MESSAGGIO di Don Pascual Chavéz al Movimento Giovanile Salesiano - 31 gennaio 20...

Nell'anno della fede voglio essere con voi in questa stupenda missione che coinvolge tutta la Chiesa. A ciascuno di voi dico le stesse parole che ripetevo ai miei giovani di Valdocco: “Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità”. Perché siate felici e la Buona notizia della salvezza sia accolta da tutti, studiate di farvi amare.

MESSAGGIO di Don Pascual Chavéz al Movimento Giovanile Salesiano - 31 gennaio 2013

 

Andate e testimoniate la gioia della fede

Imparate ad essere felici diventando discepoli di Cristo e missionari dei giovani

Lettera di Don Bosco ai Giovani del MGS

 

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Carissimi Giovani,

 

con questa lettera vorrei avvicinarmi a tutti e a ciascuno di voi. Vorrei comunicarvi l’affetto grande che ho per voi e dirvi il sogno costante che custodisco nel cuore: che possiate essere pienamente felici, portando dentro di voi tutta la pienezza dell’umanità del Signore Gesù ed esprimendo nella vostra vita un’adesione piena e testimoniante ai valori del Vangelo. Vi scrivo in un tempo in cui si parla molto di Nuova Evangelizzazione. In molti dei nostri paesi Dio sembra essere diventato uno sconosciuto, una persona di cui si può fare a meno. Proprio per questo, oggi, risuona più forte il comando di Gesù: «Andate e fate discepoli tutti i popoli… Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19.20). La missione che Gesù ci indica è un terreno carico di sfide, ma anche fecondo di grandi opportunità. Essa costituisce un provvidenziale anello di congiunzione tra l’invito pressante di Benedetto XVI rivolto alla Chiesa universale, affinché viva con intensità questo anno della fede, e il cammino che la nostra Famiglia Salesiana ha iniziato verso il Bicentenario della mia nascita.

Permettetemi di dirvi che anche allora i tempi erano difficili. Valdocco era una vera terra di missione… Con tutto ciò però la sentita presenza di Gesù e di Maria nelle fatiche del servizio educativo colmava di gioia il mio cuore. Da quella terra di missione, come tutti voi ben sapete, sono partiti molti giovani missionari per evangelizzare popoli e terre lontane. Giovani cresciuti nell’oratorio, che hanno scritto sublimi pagine di storia, donando generosamente la loro vita per l’educazione, la promozione umana e l’evangelizzazione di molte generazioni di giovani. Questa storia di fedeltà e generosità, Cari Giovani, continua oggi con tutti voi ed è una sfida per voi. In questo libro mancano le pagine che solo voi potete scrivere. Questa è la vostra ora!

L’insegnamento di Gesù risuona ancora ai nostri giorni, con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso che risuona dentro di noi, oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). L’opera di Dio in voi è quella d’essere discepoli che accolgono con amore la Parola di Dio, e in essa incontrano Cristo Gesù. Essere apostoli che la trasmettono gioiosamente è la vocazione di ogni cristiano. La fede, infatti, cresce nel momento che ci rendiamo disponibili per trasmetterla ad altri. Evangelizzare è la vostra vocazione, Cari Giovani!

Evangelizzare significa mettere nella pasta un lievito capace di cambiare la mentalità e il cuore delle persone e, attraverso di esse, le strutture sociali, in modo tale che siano più consone al disegno di Dio. Non si tratta di un’attività intimista; evangelizzare è sprigionare una vera rivoluzione sociale, la più profonda, l’unica efficace. Per evangelizzare è necessario avere un motivo: essere “innamorati” di Dio, aver fatto esperienza della sua amicizia e della sua intimità. In questo processo, l’attenzione si deve concentrare innanzitutto sul nostro cuore. Esattamente lì dove si formano i pensieri e le scelte: il cuore deve essere sgombro da inquinamenti. Ciò richiede trasparenza, capacità di ritornare in se stessi e di mettere a nudo, davanti al Signore, le motivazioni più vere dei nostri comportamenti. La verità dei gesti richiede purezza delle motivazioni.

