Più volte abbiamo detto che essere casti significa riconoscere che abbiamo un corpo per amare. La castità ci fa vivere, una sessualità liberata dall’egoismo. Ma, scendendo ora sul concreto, quali scelte manifestano la purezza insita nella dimensione della castità? Quali scelte invece oscurano la sacralità del corpo umano e dell’atto sessuale?
Più volte abbiamo detto che essere casti significa riconoscere che abbiamo un corpo per amare. La castità ci fa vivere, una sessualità liberata dall’egoismo. Ma, scendendo ora sul concreto, quali scelte manifestano la purezza insita nella dimensione della castità? Quali scelte invece oscurano la sacralità del corpo umano e dell’atto sessuale?
di Cecilia Galatolo, tratto da puntofamiglia.net
Alcuni pensano che vivere la castità significhi “aspettare il matrimonio per il sesso e poi fare qualunque cosa”. In realtà ho compreso che non è così: significa vedere in ogni persona una dignità inviolabile e riconoscere che alcuni atti ledono questa dignità. Se l’altro è dono, mistero insondabile, perla preziosa unica e irripetibile, io non posso sfruttare il suo corpo per il mio piacere. Se io sono prezioso, non posso trattarmi come merce di scambio e “farmi usare” a piacimento di un altro. Nemmeno “se siamo innamorati”. Nemmeno se siamo sposati. Perché alcuni atti causano la spersonalizzazione della sessualità. Di che atti sto parlando?
Più volte abbiamo detto che essere casti significa riconoscere che abbiamo un corpo per amare. La castità – che si vede nella capacità di preservare la nostra intimità in vista di un dono autentico di noi stessi – ci fa vivere, in ogni stato di vita (single, fidanzati, sposati, consacrati) una sessualità liberata dall’egoismo. Ma, scendendo ora sul concreto, quali scelte manifestano concretamente la purezza insita nella dimensione della castità? Quali scelte invece oscurano la sacralità del corpo umano e dell’atto sessuale?
Ricapitolando brevemente, negli articoli precedenti abbiamo parlato della castità come virtù, abbiamo detto che cos’è l’atto sessuale e cercato di spiegare perché valga la pena viverlo solo quando ci si è donati a qualcuno in modo definitivo, senza piani B (momento che, per un cristiano, corrisponde con la ricezione del sacramento del matrimonio e con lo scambio della promessa di fedeltà per tutta la vita). Abbiamo detto che il pudore non è sinonimo di “chiusura mentale”, ma segno che riconosciamo di essere preziosi, di doverci custodire e che l’atto sessuale è un “linguaggio”, con il quale due sposi si dicono: “Io ti appartengo”, “Sono tua/tuo per sempre”.
Infine, l’ultima volta, abbiamo detto che non è da sciocchi puntare in alto: è possibile e meraviglioso sognare una sessualità limpida e vivere un amore puro. Può sembrare utopia, invece non è così. Lo testimoniano tante storie vere (alcune le ho raccolte e pubblicate nel libro Casti alla meta. 50 sfumature dell’amore vero, Mimep Docete, 2020). Non abbiamo però ancora parlato di quali atti concreti ostacolano una vita pura. Penso sia bene vincere l’imbarazzo e fare degli esempi. Scorrendo l’elenco che farò, qualcuno potrebbe pensare: “Accidenti, allora non si può fare nulla!”
Ribadisco, come già detto in precedenza, che la castità è una scelta libera e non può essere imposta. Leggendo di seguito, ci sarà chi alzerà le spalle e deciderà di comportarsi diversamente. Ed è libero di farlo! Premesso questo, però, penso sia esperienza comune che scegliere una strada implica sempre rinunciare a molte altre parallele. Quando abbiamo deciso la scuola da frequentare alle superiori, ne abbiamo escluse altre. Tutte le altre. È così se scegli la castità: la purezza esclude l’impudicizia; preservarti per una sola persona implica che tu non viva il sesso appena conosci un ragazzo o una ragazza che ti piace; voler diventare “una sola carne” con una sola persona esclude l’esperienza del sesso come gioco, dipendenza, come “servilismo” o ricerca esclusiva di piacere (da soli o in coppia).
Ora, finalmente, arriviamo al dunque e cerchiamo di delineare cosa ostacola la castità. Per prima cosa, certamente, cercare storie di sesso occasionali (cioè non avere cura di chi è la persona che mi dà il suo corpo, ovvero tutta sé stessa, tutto ciò che è e che ha, ma concentrarmi solo sul piacere che posso ricavare dall’attività sessuale con lei), ma anche guardare chi mi passa davanti, dal vivo o in uno schermo, con malizia (ovvero senza interessarmi alla sua vita, alla sua interiorità e immaginare situazioni dalle quali potrei ricavare godimento fisico). Non è “puro” procurarmi intenzionalmente eccitazione guardando immagini pornografiche, inventare doppi sensi volgari o condividere battute a sfondo sessuale. Infine, porta alla spersonalizzazione del sesso stimolare i genitali (da soli o in coppia) o avere rapporti orali ed anali, così che non avvenga una “unione vera e propria con qualcuno” (perché in questo modo non si verifica un’appartenenza, non ci si accoglie, non si diventa uno – da due che si era – ci si “usa” come “strumenti” per procurare un piacere, laddove il piacere, per una persona che cerca la purezza, è connesso alla – e non è indipendente dalla – fusione di corpo e di anime, propria dell’atto coniugale).
Tutto questo va tuttavia rifiutato non per delle “pressioni esterne”, non perché qualcuno lo impone, bensì nella piena libertà, come ha fatto Clelia, 29 anni, la quale racconta di essere stata molto più felice e in pace quando ha eliminato queste cose dalla sua vita e ha scelto di preservare il proprio corpo per donarlo solo al futuro marito. La sua storia, però, ve la racconto la prossima volta!
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