenza che oggi dormiresti tranquillo e abbronzatissimo fino a mezzogiorno. La colazione preferita, quella voluta ogni mattina come l’ultimo desiderio di un condannato a morte e mai avuta, ti è stata preparata con dolcezza, ma proprio ora che il tuo stomaco è chiuso con più lucchetti, puoi restare solo a guardarla. Oggi non si guida né si va a piedi, ti accompagnano mamma o papà alla maniera dei vecchi tempi, temendo che possa accaderti qualcosa pur abitando di fronte alla scuola o che possa scappare chissà dove. Neanche il tempo delle ultime raccomandazioni – che naturalmente non hai ascoltato per niente – che ti ritrovi con un bacio sulla guancia della mamma che eri riuscito a sfuggire per diversi anni sentendoti grande; papà, invece, ti saluta come se stessi partendo per la guerra e non dovessi più tornare. Ormai sei a scuola, non è un incubo o forse sì, sei sveglio e con te la tua classe per raccontarvi il modo in cui avete passato la notte prima degli esami e cosa vi siete portati per la merenda.
Con i tuoi compagni è tutta un’altra storia. Scrutate i prof che arrivano, cercando di capire chi è il commissario esterno di cosa, mentre i prof interni con lo sguardo semiserio cercano di rassicurarvi ma non troppo. Qualcuno vi dice che potete andare verso l’aula prescelta e vi muovete in gruppo al pari di un esercito disorientato finché non prendete posto in quei banchi che non sentite vostri, ma dei quali dovrete innamorarvi in brevissimo tempo. Le penne sono schierate, penne che finalmente sono tue e non prestate da un compagno come per i cinque anni precedenti; prendi le misure e ti guardi intorno per capire i possibili alleati e le strategie. Il telefono, il tuo più fidato amico, è lontano e abbandonato, lì sul banchetto vicino ai commissari, e per la prima volta in molti anni dovrai stargli lontano almeno tre ore piene. Intanto la fatidica busta è stata aperta e le tracce ti sono appena arrivate in mano; ora è il tuo compito d’Italiano, ora è tuo compito continuare a scrivere e scrivere quello che questa pagina di Diario, essendo scritta da un prof, non può. Coraggio, tutto comincia ora.
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Articolo di Marco Pappalardo
Tratto da: Avvenire.it
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