Ogni lunedì donboscoland pubblica un articolo di attualità. Questa settimana parliamo dei giovani che cercano vita nelle serate in discoteca, visti alcuni fatti di cronaca.
Sabato sera, discoteca sul lungo mare. Un gruppo di giovani si ritrovano a passare una serata assieme. Al tavolo tutti prendono super-alcolici, tranne una ragazza che, con candore giovanile, chiede al cameriere in attesa di prendere le prenotazioni: “un the, per favore” e prosegue “mi basta quello”.
Da alcuni giorni si parla nel dibattito pubblico, del caso di un giovane milanese, figlio di un noto politico, che nel corso di una serata in discoteca avrebbe incontrato una ragazza e, approfittando del suo stato di incoscienza (a causa della droga assunta), l’avrebbe poi portata a casa sua consumando una relazione sessuale. Si tratta di violenza.
Al di là di questo fatto di cronaca vogliamo riflettere e comprendere un po’ meglio la situazione dei giovani che vivono esperienze di questo genere.
In una intervista fatta ad alcuni giovani del milanese - protagonisti delle serate in discoteca nei weekend - riportata dal Corriere della Sera, si riporta come questi giovani siano costantemente alla ricerca di vita. Purtroppo nel modo sbagliato. Uno di loro racconta: «Pippo solo il sabato, prima di fare serata. L’ho presa da un africano qua fuori perché dentro (la discoteca) non trovi nulla». Ma deve farlo, è una necessità perché «con la “coca” mi sento Dio: guardami, sono brutto, ma da fatto ho tanta autostima. Poi tutto è potenziato. Io per esempio sento chiamare il mio nome di continuo».
Basta questo stralcio di intervista per comprendere che le serate in discoteca, iniziate con il pre-serata, con il consumo di vodka, Red Bull e Jagdibitter, sono occasione per cercare se stessi fuori da se stessi (un vero paradosso). La droga e l’alcool disnibiscono il proprio sé, già vuoto, e lo riempiono con sensazioni di attenzioni (“Sento chiamare il mio nome di continuo”) e di potenza (“tutto è potenziato”, “mi sento Dio”), oltre che para-sensazioni di autostima (“da fatto ho tanta autostima”).
Un inganno, a cui questi giovani cadono vittime a causa di una mancata iniziazione alla scoperta del proprio sé attraverso percorsi di conoscenza della vita interiore.
“Mi basta un the”. O ancora meglio, mi basti Te. Mi basta la compagnia. Una compagnia sana, dove c’è attenzione reciproca e vera, dove mi sento amato per quello che sono e per come sono (bello o brutto che sia - che comunque è sempre relativo), dove mi sento vivo e presente a me stesso, perché il Tu che mi sta davanti, l’altro, non approfitta di me, ma assieme a me vive una esperienza di conoscenza reale. Fa esperienza di un piacere che nasce dalla consapevolezza di essere amato e stimato per il semplice motivo di esistere, di essere lì. “Mi basta un the”. Così semplice.
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