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Morire a 15 anni perché cattolico

Michael aveva solo quindici anni e voleva semplicemente comprarsi una pizza. Aveva girato l'angolo e si era trovato davanti ad un gruppo di ragazzi con gli stessi capelli rossi che cadevano sugli occhi e le lentiggini di chi vede poco il sole. Irlandesi come lui...


Morire a 15 anni perché cattolico

da Attualità

del 11 maggio 2006

Michael aveva solo quindici anni e voleva semplicemente comprarsi una pizza. Gli avevano parlato di un posto dove ne facevano una speciale. Sottile, proprio come piaceva a lui. Aveva girato l'angolo e si era trovato davanti ad un gruppo di ragazzi con gli stessi capelli rossi che cadevano sugli occhi e le lentiggini di chi vede poco il sole. Irlandesi come lui, nati, però, in quella parte dell'isola che da troppi secoli non ne vuole sapere di vivere in pace. Dove nascere è già una condanna e la religione dei tuoi genitori un destino segnato. Michael era cattolico, gli altri protestanti. Due mondi separati senza sapere neanche bene perché. Divisi senza bisogno di costruire muri. Diversi senza sapere di essere uguali. Michael aveva in mano le sterline per la pizza, gli altri le mazze da baseball. Forse, in un primo momento, non ha nemmeno tentato di scappare. Magari avrà pensato che avrebbero avuto riguardo di quel ragazzo che li affrontava, uno contro dodici, a viso aperto. Ma quelli che aveva davanti avevano più paura di lui. L'hanno raggiunto e massacrato a bastonate. E poi gli sono saltati sulla faccia a piedi uniti. Lui ha avuto la forza di tornare a casa. E di morire senza sapere perché. Con il rischio di far precipitare all'indietro la storia di quel Paese sfortunato, in cui solo da poco si era raggiunta una condizione di ragionevole tranquillità. La «civile» Europa, che s'indigna per le stragi in Africa, evidentemente pensa che da noi certe cose mica possono succedere. Siamo una «società evoluta», noi, che si può permettere ironie e preclusioni verso i credenti, tanto siamo una società laica. L'Europa che s'accontenta dei congressi dei politici che dicono «il processo di pace nell'Ulster va avanti» e poi torna a pensare ai fatti suoi. Ma lì in cima ad un'isola divisa in due dalla politica e triturata dalla storia non sanno cosa farsene della pace dei potenti. Qui c'è ancora l'odio della gente comune che si ammazza per colpa di una battaglia andata male quasi cinquecento anni fa, a Boyne. E che i lealisti protestanti continuano testardamente a festeggiare ogni anno, a luglio. A sfilare per le strade di Belfast e di Derry con le insegne di Gugliemo d'Orange. E i cattolici a rispondere con il corteo per la strage del «Bloody Sunday», la domenica di sangue e una canzone degli U2. E i murales con l'effigie di Bobby Sands che si fece morire in carcere giusto venticinque anni fa. All'odio vomitato dal pastore protestante Ian Paisley, rispondono le raffiche dei «cattolici» dell'Ira, terroristi per metà dell'isola, resistenti per quell'altra. In mezzo ci sono i ragazzi come Michael e anche chi l'ha assassinato. Che hanno visto su un libro di scuola il ritratto di quel re con la parrucca e i boccoli che non era neanche inglese e non gli importava niente della gente che stava in Irlanda. E i padroni di oggi non sono ancora riusciti a mettere in piedi uno straccio di Parlamento. Perché quello di Stormont è solo un vecchio castello e non l'assemblea di un popolo che vuole voltare pagina col passato. Un posto per decidere di non decidere e pensare che l'odio sia sempre qualcosa che riguardi qualcun altro. Ma a Michael sarebbe bastato ancora meno di un Parlamento. Michael voleva solo comprarsi una pizza in pace, a Ballymena, Irlanda del Nord.

Carlo Baroni

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