La "Verbum Domini" e l'allargamento della ragione secondo Benedetto XVI. Per accettare la rivelazione cristiana è necessario essere aperti a una vera novità nella storia, ossia è necessario ammettere che la realtà possa essere più vasta e più ricca di ciò a cui siamo abituati.
Un semplice raffronto tra l’esortazione apostolica Verbum Domini, l’intervento di Papa Benedetto XVI nel Sinodo della Parola e la produzione teologica del professore e poi del cardinale Ratzinger permettono di constatare la sua costante preoccupazione di chiarire l’autentica maniera di vincolare l’esegesi biblica scientifica alla rivelazione storica. Dai suoi primi lavori, come Il Dio della fede e Il Dio dei filosofi, del 1960, ai suoi ultimi interventi, passando per discorsi programmatici come quello di Ratisbona, si riconosce una grande continuità nella sua opera intellettuale al servizio della Chiesa.
L’esegesi storico-critica si è dimostrata un eccellente metodo per interpretare i testi antichi; di fatto, nella programmatica introduzione al primo volume del libro Gesù di Nazaret, Papa Benedetto XVI afferma che tale metodo «resta indispensabile» (volume i, p. 12), perché il testo biblico, in sé, ha una storia. Ma questo metodo tanto necessario mostra i propri limiti quando lo si intende come autosufficiente, ossia come l’unico cammino e il cammino completo per la comprensione del testo biblico. La Scrittura richiede metodi filologici e storici seri per essere compresa, poiché «il Verbo si fece carne» (Giovanni, 1, 14), ma questi non ne esauriscono la lettura.
L'ermeneutica secolarizzata non è aperta alla novità: non ammette che la realtà sia diversa da ciò che è usuale, e allora la consuetudine si stabilisce come norma: laddove la Scrittura presenta qualcosa che va al di là della nostra esperienza quotidiana, lo si dovrà ridurre al livello della nostra esperienza quotidiana. Per accettare la rivelazione cristiana è allora necessario essere aperti a una vera novità nella storia, ossia è necessario ammettere che la realtà possa essere più vasta e più ricca di ciò a cui siamo abituati. Una lettura biblica che pretende di essere filosoficamente neutrale, senza convinzioni previe, è illusoria, e su ciò le attuali filosofie del linguaggio sono concordi. Se non sono presenti le convinzioni della fede cristiana, ci saranno altre convinzioni. Detto in altre parole, i lettori sono sempre "credenti", la differenza sta nel fatto che alcuni "credono" in una cosa e altri "credono" in un’altra. Non si deve pertanto considerare meno scientifica un’esegesi che parte dalle convinzioni della fede cristiana. La soluzione viene da un dialogo in cui il pensatore cristiano, illuminato dalla rivelazione, riforma la propria filosofia e, nello stesso tempo, esamina in modo critico la propria fede, alla luce della ragione. In questo dialogo, si purifica la fede e si purifica la ragione. Ovvero, questo dialogo permette di avvicinarsi a ciò che appartiene veramente alla fede e alle reali esigenze della ragione. Tale programma di "ampliamento della ragione" sarà forse una delle grandi eredità della teologia di Papa Benedetto XVI. Si tratta di un’eredità fondamentale, poiché solo una lettura biblica che si avvale di una ragione aperta alla novità del mistero di Dio è degna dell’uomo e, in definitiva, atta a far sì che, in modo autentico e responsabile, per mezzo della Scrittura, possiamo ascoltare Dio.
Samuel Fernández
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