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«Nati dallo Spirito per rendere testimonianza di Gesù ed evangelizzare»

Eredi di quella prima comunità cristiana, anche noi siamo nati il giorno in cui i discepoli di Gesù superarono le loro paure, videro il Risuscitato e recuperarono la gioia di vivere ed ebbero il mondo come missione. Come loro, anche noi abbiamo lo Spirito di Gesù come guida e viatico per una nuova evangelizzazione.


«Nati dallo Spirito per rendere testimonianza di Gesù ed evangelizzare»

da Rettor Maggiore

del 10 ottobre 2006

 

 

Roma, Auxilium – 4 ottobre 2006

 

Omelia all’inaugurazione dell’anno accademico 2006-07

Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium

(Atti 2:1-11; Gal 5:16-25; Gv 15:26-27. 16:12-15)

 

 

 

 

 

 

 

Cari membri della Comunità Universitaria Auxilium

Vice Gran Cancelliere,

Preside, Vice Preside,

Professori e Professoresse, Studenti,

 

radunati attorno alla mensa della Parola e del Pane, vogliamo iniziare l’anno accademico 2006-2007 camminando in esso sotto la guida sovrana della Verità e con la forza divina della Vita. Celebriamo questa Eucaristia chiedendo a Dio che ci mandi il suo Consolatore promesso, “lo Spirito di verità che procede dal Padre”, che è testimone di Gesù e che ci rende testimoni del Cristo. Sia Lui il nostro compagno di strada durante questo nuovo anno: Egli ha ancora tante cose da dirci, abbiamo ancora tanto da imparare, abbiamo ancora tanto bisogno di Lui.

La Parola di Dio, appena proclamata, viene in nostro aiuto, e mentre ci offre un orientamento per la nostra vita personale, comunitaria e istituzionale, ci propone compiti ineludibili per la nostra vita personale, comunitaria e istituzionale, anzi per la Chiesa di oggi. 

 

 

1.        Nati dallo Spirito, inviati ad evangelizzare

 

Il brano degli Atti, che ci è stato letto, è la cronaca del “dies natalis” della Chiesa: la discesa dello Spirito di Gesù sul mondo provoca la prima proclamazione del vangelo ad ogni creatura, rappresentata dai giudei congregati in Gerusalemme. Quel giorno, l’evento avviene in un luogo delimitato (v. 1) e coinvolge un numero ristretto di persone; lo Spirito, come vento gagliardo riempie tutta la casa e tutti i presenti; come fuoco divino assume l’aspetto di lingue di fuoco che si posano su ciascuno, comunicando il potere di una parola infuocata, in molteplici lingue (vv. 3-4). Il dono della parola, primo carisma suscitato dallo Spirito, è finalizzato all’annunzio del Signore Risorto, perché tutti possano aprirsi alla fede e rendere gloria a Dio (v. 11b).

 

Il gruppo dei discepoli impauriti si trasforma così in comunità di arditi testimoni; e la loro attestazione viene capita da tutti in città, indipenden-temente dalla loro origine e lingua. Il fenomeno che stupisce la gente è che li sentono «parlare in altre lingue» (v. 4) e capiscono «nella propria lingua nativa» (v. 8). L’effusione dello Spirito produce, appunto,  un parlare ed un ascoltare: lo Spirito mette tanto gli uditori in grado di capire quanto gli annunciatori in grado di parlare in modo da essere compresi. Per dire il vangelo le lingue/culture sono, tutte, degne di essere assunte; nessuna viene privilegiata. La Parola che salva non ha confini: come il vento gagliardo di primavera che soffia dove vuole, come il fuoco inarrestabile che brucia dove passa.

Una Chiesa che è nata il giorno della Pentecoste è luogo di residenza dello Spirito di Gesù sulla terra, e non ha altra occupazione che quella di rendere uditore del vangelo ogni essere umano.

Eredi di quella prima comunità cristiana, anche noi siamo nati il giorno in cui i discepoli di Gesù superarono le loro paure, videro il Risuscitato e recuperarono la gioia di vivere ed ebbero il mondo come missione. Come loro, anche noi abbiamo lo Spirito di Gesù come guida e viatico per una nuova evangelizzazione.

