Si è spento fratel Biagio Conte, l’angelo degli ultimi di Palermo
Nato il 16 settembre 1963 in una famiglia benestante di Palermo, Biagio Conte vive da ragazzo negli agi e nella spensieratezza tipica di molti giovani della sua generazione, cresciuti nel benessere della società consumista. Ma quando ha vent’anni, nel 1983, Palermo è una città infernale: il sangue degli innocenti (e dei colpevoli), nella guerra scatenata dalla mafia di Riina contro lo Stato, scorre nelle strade, in una spirale di violenza che non sembra avere mai fine. Le ingiustizie a cui assiste ogni giorno, il vuoto esistenziale, l’assenza di valori, fanno precipitare Biagio in una crisi di coscienza sempre più acuta. Si chiude in sè stesso. Passa i giorni nella sua stanza, in preda a una forma estrema di malessere di cui non riesce ad afferrare il senso.
“Ho incominciato – scriverà poi Biagio – a cercare la verità, la vera libertà e la vera pace”. E l’istinto della vita alla fine ha il sopravvento. Il 5 maggio 1990, a 26 anni, decide di distaccarsi “dal mondo materialistico e consumistico”: “Stanco della vita mondana che conducevo – racconterà poi - ho sentito nel cuore di lasciare tutto e tutti; me ne andai via dalla casa paterna, con l’intenzione di non tornare più nella città di Palermo, perché questa città e società mi avevano tanto ferito e deluso”. Dà via tutto ciò che possiede, e con i soli abiti che indossa, si lascia la città alle spalle e si rifugia nella natura. Per più di un anno vaga per i boschi e per le montagne della Sicilia vivendo da eremita, cibandosi di bacche e erbe. Così ritrova la libertà dai bisogni materiali, e impara che si può vivere con niente, che la vera essenza della vita non è possedere ricchezze, non è accumulare e consumare beni, ma vivere in armonia con la natura, che è comunque una dura lotta per la sopravvivenza.
Poi, un giorno, incontra un pastore che gli affida il suo gregge e gli regala un cane. Nelle lunghe giornate passate da solo a pascolare le pecore, nelle notti stellate, quando infuria la tempesta e quando spunta il sole, Biagio impara a guardare verso il cielo e a cercare Dio. Il figlio del pastore gli regala il libro di Hermann Hesse sulla vita di San Francesco. Per lui è come un’illuminazione: “Cominciai a sentire sempre più che Gesù, quell’uomo giusto che ha donato la vita per noi - scriverà poi fratel Biagio - mi portava con lui per fare una esperienza che successivamente avrebbe stravolto tutta la mia vita. Nel silenzio e nella meditazione mi sentivo sempre più libero e pieno di pace, non avevo nulla con me, eppure era come se avessi tutto”. Un giorno, smarrito tra le montagne in mezzo alla neve, rischia di morire assiderato. Viene soccorso dal pastore che lo porta nell’eremo di San Bernardo a Corleone, dove vive una comunità di frati che praticano le regole francescane delle origini. Qui conosce fra Paolo, che gli parla di San Francesco e delle motivazioni che l’hanno portato a vivere in povertà, umiltà e preghiera.
Decide così di compiere un viaggio, a piedi, fino ad Assisi, e lungo il cammino incontra barboni, zingari, carcerati ed emarginati di ogni genere. Un’umanità dolente che lo avvicina a Francesco e ai suoi insegnamenti, e gli fa scoprire l’amore per gli altri: per chi soffre e ha bisogno di aiuto. “Pian piano – raccontava ancora il missionario laico - cominciai a capire il progetto “Missione”: dedicare la mia vita per i più poveri dei poveri”. Sulla tomba del Poverello di Assisi, pensa prima di andare in Africa o in India, “ed invece mi sento riportare nella città dove non volevo più tornare - scriverà poi - Gesù ha voluto che la Missione nascesse proprio nelle strade di Palermo”.
Ritorna nella sua città, tre anni dopo la sua partenza, e si ferma alla Stazione ferroviaria, dove si raccolgono i senzatetto. Vive con loro, li aiuta, li lava, mendica per loro un pezzo di pane e un pasto caldo. “Li ho chiamati fratelli e sorelle – racconta - senza farli sentire inferiori o diversi da noi tutti. Fu un’esperienza forte e cominciai a chiedere aiuto a tutti – prosegue - e andai pure alla Curia di Palermo dal cardinale Pappalardo, il quale capì quel giovane e decise di venire alla stazione per celebrare una messa insieme a tutti i fratelli ultimi sotto i portici della stazione; è stato un momento indimenticabile che mi incoraggiò molto e soprattutto aprì gli occhi della città sui tanti fratelli poveri che vivevano per strada, non considerati da nessuno, come se fossero scarto e rifiuto”.