La voglia di comunicare la Buona Notizia nasce dalla sovrabbondanza del cuore di una persona che è stata afferrata da Gesù: una persona profondamente integrata e unificata attorno all’unico amore di Dio. Si tratta di un amore unico perché centrale, unico perché ha la precedenza su tutti gli altri affetti del cuore. Puro di cuore è l’autentico cercatore e testimone di Dio. Colui che al di sopra d’ogni cosa, con tutto se stesso, cerca il Regno di Dio e la sua giustizia. Ricordando la mia vita vi devo dire che fin da giovane al Signore chiedevo una sola cosa: “Da mihi animas! Dammi da lavorare per Te, per la salvezza dei giovani!”.

Prima, dunque, che il vangelo occupi la vostra mente e sia causa delle vostre fatiche, dovrà essere accolto nella vostra vita e dovrà diventare la sorgente della vostra gioia. Gesù non affida il suo vangelo a chi non gli ha dato la propria vita. Solo dei discepoli autentici possono essere degli apostoli credibili. Il mondo giovanile, lo sapete bene, è terra di missione esigente. Uscite, dunque, dal vostro minuscolo, angusto e asfissiante guscio. Entrate nel vasto mondo di Dio. Egli vi spalanca le porte di una grande missione, affinché possiate uscire da voi stessi e trovare i grandi spazi, perché possiate andare al largo verso nuovi orizzonti, quelli per i quali siete pensati e sognati da Dio. Questi orizzonti non sono necessariamente lontani da voi. Dio vi chiama, soprattutto, a tradurre e ad incarnare la vostra fede nel quotidiano, in quella ferialità che, se non corroborata dalla luce della risurrezione, è capace di stritolare il cuore dell’uomo.

Molti giovani, lo sapete assai bene, non “abitano il proprio cuore”, vivono “distrattamente”. Sono attirati da mille cose; si incamminano su mille sentieri e, soprattutto, sono tiranneggiati e asserviti a mille signorie. Abitano “altrove”, dappertutto, ma non nel cuore, con la conseguenza di non rendere possibile l’incontro con Dio che si realizza, invece, proprio in questo luogo così prezioso, così personale e così segreto: il cuore. Nel cuore di ogni persona, infatti, esiste una ferita, un dolore grande che chiede di essere ascoltato, compreso, guarito. Per questo Gesù ha bisogno anche oggi di discepoli capaci di ascoltare il cuore della gente, specialmente dei giovani. Discepoli capaci di comprendere nelle loro gioie e nelle loro paure, una voglia, non sempre espressa, di accostarsi a lui e di incontrarlo. Soltanto il discepolo che ha un rapporto profondo con il Signore Gesù può cogliere, tra quanti lo cercano, chi desidera veramente condividere la sua esperienza di Dio.

Il discepolo che segue Gesù è chiamato a facilitare l’incontro con Lui di quanti vogliono vederlo, conoscerlo, amarlo. Questa è una missione delicata e meravigliosa, e se non lo fate voi, cari giovani, chi presenterà a Gesù i sogni e i bisogni dei vostri compagni, dei vostri amici? Chi farà vedere loro Gesù? Tocca a voi indicare ai vostri amici Gesù come la luce che illumina di senso la loro ricerca, come la via che conduce al cuore del Padre, come la verità che riscalda il cuore per vivere la vita con passione. Voi siete il fuoco di una nuova Pentecoste, che brucia e contagia tanti altri vostri amici. Insieme potete lottare per la libertà lì dove manca, per la pace lì dove è minacciata, per la giustizia lì dove è calpestata, per la solidarietà lì dove è più necessaria. Voi potete essere la coscienza critica della società in cui vivete. Alzatevi dunque, uscite dal cenacolo e andate, perché il mondo ha bisogno di voi.

Ma ricordatevi sempre che solo il Cristo è capace di guarire e bonificare le lacerazioni profonde e sofferenti del cuore dei giovani. Quindi, perché questo incontro risulti fecondo, si deve accettare di fare un particolare cammino: è necessario passare dall’ammirazione alla conoscenza, e dalla conoscenza all’intimità, dall’intimità all’innamoramento, dall’innamoramento alla sequela e all’imitazione.