A noi appartiene lo Spirito di Gesù, quello che diede alito e senso alla vita di Gesù, quello che gli suggerì i migliori pensieri e gli permise di realizzare i più grandi miracoli, quello che lo faceva sentire figlio amato di Dio e gli ispirò il suo modo di pregare e le parole per rapportarsi col Padre suo. È vero, Gesù Risorto ha lasciato i suoi un poco orfani di lui; ma non li ha privati né della sua energia, della forza straordinaria che possedeva, né di quell’alito che lo ispirò e lo mantenne fedele a consacrarsi alla predicazione del Regno. Nati dallo Spirito di Gesù, siamo nati per portare il vangelo al mondo.

 

 

2.        I due compiti dell’uomo spirituale

 

Il dono dello Spirito genera uomini spirituali, che, proprio perciò, diventano audaci testimoni. Ricevuto lo Spirito, gli apostoli «cominciarono a parlare [...] come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (v. 4). Il cuore dell’esperienza della Pentecoste è l’irrompente presenza dello Spirito di Cristo; e la sua immediata conseguenza è la missione universale. Cristiano è il credente traboccante di Spirito e, in tutto ciò che fa e dice, manifesta questa singolare presenza che lo ha rinnovato. Uomo dello Spirito, diventa necessariamente uomo del vangelo.

 

 

2.1. Farsi presente nel mondo con il vangelo (la mistica del “Da mihi animas…)

 

Il mondo di allora, a Gerusalemme, notò la presenza dello Spirito, perché ci furono uomini che si misero a parlare di Dio e delle sue meraviglie. Il mondo attuale non riesce a incontrarsi con Dio perché non trova persone che testimonino la sua esistenza e lo convincano del suo amore. Ogni giorno Dio perde più terreno nel nostro mondo, perché noi credenti rimaniamo più preoccupati dei nostri propri problemi che occupati delle cose di Dio: viviamo più interessati di essere conosciuti e apprezzati che di far sì che il nostro Dio sia conosciuto ed amato; rimpiccioliamo lo spirito di Gesù incapaci di azzardare ad essere audaci nel vissuto giornaliero della nostra fede. Dimentichiamo che noi non abbiamo ricevuto “uno spirito di timidezza” per cedere alla paura o allo scoraggiamento, bensì uno Spirito “di forza, di amore e di saggezza” (2 Tim 1,7) che ci rende testimoni coraggiosi ed eloquenti di Gesù Cristo e del suo vangelo. Purtroppo accade che, perdendo il rispetto di noi stessi, perdiamo la stima di chi non riesce a vederci convinti di quanto diciamo o rappresentiamo. Perché dovrebbe diventare entusiasmante una missione che non riesce ad entusiasmare neppure quanti dicono di vivere per servirla? 

Ricevere lo Spirito di Gesù e vivere di lui suppone ricevere il mondo come uditore della nostra predicazione e vivere per portare a termine quel compito: chi tace il vangelo, chi tiene sotto silenzio la sua fede, chi si vergogna di Cristo, non ha il suo Spirito, non è suo discepolo, non appartiene alla sua Chiesa.  

 

 

 

2.2. Camminare nel mondo secondo lo Spirito (l’ascetica del “…cetera tolle”)

 

Nella parte parenetica della sua epistola, da cui è tratta la seconda lettura, Paolo mira a mostrare ai Galati che il vangelo da lui predicato non conduce al lassismo dei costumi. Al contrario, “se viviamo in forza dello Spirito, camminiamo seguendo lo Spirito” (v. 25). In altre parole, Paolo invita i cristiani della Galazia a fare un’opzione netta e coerente alla loro realtà cristiana: saranno veramente liberi per lo Spirito, se lasciano quello che non appartiene a Lui. Non si può avere Dio, il suo Spirito, senza rinunciare quello che non è Lui; un servo non può che avere un Signore, e il figlio, un Padre.

