#NoiCiStiamo - Bartolomé Blanco

“Avete creduto di farmi un male e invece mi fate un bene perché mi cesellate una corona”.

“Io sono operaio, sono nato da genitori che pure lo erano. Ho vissuto e vivo nell’ambiente di strettezza e di lavoro delle classi umili e sento correre nelle mie vene, esacerbate a volte dal fuoco dell’entusiasmo giovanile, una protesta, un’energica protesta, contro coloro che credono che non siamo uomini come loro perché abbiamo avuto la disgrazia – o forse la sorte – di nascere nella povertà, di usare il camice da lavoro e avere le mani ruvide e callose. Però chiariamo i concetti: sono operaio e sono cattolico”.

Chi parla così è un giovane di 19 anni, di professione fabbricatore di sedie, seggiolaio, al comizio dell’Azione Popolare il 5 novembre 1933 a Pozoblanco (Spagna); un giovane retto e coraggioso, con un’intelligenza non comune, di umili origini, di condizione operaia, difensore dei diritti del popolo e della Chiesa.

Bartolomé Blanco Márquez nasce a Pozoblanco (Cordova, Spagna) il 25 dicembre 1914. Sua mamma muore a causa dell’epidemia detta “spagnola” prima che il bimbo compia i quattro anni. Figlio e padre vanno a vivere dagli zii. Orfano anche di padre a dodici anni, perso a seguito di un grave incidente, deve lasciare la scuola e mettersi a lavorare da seggiolaio nel piccolo laboratorio del cugino. Quando nel settembre 1930 arrivano a Pozoblanco i Salesiani, Bartolomé frequenta l’oratorio e aiuta come catechista e animatore. Trova in don Antonio do Muiño un direttore che lo spinge a continuare la sua formazione intellettuale, culturale e spirituale attraverso la partecipazione ai circoli di studio. Questo Salesiano sarà, fino alla prematura morte di Bartolomé, suo confessore e guida spirituale. Don Antonio intuisce la buona stoffa di quel ragazzino, già provato dalla vita, che grazie all’impegno cristiano e all’influenza della dottrina sociale della Chiesa si sarebbe coinvolto fin da giovanissimo nell’impegno di trasformazione sociale. È apprezzato da parenti, amici, compagni per il suo ingegno, l’impegno apostolico, l’attitudine di leader. Più tardi entra nell’Azione Cattolica, di cui è segretario e dove dà il meglio di sé. Trasferitosi a Madrid per specializzarsi nell’apostolato fra gli operai presso l’Istituto Sociale Operaio, si distingue come oratore eloquente e studioso della questione sociale. Ottenuta una borsa di studio, può conoscere attraverso un viaggio organizzato dall’Istituto Sociale Operaio le organizzazioni operaie cattoliche di Francia, Belgio e Olanda. Nominato delegato dei sindacati cattolici, nella provincia di Cordoba ne fonda otto sezioni.

Quando esplode la rivoluzione, il 30 giugno 1936, Bartolomé ritorna a Pozoblanco e si mette a disposizione della “Guardia Civile” per la difesa della città, che dopo un mese si arrende ai rossi. Dopo qualche giorno di nascondimento si consegna il 18 agosto. Accusato di ribellione viene portato in carcere, dove continua ad avere un comportamento esemplare: “Per meritarsi il martirio, bisogna offrirsi a Dio come martiri!”. Il 24 settembre viene trasferito nel carcere di Jaén, nel quartiere di ‘Villa Cisneros’, dove condivide la sorte con quindici sacerdoti e molti altri laici impegnati. Viene processato e condannato a morte a Jaén il 29 settembre. Il processo avviene davanti a un pubblico che grida e insulta, attraverso testimoni falsi e manipolati, con accuse prive di fondamento. I veri motivi sono la fede cattolica e l’impegno di Bartolomé in diverse associazioni e attività a favore della giustizia. Come è tipico di queste situazioni si tratta di un processo farsa, con giudizio iniquo. Le accuse sono: essere di destra, ribellione alla Repubblica, congiura contro il governo costituito, addirittura l’assassinio. Lo fa soffrire che il delatore sia un compagno di infanzia animato da odio viscerale nei confronti suoi e della Chiesa. Dopo la sentenza, mantenendo la calma e difendendosi con dignità, dice: “Avete creduto di farmi un male e invece mi fate un bene perché mi cesellate una corona”.

Nel giudizio sommario che deve affrontare, Bartolomé lascia un segno inequivocabile delle proprie convinzioni. Sia il giudice che il segretario del tribunale non esitano a manifestare la loro ammirazione per le doti personali che lo distinguono e per l’integrità con cui professa le convinzioni religiose. Bartolomé ascolta il procuratore comminargli la pena di morte e commenta senza batter ciglio che non ha nulla da aggiungere perché, se avesse conservato la vita, avrebbe seguito la stessa direzione di cattolico militante.

Sempre si era distinto nel confessare la fede cristiana con ottimismo, dignità e coraggio. Le lettere che scrive alla famiglia e alla fidanzata alla vigilia della morte ne sono una chiara prova. “Lascia che questa sia la mia ultima volontà: perdono, perdono e perdono; ma indulgenza, che voglio sia accompagnata facendo tutto il meglio possibile. Quindi vi chiedo di vendicarmi con la vendetta del cristiano: ricambiando con il bene coloro che hanno cercato di farmi del male”, scrive alle zie e ai cugini.
E alla sua fidanzata, Maruja:
“Quando mi restano poche ore per il riposo finale, voglio solo chiederti una cosa: che in ricordo dell’amore che abbiamo avuto l’uno per l’altro e che in questo momento aumenta, ti occupi della salvezza della tua anima come obiettivo principale, perché così potremo incontrarci in cielo per tutta l’eternità, dove nessuno ci separerà”.

I suoi compagni di prigionia hanno conservato i dettagli emozionanti della sua partenza per la morte: a piedi nudi, per assomigliare più da vicino a Cristo. Quando gli mettono le manette ai polsi, bacia le mani del miliziano che gliele mette. Non accetta, come gli propongono, di essere fucilato alla schiena. “Chi muore per Cristo, disse, deve farlo frontalmente e con il petto nudo. Viva Cristo Re!” e cade con le braccia aperte a forma di croce, crivellato di colpi accanto a una quercia. È il 2 ottobre 1936. Non aveva ancora 22 anni.

Bartolomé, per la chiara e indiscussa identità cristiana e per il suo impegno convinto per i valori della giustizia e la difesa delle classi più povere e vulnerabili, viene ingiustamente catturato, processato, ucciso, rivolgendo le sue ultime parole a Cristo Re, l’unico vero Signore, rimanendo accanto ai propri fratelli in pericolo e salutandoli con fede e con la ferma speranza di incontrarsi di nuovo nella vera vita nel regno dei cieli.

È stato beatificato a Roma il 28 ottobre 2007 durante il pontificato di Benedetto XVI con altri 497 martiri della medesima persecuzione.
 

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