L’incontro iniziale si trasforma infine in un vero incontro, quando Gesù “si lascia vedere” e la sua Parola mette a nudo il cuore dell’uomo, liberandolo da percezioni mascherate, falsate di Dio, da una visione non corretta di se stessi, degli altri, degli eventi. É ciò che è accaduto ai due discepoli di Emmaus (Lc, 24, 13-35). Camminavano con il volto triste e il cuore deluso perché avevano vissuto insieme a Gesù e la convivenza aveva svegliato in loro le migliori speranze. Invece la sua morte in croce aveva sepolto tutte le loro aspettative e la loro fede. Lungo il cammino Gesù si fa compagno di viaggio condividendo tristezza e amarezze e, allo stesso tempo, svelando il senso dell’accaduto rileggendo loro le Scritture. Misura il suo passo ad una paziente e sofferta ricerca, aprendo con gradualità gli occhi della loro mente e del loro cuore all’intelligenza del suo mistero, della storia e del mondo. La loro ricerca è sincera, ma i loro occhi per contemplare il Risorto si aprono solo quando Egli ripete il gesto che meglio Lo identifica: “spezzare il pane”. Tale scoperta è frutto della loro ricerca, ma sarebbe stata impossibile senza la spiegazione delle Scritture e l’offerta di un segno da parte di Gesù. Soprattutto è un dono: essi “lo riconobbero”, perché Gesù “si fece riconoscere”. Il riconoscimento di Gesù nell’ospite è il momento culminante dell’incontro, ma non è l’ultimo. C’è un passo ulteriore che manifesta la fecondità dell’incontro personale con Gesù, quello che ci porta dalla comunione alla missione, dall’esperienza personale – “ci ardeva il cuore” –  alla testimonianza – “fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono gli Undici riuniti”. I discepoli tornano al luogo dove si svolgeva abitualmente la loro vita, ma con occhi nuovi e un cuore nuovo.

Anche voi, miei Cari Giovani, non potete vivere la vostra fede da solitari. La nostra salvezza sta al di fuori di noi stessi; non la troviamo nella scienza o nella economia o nella politica, ma solo in Gesù Cristo, morto e risorto per noi. Tornate, dunque, con occhi nuovi e cuore nuovo nel luogo dove Gesù, oggi, si fa presente ed abita: la Chiesa. Incontrate la comunità dei credenti, di coloro che confessano Gesù come loro Signore, la famiglia dei suoi discepoli, di coloro che condividono con Lui vita e missione. Cari Giovani, può darsi che molte cose, nel contesto umano della Chiesa vi deludano. Può anche darsi che vi sentiate incompresi, non presi sul serio. É vero, la Chiesa a volte ci delude, a volte ci turba, ma sempre ci affascina, perché è una realtà i cui confini passano dentro di noi, perché è un abbraccio di una madre su di noi, il luogo visibile della nostra identità, la zona di incontro con il Dio di Gesù Cristo e con gli uomini compresi come nostri fratelli e sorelle. Ascoltate, perciò, le parole di un padre che ha sofferto, ma ha sempre amato la Chiesa: No, Cari Giovani, non separatevi dalla Chiesa! Nessuna realtà è così ricca di speranza, di compassione, di amore. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna. É la continuazione, la dimora, la presenza attuale di Cristo, luogo dove egli dispensa la grazia, la verità e la vita nello Spirito. Vi spezza il pane della Parola e vi offre i doni preziosi dei sacramenti, in particolare la Riconciliazione e l’Eucaristia. Senza l’esperienza che sta in essi, la conoscenza di Gesù risulta inadeguata e scarsa. Essi sono la memoria vera di Gesù: di quello che egli compì e opera ancora oggi per noi, di quello che significa per la nostra vita. Nella Riconciliazione sperimentiamo la bontà di Dio che è sorgente della nostra libertà interiore e ricostruisce e perfeziona il tessuto della nostra vita: si aprono gli occhi ad una nuova creazione e vediamo quello che possiamo diventare secondo il progetto e il desiderio di Dio. E’ il sacramento del nostro futuro, anziché del nostro passato di peccatori. Nell’Eucaristia, che la comunità cristiana giornalmente celebra, viene imbandita una duplice mensa, dove il credente corrobora la propria vita e si nutre dell’unico Signore che è Parola e Corpo spezzato. Nella Scrittura e nell’Eucaristia, la Chiesa riconosce, accoglie e assimila il Corpo del Signore e si edifica essa stessa come tale.