Ma i barboni sono sempre di più: a Palermo, in quegli anni, alle vecchie povertà si aggiungono i migranti dall’Africa, e la stazione non basta più ad accoglierli tutti. Così Biagio occupa un vecchio edificio abbandonato e lo trasforma nella sede della sua comunità dei poveri senza tetto e dimora. Nasce così, nel 1993, la “Missione di Speranza e Carità”: un “progetto di Dio sconvolgente – lo definisce fratel Biagio - che a distanza di quasi trent'anni dal suo nascere ha coinvolto e continua a coinvolgere uomini e donne di ogni ceto sociale, anche capaci di cambiare radicalmente il loro modo di vivere per diventare missionari e missionarie della Speranza e della Carità, per operare nei luoghi di emarginazione delle grandi metropoli''.
Negli anni successivi Biagio Conte, che pratica molte volte lo sciopero della fame, in una grotta da eremita, e fa lunghi pellegrinaggi a piedi, per scuotere una società che definisce indifferente, “che si è costruita i suoi idoli e ha smarrito i suoi valori”, ha spesso problemi di salute. Finisce anche per anni su una sedia a rotelle, a causa di alcune vertebre schiacciate dalle fatiche alle quali sottopone il suo fisico gracile. Ma il 16 gennaio 2014 la sua comunità rende noto che fratel Biagio, già dall’estate precedente ha ripreso a camminare grazie a una guarigione tuttora scientificamente inspiegabile, avvenuta dopo un bagno nelle acque di Lourdes.
La Missione fondata da Biagio Conte oggi è composta da tre strutture: la comunità “Missione di Speranza e Carità”; l’“Accoglienza Femminile” e “La Cittadella del Povero e della Speranza”. Tutte unite dalla “Casa di Preghiera per tutti i Popoli”, la cappella all’interno della Missione, nella quale si trova una grande barca di cartone, a simboleggiare il viaggio di quanti lasciano la loro terra alla ricerca di un futuro migliore. Complessivamente assiste circa 600 persone in dieci centri in Sicilia: l’accoglienza viene offerta fino a quando chi è stato ospitato non trova una propria sistemazione abitativa. Ognuna delle tre comunità palermitane è dotata di una cucina e di una sala mensa dove vengono distribuiti tre pasti al giorno. Molti dei generi alimentari utilizzati vengono donati da associazioni, singoli cittadini, scuole, supermercati, ditte alimentari, mentre alimenti freschi, come frutta e verdura necessari per un pasto completo, devono essere comprati.
La Missione offre poi assistenza medica e legale, oltre alla mediazione culturale, e si accompagna i disabili che desiderano partecipare alla Messa o a fare passeggiate, organizza corsi di alfabetizzazione. Grazie all’opera di volontariato di artigiani e liberi professionisti, agli ospiti della Missione viene offerta la possibilità di imparare un mestiere per affrontare il ritorno nella società e l'integrazione. L’assistenza della Missione di fratel Biagio è rivolta anche a tante famiglie indigenti che abitano nei quartieri più poveri di Palermo. Oggi sono più di 300 le famiglie che ricevono aiuti, in particolare beni di prima necessità, o, dove ci sono neonati, latte pediatrico e omogeneizzati. E non manca la missione notturna: dal 1 novembre al 31 maggio, ogni sera, un camper, con 7 volontari, gira per la città per incontrare le persone emarginate e offrire loro una bevanda calda e assistenza.
Ad ottobre Biagio Conte aveva scritto all’arcivescovo, che ha sempre sostenuto le sue battaglie per i senzatetto, i migranti e tutti gli emarginati della città di Palermo, chiedendogli di stargli “molto vicino” perché i medici dell’ospedale dove era in cura gli avevano spiegato che avrebbe dovuto “prolungare altri tre mesi di chemioterapia e dopo operarmi al colon, e dopo un altro ciclo di chemioterapia, interverranno al fegato, per sostituirlo, cioè faranno il trapianto”. “Caro pastore Corrado, sono molto preoccupato – aveva scritto ancora nella lettera – stammi vicino, mi affido alle tue preziose preghiere e sono contento di condividere oggi i tuoi preziosi anni; sappi che le mie misere preghiere sono vicine a te ed a tutta l’amata Santa Chiesa”. Ma a fine dicembre i medici hanno interrotto le cure, e affidato fratel Biagio alle preghiere della sua comunità e dei tanti sostenitori della sua Missione.
Domenica 8 gennaio, sdraiato su un lettino, si era fatto accompagnare a lato dell’altare della chiesa della Missione, per partecipare a quella che è stata la sua ultima Messa. Il giorno prima, ha raccontato il medico e volontario Francesco Russo che l’ha assistito fino alla fine, aveva sussurrato parole di conforto a una signora che gli chiedeva aiuto perché anche lei malata di cancro. “Coraggio, sorella, non perdere la speranza” ha detto riaprendo gli occhi dal torpore degli ultimi giorni. Le condizioni di fratel Biagio avevano iniziato ad aggravarsi poco prima di Natale: il 30 dicembre, ormai allettato, aveva ricevuto la visita dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice e del cardinale Paolo Romeo, arcivescovo emerito. Negli stessi luoghi, fratel Biagio aveva accolto Papa Francesco, che aveva voluto pranzare con gli ospiti della Missione durante la sua visita a Palermo del 15 settembre 2018.
Alle 7 di mattina, giovedì 12 gennaio, Fratel Biagio Conte è entrato nella vita eterna.
Fonte: www.vaticannews.cn
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