L’apostolo illustra la sua esigenza tramite l’antitesi «carne/spirito», due principi d’azione contrastanti: uno esteriore e oppressivo e l’altro interiore e liberante. Le “opere della carne” (vv. 19-21) mettono alla luce la fragilità, la debolezza, l’insufficienza della creatura, la sua innata inclinazione al male; si tratta di forme diverse dell’egocentrismo sfrenato, incompatibili con la gratuità del Regno definitivo. “Frutti dello Spirito” sono, invece, l’amore gratuito e le sue manifestazione; sono «frutti» perché sono l’esito della sequela dello Spirito (vv. 22-23). Ma per averli, per riceverli come doni, il credente deve restare unito al mistero pasquale di Cristo, aver crocifisso in lui la propria carne, e vivere con lui da risorto, sempre animato e guidato dal suo stesso Spirito (v. 24).

Dare allo Spirito tutto lo spazio che merita nella nostra vita non è compito facile. Però risulta urgente, se vogliamo ridare al mondo lo Spirito di Gesù e il suo vangelo. La nostra è un’epoca, “particolarmente affamata di Spirito”, perché affamata dei suoi frutti, cioè “di giustizia, di pace, di amore, di bontà, di fortezza, di responsabilità, di dignità umana” (Giovanni Paolo II, RH, IV 18). Nato dallo Spirito, il cristiano si lascia formare e guidare, consolare e ammaestrare, difendere e dominare da Lui, per costruire la propria personalità e restituire alla storia l’alito e la forza di Dio.

 

Per non svuotare la vita spirituale e non rendere inutile o sterile il lavoro apostolico, lasciate che vi domandi:

      Con quale mentalità affrontiamo noi l’evangelizzazione? Certo, oggi meno che mai non la si può fare con una mentalità che si appoggia all’efficienza e alla riuscita, bensì con una mentalità che mette Dio e il suo modo di vedere la vita, la storia e la persona umana nel centro e nel cuore del nostro agire. Ci costruiamo sulla fiducia in Dio e sull’amore, che è la motivazione più trainante e il dinamismo più potente.

      Coltiviamo sul serio l’esperienza del Dio amore a partire dell’intimità con il Signore? La vita spirituale fa perno sullo Spirito, sull’amore e sulla fede, per ricondurre a Dio modi di vita, di pensare e di agire ‑ la pace, la convivenza sociale, la ricerca di verità e di senso – che altrimenti rimarrebbero lontani da Dio. È opportuno cercare, dentro di noi, i criteri e i risultati del nostro fare unità.

      Con la nostra presenza e con il nostro agire siamo un motivo di speranza per gli altri? Lo Spirito, infatti, orienta verso l’eschaton, verso la certezza degli eventi ultimi. Interrogarci sulla speranza significa da una parte interrogarci sulla capacità di vivere le nostre debolezze e i nostri fallimenti come parte integrante del nostro servizio al vangelo di Dio. Interrogarci sulla speranza significa, da un’altra parte, chiederci quanto riusciamo ad essere segni di rinascita e di coraggio per gli ultimi, gli sfiduciati, gli emarginati, i peccatori. Interrogarci sulla speranza comporta scommettere sulla forza diffusiva dell’amore.

 

La Chiesa si ammala, diventa atonica, quando non è fedele alle sue origini e dimentica lo Spirito Santo che la anima. Senza lo Spirito Santo, Dio è un «tappabuchi» inventato per necessità e per paura; Cristo, un Maestro normativo dal «pensiero forte»; la Chiesa, un’organizzazione per sostenere poteri e gerarchie traballanti; la missione, una propaganda subdola e mistificante; il culto, un ricordo inutile ed inefficace; l’agire da cristiani, una morale da minorenni.

 

Evitiamo questo malessere, vivendo dello Spirito di Gesù, dedicati al suo vangelo, e liberati da tutto il resto. Come il vento lo Spirito è imprevedibile, inafferrabile, inarrestabile, di un dinamismo imponderabile; come il fuoco egli si accende, illumina, riscalda, purifica, e si propaga. Lasciando che il lievito dello Spirito si impadronisca della nostra vita, ricupereremo il vangelo di Gesù e il coraggio di diffonderlo nel mondo. 

 

 “Per amare te in tutto, ineffabile Dio, dobbiamo amarti al di sopra di ogni cosa; per essere fedeli alla terra, dobbiamo essere fedeli a te, Padre nei cieli”, ha scritto un teologo contemporaneo. “Il tuo Spirito quindi ci insegni a rinunciare per amore tuo a tutte le cose amate” (Hans Urs von Balthasar).

don Pascual Ch√°vez Villanueva

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