A questi doni che vi vengono offerti dalla Chiesa come grazia dovete unire un atteggiamento costante di contemplazione e preghiera. La contemplazione, che si fa preghiera, è rimanere aperti a tutta la pienezza che il Padre vuole effondere nei vostri cuori, attraverso il suo Santo Spirito. Per voi oggi, evangelizzatori ed educatori dei giovani del terzo millennio, la Parola proclamata e condivisa, contemplata nella preghiera, è indispensabile per crescere nella fede. Fede che deve farsi ascolto del grido dei poveri, degli abbandonati, degli esclusi, e tradursi in gesti di carità concreta, che rendano visibile Dio, il Suo Amore.

E’ in questo amore, ricevuto gratuitamente, che si fonda l’urgenza di evangelizzare. Solo da un grande amore può scaturire una grande passione per la salvezza degli altri e la gioia di condividere la pienezza di una vita radicata in Gesù. Chi ha incontrato il Signore non può stare in silenzio: lo deve proclamare. Restare zitti significherebbe ucciderlo una seconda volta. Andate, dunque, Cari Giovani discepoli di Cristo, e mostrate al mondo che la fede porta una felicità e una gioia vera, piena e duratura.

Nel Bicentenario della mia nascita, voglio rinascere con voi per continuare a fare dei giovani la ragione della mia vita, la preziosa eredità che mi è toccata in sorte, la mia missione. Con voi voglio amarli con quello stesso amore che possiamo attingere al cuore del Buon Pastore. Questo è possibile, anche se le condizioni sociali e culturali sono cambiate. Come è mia consuetudine, non farò ricorso a forme astratte o teoriche o ideologiche, bensì a quella pedagogia della bontà che pone l’educazione in un incessante processo di adattamento, di conversione umana, spirituale, pastorale, sapendo accogliere tutti i mutamenti, ma riportandoli alle ragioni più vere e profonde della crescita umana e della maturazione cristiana. Sono sempre più convinto che l’educazione è una cosa di cuore, o meglio, che il cuore deve essere educato, perché nell’amore i giovani giocano la loro vita.

Nell’anno della fede voglio essere con voi in questa stupenda missione che coinvolge tutta la Chiesa. A ciascuno di voi dico le stesse parole che ripetevo ai miei giovani di Valdocco: “Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità”. Perché siate felici e la Buona notizia della salvezza sia accolta da tutti, studiate di farvi amare. Perché il mondo creda e credendo si salvi, studiate di farvi amare. Perché cadano i muri della divisione, dell’incomprensione, dei pregiudizi e del rifiuto della Chiesa, studiate di farvi amare. Perché tu, giovane credente e missionario di Cristo, perché possa essere felice, ritenuto credibile e autorevole, studia di farti amare! Insieme, per i giovani, saremo annunciatori miti e coraggiosi del Vangelo, per la fede e con amore. Così vi sogno miei Cari: “giovani per i giovani”, compagni di Gesù e suoi testimoni, pieni di entusiasmo per tutto ci che è la vita, ma profondamente radicati nella vita del Signore Gesù.

Affido di cuore queste mie parole, come dono del Bicentenario, a Maria Madre di Gesù. A Lei che “ha creduto all’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45), e ha consegnato se stessa a Dio, per amore del Figlio e dei figli. Maria, ispiratrice e sostenitrice della nostra Famiglia, ridesti il cuore filiale che dorme in ogni uomo, l’uomo nuovo, e il popolo nuovo, la Chiesa. Cari Giovani, Maria Immacolata Ausiliatrice vi dia il senso vivo di Cristo, un grande amore apostolico per comunicare le ricchezze del suo mistero, l’intelligenza creativa e la competenza pedagogica per educare i vostri amici alla fede in Cristo. Sarà questo, per voi, il modo di rispondere alle sfide della Nuova Evangelizzazione. Maria, la Madre di Gesù, la nostra cara Madre, interceda perché sia sempre credibile la nostra testimonianza di credenti e di educatori.

Vi benedico, vi do l’appuntamento per la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio do Janeiro, a metà luglio, e vi saluto abbracciandovi tutti con affetto di padre, di fratello ed amico.

 

 

Valdocco, 31 Gennaio 2013

Don Pascual Chavez

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