Mercoledì 14 agosto 1957

E dire che questa rivelazione, che ci mette in un tale stato, non è probabilmente che un lampo brevissimo e attenuatissimo di ciò che ci sarà dato con profusione ed eternamente, quando saremo morti per questo mondo. Quale gioia vi avremo! ma, per paradosso, quale dolore per gli altri!

Mercoledì 14 agosto 1957

da L'autore

del 17 novembre 2009

Momenti di presenza divina

 

Mercoledì 14 agosto

 

 

 

Stamani mi sono preparato bene per ricevere la santa Comunione, e adesso ho il cuore nella gioia, perché Cristo vive in me [Gal 2,20]. Non ho mai sperimentato gli effetti della Comunione come quest'oggi. Il mio cuore sussulta di gioia e non può più contenere l'amore che racchiude. Esplode in azioni di grazie, e son ben felice al pensiero che venerdì prossimo potrò di nuovo ricevere il Corpo santo di Cristo.

 

Altra buona notizia: durante le vacanze del cappellano, un sostituto verrà a celebrarmi la Messa nella mia cella, così non resterò solo durante questo periodo. Credo che si tratti un po' di una misura eccezionale e che egli non potrà venire che per me.  ciò che ho creduto di capire dalle parole del cappellano. Grazie a questo bravo padre che fa tutto il possibile per procurarmi sollievo.

 

Mi ha portato un libro che volevo leggere da tempo e che traspira la freschezza e la bellezza del fiorellino. Sono i quaderni di santa Teresa di Ges√π Bambino, la piccola via. Colei che, simile a tutti, ha raggiunto un'alta perfezione, e la cui via ci sembra pi√π accessibile di quella di san Francesco d'Assisi o di santa Teresa d'Avila. Ma non l'ho che appena incominciato.

 

Poco fa, al passeggio, ho discusso con un guardiano, probabilmente comunista, certissimamente ateo. Tutte queste discussioni sono vane e non fanno che del male. Credo che ci sarebbero da fare delle riflessioni interessanti sui rapporti tra credenti e non credenti. Costato che sovente gli atei sembrano più convincenti, più logici, perché restano in un campo più strettamente concreto di cui l'intelletto può facilmente fare il giro. Se il credente rimane sullo stesso piano, addurrà degli argomenti convincenti come quelli del suo interlocutore, ma che saranno produttivi come un campo di grano a gennaio. Egli è obbligato a elevarsi su un terreno in cui l'intelletto è sorpassato, e finirà inevitabilmente con ingarbugliarsi nelle descrizioni che, per la comune dei mortali, sembreranno eccentriche e non troppo sentimentali.

 

Se si dovessero riassumere le impressioni di un credente illuminato dalla grazia, bisognerebbe usare i termini: presenza, calore, luce, dolcezza, gravita. parole che non sono assai rivelatrici per chi non vede.  Penso che si potrebbe forse rappresentare la terra e il cielo per mezzo di un piano tutto pieno di gobbe e di buche. Ce ne è mostrato solo una faccia, e le gobbe appaiono là dove sono, e tutti possono vederle.

 

Nei momenti di presenza, quando la grazia illumina un'anima questa viene ammessa a gettare un brevissimo sguardo sull'altra faccia del piano, e le gobbe appaiono come delle buche, e le buche come delle gobbe. L'intelligenza non ha alcuna parte in questa visione, la realtà ci inonda in maniera infusa e assolutamente indescrivibile, e quando ritorniamo dal lato normale del piano, ci è impossibile comprendere ed anche richiamare in maniera precisa ciò che abbiamo appena visto. Tant'è vero che non ci resta che il ricordo di una cosa meravigliosa, di cui abbiamo una sete intensa, ma che non possiamo possedere da noi stessi.

 

È già duro esporre chiaramente argomenti astratti, ma quando questi sono superati da una conoscenza infusa che ha radici fuori del tempo e dello spazio, tutto diviene rigorosamente impossibile. E tuttavia, quando ci viene fatta questa grazia, la semplicità e la logica ci sembrano ben evidenti.

 

Il regno di Dio è realmente in noi, ce ne separa un semplice velo, ma noi siamo talmente abituati a ve dere con occhi di carne, e a ragionare con la nostra intelligenza, che per comprendere utilizziamo automaticamente questi mezzi e il velo non si squarcia. Come squarciarlo? Un solo mezzo, l'amore, l'umiltà, l'astrazione da se stessi, la preghiera e la fiducia in Dio.

 

Non cercare di capire alcuna cosa qualsiasi, ma dal fondo del cuore far sgorgare un grido d'amore e di abbandono alla volontà del Signore, senza mescolarvi, ben inteso, un sentimento malsano di curiosità. E ciò è ammirevole, perché il più illetterato è capace di compiere questo sforzo che non dipende in nulla dalle sue facoltà intellettuali.

 

La fede è un dono, e san Paolo dice: Dio ha pietà di chi vuole, e fa misericordia a chi vuol fare misericordia. Non è dunque l'opera di colui che vuole, né di colui che corre, ma di Dio che fa misericordia [Rm 9,15-16].

 

E questa grazia che ci colma di tanta gioia, provoca nell'anima una tale sete di bellezza, e un tale sentimento d'impotenza, che essa non può fare a meno di gemere e supplicare il suo Creatore fintanto che egli voglia, nella sua bontà, prodigare di nuovo le sue liberalità su quelli che Egli ama.

 

E dire che questa rivelazione, che ci mette in un tale stato, non è probabilmente che un lampo brevissimo e attenuatissimo di ciò che ci sarà dato con profusione ed eternamente, quando saremo morti per questo mondo. Quale gioia vi avremo! ma, per paradosso, quale dolore per gli altri!

 

Jacques Fesch

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