A Roma il sole finalmente splendeva e la primavera sembrava davvero promettere qualcosa di buono per il futuro. Il nuovo governo era stato appena formato, finalmente, e anche questo sembrava promettere qualcosa di buono per il futuro.
“Hai sentito che c’è stato un attentato a Palazzo Chigi?” questa è la frase che mi ha accolto, tornando a casa per il pranzo della domenica. A Roma il sole finalmente splendeva e la primavera sembrava davvero promettere qualcosa di buono per il futuro. Il nuovo governo era stato appena formato, finalmente, e anche questo sembrava promettere qualcosa di buono per il futuro.
Dentro il Quirinale i nuovi ministri giuravano nelle mani del Presidente della Repubblica, fuori, nella piazza, dalle mani di un uomo partivano dei colpi di pistola.
Ecco a cosa si può arrivare quando si perde la speranza.
Si spara. Si spara addosso a chi è come noi. Si spara in mezzo a una piazza, dove la primavera ha fatto capolino quasi a voler portare un po’ di luce dove sembra non ci sia.
Alcuni testimoni dell’accaduto hanno dichiarato che inizialmente il rumore degli spari era sembrato loro quello di mortaretti per festeggiare il giuramento del nuovo governo, solo le grida successive di terrore hanno cambiato la prospettiva. E la prospettiva era totalmente diversa: un attentato.
Molte persone hanno visto due carabinieri feriti, un uomo a terra immobilizzato che guardava la sua pistola. E quelle immagini, quei rumori sono subito rimbalzati ovunque, perché siamo nell’era dell’informazione in tempo reale e ogni notizia arriva subito a tutti, senza darti il tempo di capire che è successo per davvero.
Quando ho visto quelle scene domenica mattina ammetto di aver pianto. Forse sarà stata una reazione esagerata, dettata dall’attaccamento alla mia città e dalla grande pena che ho provato per noi tutti. Infatti, quello che vedevo era l’epilogo triste di un gesto dettato dall’esasperazione.
Tutti ci domandiamo: perché quell’uomo ha sparato? Perché, soprattutto, ha sparato contro dei carabinieri? Sfido chiunque a dire di non aver pensato, almeno per un secondo, pur sentendomi io per prima crudele, che il bersaglio probabilmente più indicato sarebbe stato un altro che era a pochi passi da lì, ma non fuori nella piazza. Un pensiero orribile e disumano. Ecco a cosa ci può portare la mancanza di speranza.
Quell’uomo non sarebbe dovuto arrivare fino a questo punto, e nemmeno noi. Nessuno. L’esasperazione è l’inizio di una catena che porta solo a gesti che sono un crescendo di crimini e atti di estrema crudeltà.
Adesso, più che mai, è il momento di guardarci dentro e guardare fuori gli uni verso gli altri per credere che è possibile non cadere in questo vortice buio. Non dobbiamo rassegnarci e abbassare tristemente gli occhi, pensando che tutto è difficile, che questa crisi non passerà mai.
Bisogna ricominciare, bisogna imparare ad avere occhi nuovi e a non pensare al peggio. Anche se trovare fiducia nella classe politica è difficile, specialmente oggi, bisogna imparare ad andare oltre. Oltre l’esasperazione, oltre la violenza, oltre le polemiche, oltre la rabbia, oltre le false promesse. Dobbiamo rimpadronirci della speranza, perché un paese di persone che si fanno rubare la speranza è un paese che spara. Spara più colpi, e lo fa contro se stesso.
Cogito et Volo
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