Perché sposarsi in chiesa? Ce lo spiega Giovanni Paolo II

Un articolo finora inedito apparso di recente in una raccolta di contributi scritti tra il 1952 e il 1962 intitolata “Educare ad amare. Scritti su matrimonio e famiglia”...

“Per la maggioranza delle persone, le nozze celebrate in chiesa sono ancora un’attrattiva: desiderano celebrare il matrimonio religioso. Perché è così?”. Karol Wojty≈Ça se lo chiedeva già molti anni prima di diventare papa con il nome di Giovanni Paolo II, come dimostra un articolo finora inedito apparso di recente in una raccolta di contributi scritti tra il 1952 e il 1962 intitolata “Educare ad amare. Scritti su matrimonio e famiglia” (Cantagalli).

Nel testo, di straordinaria attualità nonostante i decenni trascorsi dalla sua redazione, Wojty≈Ça sottolineava che le nozze celebrate in chiesa sono più attraenti del matrimonio contratto nell’Ufficio di Stato Civile nel Comune per “la stragrande maggioranza delle persone”, anche quelle “non molto credenti”, anche se “ci sono, anzi aumentano, le persone per le quali la questione è indifferente”.

In primo luogo, scriveva Wojty≈Ça, bisogna chiarire cosa significa celebrare le nozze in chiesa. Come nel matrimonio civile, spiegava, in quello religioso ci sono due momenti, il contratto e la dichiarazione, ma mentre nel primo caso la dichiarazione è nei confronti della società, del potere civile, nel matrimonio religioso questa “mira molto più in alto e assume il carattere tipicamente religioso, anzi solenne. Ed è il giuramento a definire il carattere religioso della dichiarazione. L’atto non ha senso se non si accetta l’esistenza di Dio”. “Il giuramento richiama il Signore come testimone”.

 

E allora, perché sposarsi in chiesa?

 “Prima di tutto”, rispondeva Wojty≈Ça, “perché questo corrisponde pienamente alla dignità e al valore della persona umana. Sappiamo che il matrimonio sacramentale è il fondamento del legame indissolubile dell’uomo e della donna, e soltanto questa visione del matrimonio rimane in giusto rapporto con la dignità della persona umana, in giusto rapporto con ciò che l’uomo è”.

 “La persona possiede un particolare valore della persona, e tale valore della persona merita una particolare affermazione. La persona non può diventare un oggetto da utilizzare – e così sarebbe se i rapporti sessuali non fossero custoditi dall’istituzione del matrimonio, anzi dall’istituzione del matrimonio monogamico e indissolubile”.

C'è poi un'altra ragione, che “comincia a formarsi nella nostra coscienza quando con gli occhi della fede guardiamo il destino e la vocazione di ogni uomo”.

 “L’uomo è destinato non solo a compiere grandi opere in questo mondo, a soggiogare la terra, a creare la cultura e la civiltà, ma l’uomo – la persona umana – è chiamato a incontrare personalmente Dio, a unirsi definitivamente a Dio. Ogni uomo possiede questo destino e ognuno è chiamato a questo”, “anche quando ancora non ci pensa e poco se ne rende conto”.

Se è così, serve “un voto (giuramento), un atto di virtù religiosa affinche due battezzati, due credenti, uomo e donna, possano unirsi nel matrimonio e iniziare i rapporti sessuali mediante i quali due persone si donano reciprocamente”, proprio perché “il Signore lo deve in qualche modo concedere, Lui che ha il diritto ad ogni persona umana in un certo modo lo deve permettere. Ed è ciò che accade nel momento della celebrazione religiosa delle nozze, mentre entrambi si inginocchiano” “sentendo sopra di sé la maestà divina, vedendo davanti a sé la grandezza del suo amore e comprendendo pienamente il suo diritto soprannaturale a ciascuno di loro”.

 “E mentre entrambi giurano, promettendosi l’amore, la fedeltà e l’onestà coniugale, per il fatto stesso del giuramento ricevono dal Signore il permesso, il diritto di appartenere l’uno all’altra”.

 “Perché dunque sposarsi proprio in chiesa?”, si chiedeva Wojty≈Ça. “Perché il matrimonio diventi sacramento che trasmette le risorse della redenzione di Cristo, quella forza soprannaturale che permette agli uomini, che comunque rimangono esseri umani, di vivere secondo il disegno di Dio, di vivere come figli di Dio”.

Per vivere il matrimonio in questo modo, concludeva, “nel momento della celebrazione gli sposi devono attingere la grazia, accogliere nell’anima tante di quelle energie soprannaturali che permetteranno loro di corrispondere al pensiero di Dio, al grande disegno del Creatore e Redentore”.

In rapporto a questo grande disegno, infatti, l’uomo “si trova a un livello inferiore, e debole”, e per vivere nel matrimonio secondo il piano di Dio “occorre sempre trascendere se stessi, uscire fuori da ciò che comporta la propria debolezza. E occorre uscirne fuori insieme, entrambi”.

 

 

Roberta Sciamplicotti

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