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Perché no. Il minore è prioritario, gli serve stabilità

Per quanto riguarda l'adozione, la questione fondamentale sta nella scelta, se al primo posto si debba mettere il desiderio dell'adulto di paternità e maternità, oppure l'interesse del figlio ad avere i genitori.


Perché no. Il minore è prioritario, gli serve stabilità

da Attualità

del 17 febbraio 2011

 

 

 

          Il modo migliore per travolgere e stravolgere un caso singolo è quello di trasformarlo in un criterio generale. Chissà quanti buoni motivi ha la signora di Genova per chiedere l’adozione della bimba di cui si è presa cura durante la sua permanenza nella Federazione Russa e poi negli Usa.

           Lo si intuisce dai brevi stralci di cronaca che accompagnano il fatto in seguito a cui la Corte di Cassazione invita il legislatore a “provvedere nel concorso di particolari circostanze, a un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante”.

          Ma è in questa commistione di cronaca e diritto che si trova la nota stonata. Come tutti sanno, i giornali si occupano dell’eccezione. In tutti i manuali viene insegnato che la notizia non sta nel cane che morde il bambino ma nel bambino che morde il cane. Evento, quest’ultimo, destinato a finire negli articoli di giornale. Ma per gli articoli del codice civile o penale che sia, il criterio dovrebbe essere diverso. Ciò che lascia perplessi nella sentenza della Corte di Cassazione è la spinta a mutare il criterio generale in forza del caso singolo.

          Per quanto riguarda l’adozione, la questione fondamentale sta nella scelta, se al primo posto si debba mettere il desiderio dell’adulto di paternità e maternità, oppure l’interesse del figlio ad avere i genitori.

          Quando lo stato italiano ha legiferato in materia, ha imboccato senza esitazione la seconda strada: l’adozione si misura a partire dal bene minore. Ecco perché il desiderio di un uomo e di una donna non deve essere tramutato in pretesa e diritto.

          Si potrà discutere sulle modalità con cui gli aspiranti genitori vengono vagliati dallo Stato: e qui ci sarebbe da ridire sul valore eccessivo delle consulenze psicologiche o sulla estenuante serie di verifiche previste dal protocollo di adozione. Cosa c’è di più difficile che il prevedere con mezzi oggettivi se Tizio e Caia saranno o no buoni genitori? Ma di tutti i criteri d’accesso, il più oggettivo e indiscutibile è quello che esige l’esistenza di una coppia stabile, di un uomo e di una donna che offrano la disponibilità di un luogo sicuro ed accogliente, coerente con la struttura intrinseca della famiglia. Obiettare che ci sono zie o zii single migliori educatori di una coppia sposata non serve a spostare il problema: la legge ha il dovere di ragionare secondo standard oggettivi, validi in linea generale, e ammettendo pure le solite eccezioni.

          Siccome lo stato vuol garantire il bene di quel bimbo o di quella ragazza senza genitori, ecco che porrà come condizione di partenza l’esistenza di un padre e di una madre.

          La vita è strana e complicata, e si può crescere benissimo anche solo con la mamma, perché il papà e morto o se n’è andato. Ma quella è una condizione di sfavore, non un modello auspicabile. E ci mancherebbe che lo Stato si mettesse nelle condizioni di pianificare in partenza famiglie dove manca la fondamentale integrazione della figura paterna e materna.

Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro

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