Due testi biblici chiedono al cristiano di pregare «sempre», «senza interruzione». Nel Vangelo di Luca Gesù pronuncia una parabola sulla «necessità di pregare sempre, senza stancarsi», e Paolo comanda: «Pregate senza interruzione». Com'è possibile...?
del 01 gennaio 2002
Due testi biblici chiedono al cristiano di pregare «sempre», «senza interruzione». Nel Vangelo di Luca Gesù pronuncia una parabola sulla «necessità di pregare sempre, senza stancarsi» (Luca 18,1), e Paolo comanda: «Pregate senza interruzione» (1 Tessalonicesi 5,17). Com’è possibile? E com’è possibile conciliare questo comando con l’altro che chiede di lavorare (2 Tessalonicesi 3,12) e con l’esempio di Paolo stesso che afferma di lavorare «notte e giorno» (2 Tessalonicesi 3,8)? E com’è possibile pregare mentre si dorme?
Questi interrogativi hanno traversato il cristianesimo antico, soprattutto il monachesimo, ricevendo diversi tentativi di risposta. Da quello radicale ed estremista dei «messaliani» (o «euchiti», «coloro che pregano») i quali, rifiutando assolutamente il lavoro, pretendevano di dedicarsi unicamente alla preghiera, a quello, altrettanto estremista e altrettanto votato all’impossibilità, degli «acemeti» («coloro che non si coricano»), che cercavano di ridurre il più possibile il tempo di sonno per consacrarsi solamente alla preghiera. Altre risposte, più estrinseche, e tipiche del monachesimo cenobita, hanno cercato di moltiplicare le ore di preghiera liturgica e di assicurare, mediante appropriati turni e rotazioni dei monaci del monastero, una continua preghiera liturgica, una laus perennis. Altre risposte hanno battuto la via dell’interiorità, della preghiera ritmata sul battito del cuore, sul ritmo del respiro, sulla ripetizione di un’invocazione rivolta a Dio, fino a giungere alla cosiddetta «preghiera monologica», che cioè ripete instancabilmente una sola parola, per esempio, il nome di Gesù.
Frutto di questa concentrazione dello spirito dell’uomo sul nome del suo Signore, di questa attenzione che vuota il cuore di ogni altro pensiero e lo fa inabitare solamente dal pensiero di Dio, è la cosiddetta mnéme theou, la memoria Dei, il «ricordo di Dio». Espresso soprattutto dall’insegnamento spirituale dello Pseudo-Macario, il ricordo di Dio è un atteggiamento spirituale profondo di unificazione del cuore davanti alla presenza di Dio interiorizzata. È ricordo nel senso di custodia nel cuore, cioè nella mente e nell’intimo della persona, della presenza di Dio così che alla luce di tale presenza venga unificata e integrata nella vita interiore anche la vita esteriore dell’uomo. È ricordo alla cui luce si vive e si ricomprende il presente giudicandolo nella fede. La memoria Dei diviene così la matrice del discernimento che forgia la sapienza spirituale e rende l’uomo capace di vivere ogni atto e ogni parola alla luce del terzo che il credente fa regnare in ogni relazione: Dio. L’uomo spirituale autorevole nasce da questa vivificante memoria.
È memoria che si associa ad amore, carità, zelo, ardore, compunzione, nei confronti di Dio stesso. Dice lo Pseudo-Macario: «Il cristiano deve sempre custodire il ricordo di Dio, perché non deve amare Dio solamente in chiesa ma anche camminando, parlando, mangiando». Questa memoria diviene presenza interiore, dunque preghiera, cioè vita davanti a Dio e nella coscienza di tale presenza. Il credente è così reso «dimora del Signore», come afferma l’apostolo Paolo. Ovvio allora che tale memoria non sia semplicemente un movimento psicologico: in effetti essa è azione dello Spirito santo. Il quarto Vangelo, per cui lo Spirito ha la funzione di «insegnare e ricordare» (Giovanni 14,26), afferma che lo Spirito insegnerà e ricorderà «tutto» ciò che Gesù ha detto e fatto. Lo Spirito appare dunque memoria di totalità. Ma questa totalità non è data dalla somma di gesti compiuti e di parole pronunciate e fissate nella Scrittura, bensì dalla presenza stessa di Gesù. È memoria delle parole e del silenzio di Gesù, del detto e del non detto, del compiuto e del non compiuto, del già e del non ancora, dunque anche di ciò che ancora non vi è stato. Opera dello Spirito, questa memoria è anche profezia. Essa guida a quella consonanza profonda con Cristo, con ciò che sta a monte del suo parlare e del suo agire, che infonde nel credente la capacità di obbedire creativamente all’Evangelo, guidato dallo Spirito che fa abitare in lui il Cristo. Questa memoria Dei cela in sé un’attitudine di riconoscenza e di ringraziamento, di fedeltà e di impegno, di dedizione e di speranza. È memoria che unifica il passato, dà luce e senso al presente e apre all’attesa e alla speranza per il futuro. Capiamo perché Gregorio Sinaita (XIV secolo) abbia potuto affermare che il comando «Ricordati del Signore tuo Dio in ogni tempo» è il più fondamentale di tutti i comandi. È grazie ad esso, infatti, che gli altri possono essere adempiuti.
Enzo Bianchi
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