Nel profondo delle vene
La troupe Rai di prima mattina saliva in auto per un’erta sterrata del Mugello. Le buche, il caldo, la polvere. E l’ansia, e la maledetta fretta dei giornalisti, di arrivare prima. Giuseppe Di Tommaso, inviato di 'La vita in diretta', si sente mancare l’aria: e scende, e prosegue a piedi. Qualche metro e si ferma, a un flebile lamento. Avrò sentito male, pensa, e si rincammina. Si ferma di nuovo, di scatto: gli è parso proprio di sentir chiamare 'mamma', dal fondo di una scarpata. Si butta giù a rompicollo, scorge il bambino, risale a chiedere aiuto. Nicola, 21 mesi, è salvo. È l’incredibile storia di un giornalista che cercava una notizia, e ha trovato un bambino. Vivo, quando ormai lo si credeva morto.
Due notti e un giorno Nicola, forse 12 chili di peso e neanche 80 centimetri di statura, li aveva passati da solo nel bosco.
Il bosco di casa, ma irriconoscibile, di notte: buio assoluto, e nel silenzio strani paurosi rumori. Il vento? Volpi? Cinghiali, in branco, affamati? Nessuno ha toccato Nicola. Forse lui se n’è rimasto nascosto, immobile, come una piccola inerme preda. Si è alzato il sole poi, il sole ardente del solstizio d’estate: e chissà la sete, che tormento. Sentiva voci attorno, e cani, ma nessuno sentiva lui che chiamava, sempre più piano. Al primo momento, i carabinieri hanno dubitato: «Sarà un capriolo». Di Tommaso, deciso: «I caprioli non dicono mamma». Nel fondo del bosco infine due occhi neri colmi di paura. Nicola ha buttato le braccia al collo del luogotenente Danilo Ciccarelli. Un militare composto, severo.
Ma, ha confessato, prendere in braccio il bambino «è stato come avere un figlio» – e molti nell’ascoltarlo si sono emozionati.
Perché quando un bambino scompare chi è padre, madre, nonno, sente come uno spiffero d’aria fredda penetrare nella propria giornata. Duole ancora la tragedia di Vermicino, strazia il pensiero della terribile fine di Tommaso, a Parma. Così quando un bambino sparisce in molti palpitano, e qualcuno comincia a pregare.
Trenta ore nel bosco – e come e perché Nicola ci possa essere finito, non è del tutto chiaro – trenta ore di un giugno bollente, a nemmeno due anni. La fine della storia sembrava inesorabile. Invece, un malore, un uomo a piedi su una sterrata, un lamento: «Mamma». La si direbbe una grazia. Di quelle che troviamo raccontate in tanti antichi ex voto nei santuari: bambini perduti, caduti nei dirupi, bambini ritrovati. Disegni ingenui e una scritta: «Per grazia ricevuta». Tracce di un’Italia che aveva fede, e sapeva esser grata. Vive ancora però, carsica, un po’ di quell’Italia, nella faccia del carabiniere che dice: «È stato come avere un figlio». E se ci commuoviamo nell’ascoltarlo, vuol dire che un desiderio di bene, di vita, di figli, di futuro l’abbiamo ancora, nel profondo delle vene.
di Marina Corradi
tratto da avvenire.it
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