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Omelia della 4° Domenica di Quaresima

Prepariamoci al Vangelo della Domenica meditando con l'aiuto dell'omelia di don Gianni. esù «passando vide un uomo cieco dalla nascita». È ancora lui che passa, passa accanto a noi, e ci vede. Passando, vide. Potremmo chiamare il Signore «Colui che passa, e vede».


Omelia della 4° Domenica di Quaresima

da Teologo Borèl

del 31 marzo 2011

 

4° DOMENICA di Quaresima3 aprile 2011  “Io credo Signore!' 

1 Samuele 16, 1-13Efesini 5, 8-14                                 Giovanni 9, 1-41

 

         

1. Siamo ancora a Gerusalemme... Gesù «passando vide un uomo cieco dalla nascita». È ancora lui che passa, passa accanto a noi, e ci vede. Passando, vide. Potremmo chiamare il Signore «Colui che passa, e vede».

         

Quest’uomo cieco sono io - può dire ciascuno di noi - certamente. Siamo tutti nati ciechi e abbiamo ricevuto la luce senza che sapessimo chiederla. Avevamo una cecità che non era effetto di nostra colpevolezza, né di quella dei nostri genitori. Una cecità che risale alla notte dei tempi. Una cecità che abbiamo ereditato per una ferita che, fin dall’origine, ha tolto all’uomo la possibilità di vedere Dio, e l’ha messo come in esilio, nell’esilio dell’oscurità, con una grandissima nostalgia di ritornare nel regno della luce per contemplare il volto del Padre.

         

Questo cieco nato costituisce un «caso», un problema, e questo si trasforma in una questione morale, teologica. Ma non è così per Gesù: egli non giudica il caso, lo assume.

         

Il Signore mi sta davanti e non mi giudica. Mi accoglie. Si fa carico di me. Perché ciò che importa non è sapere di chi è la colpa. Ciò che importa è quello che il Signore ha fatto, fa e farà per l’uomo cieco nato, per me.

«È così - dice Gesù rispondendo agli apostoli - perché si manifestino in lui le opere di Dio».

         

Ecco, dall’incontro della luce con la cecità, con l’oscurità, avviene una specie di nuova creazione. Facendo un po’ di fango con la sua saliva e la polvere della strada, Gesù plasma nuovi occhi al cieco. Ma non senza la sua cooperazione. E’ una creazione diversa dalla prima: «Fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va’ a lavarti nella piscina di Siloe». Quegli andò, si lavò, e tornò che ci vedeva. Se il cieco, davanti a quel gesto così inconsueto, strano, di Gesù, gli avesse detto: Ma che fai? Mi accechi ancora di più... Chi mai ci può vedere con del fango spalmato sugli occhi? Se avesse preso come un insulto, come una burla il gesto di Gesù e non fosse andato a Siloe, nulla di nuovo, nulla di bello gli sarebbe accaduto. Gli è chiesta la cooperazione della fede, della fiducia, dell’obbedienza: va’ a Siloe.

         

Quante volte, o Signore, ci hai detto: Va’ a Siloe, e noi siamo rimasti seduti. Che vado a fare? È inutile! Sono già stanco. Non serve a niente. Un sacramento in più, uno in meno; una preghiera in più, una in meno; uno sforzo in più, uno in meno. A che vale? Tanto, sono cieco nato! Non si può guarire.

«Va’ a Siloe. Quegli andò, si lavò, e tornò che ci vedeva». Bellissimo! Senza tante discussioni.

Il Signore ci chiede sempre: Prima di tutto fa’ quel che ti dico, e poi vedrai.

 

         

2. Segue tutta quella commedia umana tra il vicinato, i parenti, i farisei, i capi, la folla... Ma chi è quello lì? Non è più quello di prima... È o non è lui? Possibile che sia cambiato così? Possibile che ora ci veda? Tu chi sei? Lo sa bene il cieco, chi è. Non ha smarrito il senso della sua identità, ma ha acquistato il senso della sua vera, nuova identità. Io ero... ma ora sono... Ero cieco; ora sono uno che ci vede, e questa è opera di un uomo che si chiama Gesù, che gratuitamente mi ha fatto questo regalo. Passando mi ha visto. Guarda che fortuna!

 

 

         

Ma quel giorno era di sabato. C’è qualcosa che non collima con il senso della legge, delle prescrizioni legali. Ha compiuto un’azione illecita in giorno di sabato col fare il fango e spalmare gli occhi al cieco; quindi non è da Dio quell’uomo che si chiama Gesù.

 

 

  

         

Chi fa l’esperienza della grazia, dell’incontro con il Signore nella gratuità assoluta, e quindi nell’umiltà, non sa niente altro che questo, e non può dire niente altro che questo: Chi sia Colui che mi ha guarito, pure per me è un mistero, ma so che deve essere un mistero di bontà perché io ne sono stato beneficato, e poiché tutto quello che c’è di bene proviene da Dio, io non posso dire che chi mi ha dato la vista è un peccatore, anche se non so dire niente di più.

