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Non aspettiamo Godot... ma passione e creativita`

La passione, la creatività, la tensione interiore con cui tanti maestri e professori “inventano”, giorno dopo giorno ‚Äì sfidando le carenze strutturali e l'indifferenza della società - , il percorso educativo più adeguato alla situazione concreta degli studenti che hanno davanti.


Non aspettiamo Godot... ma passione e creativita`

da Quaderni Cannibali

del 05 ottobre 2010

          

           A leggere, sui grandi quotidiani, gli editoriali degli “esperti” (che però nelle aule scolastiche non hanno più messo piede dopo gli esami di maturità), si ha la tentazione di credere che per la scuola italiana non ci sia più nulla da fare. Il quadro che ne viene fuori è quello di un carrozzone sgangherato e obsoleto, che solo il colpo di bacchetta magica di qualche geniale ministro potrà riscattare e portare, finalmente, ai fatidici “standard europei”.

           Si è diffusa, così, nell’opinione pubblica (e in parte nella scuola stessa) la sindrome di «Aspettando Godot». È il titolo di una famosa opera teatrale di Samuel Beckett in cui si rappresenta l’attesa sconclusionata di due balordi che aspettano – senza neppure sapere bene dove e perché – un fantomatico personaggio (Godot, appunto: un nome che richiama volutamente God, “Dio” in inglese), il quale alla fine non viene e, si capisce benissimo, non verrà mai.

           Ma davvero la scuola italiana ha bisogno di un Godot? Veramente gli studenti che in questi giorni ritornano sui banchi sono condannati a vivere solo l’esperienza del degrado, in un’attesa senza speranza?

           Guardiamo alla condizione dei docenti, che di questa scuola costituiscono un elemento fondamentale. È vero: quelli italiani sono probabilmente i meno pagati d’Europa e, in una società come la nostra, abituata a misurare il valore delle cose su base pecuniaria, questo ha molto contribuito alla loro svalutazione sociale. Né si può negare che i metodi di assunzione, ormai da diversi decenni, abbiano lasciato molto a desiderare, creando eserciti di precari senza un’adeguata selezione (culturale, non sociale!) che sicuramente avrebbe aiutato a conservare alto il prestigio di questa figura.

           Ma chi ha esperienza della scuola dall’interno sa anche che il miracolo rappresentato da ogni autentico rapporto educativo non è affatto una rarità nelle nostre aule scolastiche. Chi scrive, alla luce di un’esperienza pluridecennale, può testimoniare che una percentuale importante di insegnanti, in istituti di ogni ordine e grado, spende senza risparmio le proprie energie, con entusiasmo, in vista della crescita dei propri alunni. E spesso si tratta di un impegno non solo strettamente intellettuale, ma globalmente umano, che coinvolge il docente nella sua dimensione emotiva, oltre che in quella razionale, costringendolo talvolta a rimettersi in discussione.

           Per fortuna neppure nella nostra società i soldi sono tutto. Solo così si spiega che migliaia di giovani di entrambi i sessi (anche se gli uomini sono ormai una netta minoranza) continui a iscriversi in facoltà universitarie che portano all’insegnamento. Soprattutto, solo così si spiegano la passione, la creatività, la tensione interiore con cui tanti maestri e professori “inventano”, giorno dopo giorno – sfidando le carenze strutturali e l’indifferenza della società - , il percorso educativo più adeguato alla situazione concreta degli studenti che hanno davanti.

           Perché non è la stessa cosa insegnare in un quartiere residenziale o in una di quelle borgate “a rischio” dove, più ancora della miseria materiale, pesa quella culturale e morale. Le statistiche queste cose non le dicono, quando denunciano il divario tra il rendimento delle scuole del Sud – dove queste situazioni sono assai più frequenti - rispetto a quelle del Centro e del Nord. E, se non si è capaci di leggerle con intelligenza, sembrano giustificare i pregiudizi nei confronti dei professori meridionali. Non vorremmo dare l’impressione di descrivere il paese delle fate. Sappiamo bene che ci sono anche i docenti ignoranti, demotivati e autoritari. Come in ogni lavoro, anche in questo il grano e la zizzania di cui parla il Vangelo crescono insieme. Dipende dalla società, dunque da tutti noi, operare un discernimento che, invece di guardare con diffidenza l’intera categoria, valorizzi, incoraggiandoli con la propria stima, gli insegnanti degni di questo nome e li sostenga costantemente nel loro delicatissimo lavoro, da cui dipende in larga misura il futuro della nostra società.

Giuseppe Savagnone

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