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Perché esiste l' 'io'? «Perché possa abdicare».

Non è forse vero - domanda Lewis - che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita...


Perché esiste l' 'io'? «Perché possa abdicare».

da Quaderni Cannibali

del 07 luglio 2006

«Quanto a Dio, dobbiamo ricordare che l'anima è solo una cavità che egli riempie». Le ultime due pagine di Prima che faccia notte, di Clive Staples Lewis, l'autore de Le cronache di Narnia, sono lucide e trasparenti come la summa di un pensiero rimeditato per tutta la vita. «Non è forse vero - domanda Lewis - che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate sempre di trovare, sotto il flusso di altri desideri e in tutti i temporanei silenzi tra le altre passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, fino alla vecchiaia? (...) Se questa cosa dovesse finalmente manifestarsi - se mai dovesse sentirsi un'eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso - voi lo sapreste. Al di là di ogni dubbio possibile direste: 'Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato'. Non possiamo parlarne gli uni agli altri. è la firma segreta di ogni anima, l'incomunicabile e implacabile bisogno'.

Ma, prosegue il filo del discorso di Lewis. «Quello che voi agognate vi invita a uscire da voi stessi. Questa è la legge suprema - il seme muore per vivere». Conclude poi, nelle ultime venti righe: «L''io' esiste perché possa abdicare; e, con questa abdicazione, esso diventa più veramente 'io'. Questa non è una legge celeste a cui possiamo sfuggire rimanendo attaccati alla terra, né una legge terrena a cui possiamo sfuggire essendo salvati. Ciò che si trova al di fuori del sistema dell'abbandono di sé non è terra né natura né 'vita normale', ma semplicemente e solamente Inferno. Eppure perfino l'Inferno deduce la sua realtà da questa legge. Quella fiera reclusione nel proprio io non è che il contrario dell'abbandono di sé che è assoluta realtà, la forma negativa che le tenebre assumono circondando e definendo la forma del reale».

Al di fuori del sistema dell'abbandono di sé non c'è dunque la 'vita normale', come amiamo chiamarla, ma, dice Lewis, solo la «fiera reclusione nel proprio io». Che è in realtà l'Inferno, il quotidiano banale Inferno cui siamo tanti abituati da nemmeno riconoscerlo. A me queste parole paiono di una lucidità, e di una forza contro la corrente del tempo in cui siamo immersi, da risultare - nelle ultime due pagine di questo piccolo libro della Bur - verità lucente, tagliente sulla nostra vita.

Marina Corradi

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