La nostra tentazione tante volte è quella di ridimensionare il senso della nostra fede per essere alla portata dell’incredulità dell’ambiente in cui viviamo, per poterci stare più tranquillamente. Se manifesto troppo apertamente e con entusiasmo, con autenticità e fermezza la mia fede, mi trovo distaccato da tanti che non la pensano come me, che non sentono come me. Come faccio, allora, a vivere insieme agli altri?

Il cieco nato, proprio perché continua a insistere dicendo: Ci vedo, ed è merito suo se ci vedo; è lui, quell’uomo che si chiama Gesù che mi ha dato la vista…, per questo motivo viene scacciato dalla sinagoga.  Chi crede è sempre in certo modo scacciato dal mondo, dal mondo senza Dio, che nega il miracolo, che nega l’onnipotenza di Dio, che vuole tutto spiegare con la scienza, con la ragione, con le leggi fisiche, psicologiche. Chi crede deve sapere che è destinato a vivere nel mondo come uno straniero, in esilio. È una cosa seria! E deve portarne il peso. Tanto più se uno crede fino a lasciare tutto lo stile del mondo e a fare una scelta così radicale che sia, davanti al mondo, una clamorosa confessione di fede.

Io credo fino al punto di giocare su quest’uomo che si chiama Gesù tutta la mia vita!

Il cieco nato si trova solo, persino abbandonato dai suoi genitori, che non rischiano la vita per lui: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo»... vedetevela con lui! Non vogliono rischiare di essere anch’essi scacciati, separati dalla comunità giudaica a causa del figlio.

          3. Il cieco è solo, per aver avuto il coraggio di dire: Ci vedo perché Gesù mi ha guarito. E Gesù lo vede, solo; sa che lo hanno cacciato fuori. Gli va incontro di nuovo: un incontro più profondo, rivelatore; un incontro in cui il cieco non soltanto riacquista la luce degli occhi per vedere il mondo che ha intorno, ma la luce interiore per vedere Colui che è la sua luce, la luce della sua vita.

«Incontratolo gli disse: Tu credi nel Figlio dell’uomo?». «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Totale disponibilità. Basta che io lo incontri, io voglio credere in lui.

 

 

   Il cieco ha compiuto un itinerario dalle tenebre alla luce della fede in Gesù. Credere che qualcuno gli ha dato la vista non è poi tanto difficile. È un fatto che constata. Credo che ci vedo. Trovarsi in una situazione determinata da un fatto e riconoscerlo, è già una certa fede; ma incontrarsi a tu per tu con Colui che ha cambiato la nostra situazione, con chi ci ha strappati dalla notte della cecità e ci ha portati nella bellezza del suo giorno, questa è la fede matura a cui si deve arrivare. Devo passare oltre al credere di essere cristiano, di aver ricevuto con il battesimo una educazione cristiana, di aver ricevuto una fede. Devo arrivare a credere effettivamente in lui, nel Signore Gesù, mia luce e mia salvezza, e devo esprimere con tutta la mia vita questo incontro che mi lega indissolubilmente a lui come alla vera fonte della mia vita.

«Credi tu nel Figlio dell’uomo?». Gesù non mi dice: Credi in una dottrina, in tanti dogmi, in una verità che ti è stata insegnata? Ma: Credi tu nella mia persona, vuoi incontrarti con me e vivere per me?  Io credo, Signore! E questa fede si esprime con l’adorazione: «Gli si prostrò innanzi». 

 

 

 

 

                                                                                                                     

         Ecco, tutti i giorni e a tutte le ore il Signore è Colui che mi sta davanti e mi parla. Credo in lui? Come esprimo questa fede? Come lo ascolto, come lo accolgo, come gli acconsento, come coopero con lui alla salvezza di tutti? Come riconosco nella mia vita la sua presenza che mi cambia continuamente? E come so proclamare che è lui la mia luce? Se è lui la mia luce io vedo nella sua luce, e divento una trasparente manifestazione delle opere di Dio per la sua gloria. 

          «Gli disse Gesù: “Tu l’hai visto: Colui che parla con te è proprio lui”. Ed egli disse: “Io credo, Signore!”. E gli si prostrò innanzi». 

         

Simili commedie nascono talvolta da certe discussioni che avvengono dentro di noi, attorno a noi, sulle cose di Dio che non comprendiamo. È come un annaspare nel buio di una stanza evitando sempre di infilare la porta per uscire alla luce.

         

Ecco una logica ferrea, una lettera che uccide. Una veduta così corta, così angusta, che è peggio della cecità del cieco nato. Cecità spirituale di non voler vedere, non voler riconoscere la verità, il bene. E allora ecco la caccia al cieco per indurlo a negare il prodigio che gli è accaduto. Il cieco guarito deve o negare se stesso, la propria identità, o negare Cristo, Colui che l’ha guarito.

 Letture:

don Gianni

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