La fede cristiana è costitutivamente eucaristica e solo chi rende grazie fa l'esperienza della salvezza, cioè dell'azione di Dio nella propria vita. E poiché la fede è relazione personale, di un'intera esistenza, con Dio...
del 01 gennaio 2002
Nell’episodio evangelico dei dieci lebbrosi guariti da Gesù (Luca 17,II-19) si afferma che a uno solo di loro si rivolgono le parole del Signore: «La tua fede ti ha salvato» (Luca 17,19): è colui che, vistosi guarito, è tornato indietro per ringraziare Gesù. La fede cristiana è costitutivamente eucaristica e solo chi rende grazie fa l’esperienza della salvezza, cioè dell’azione di Dio nella propria vita. E poiché la fede è relazione personale, di un’intera esistenza, con Dio, la dimensione dell’azione di grazie non riguarda solo la forma di certe preghiere da fare, ma deve arrivare a impregnare l’essere stesso della persona. È ciò che chiede Paolo: «Siate eucaristici!» (Colossesi 3,15).
Pur così fondamentale, il ringraziamento è tutt’altro che facile! Dal punto di vista antropologico esso è linguaggio non spontaneo nel bambino. Il ringraziamento suppone infatti il senso dell’alterità, la messa in crisi del proprio narcisismo, la capacità di entrare in rapporto con un «tu»: solo a una persona, infatti, si dice «grazie»! È grato colui che ha messo a morte l’immagine di sé come di uno che «non deve niente a nessuno»; è grato colui che riconosce di non poter disporre a piacimento della realtà esterna e degli altri. Nel rapporto con il Signore la capacità eucaristica indica la maturità di fede del credente che riconosce che «tutto è grazia», che l’amore del Signore precede, accompagna e segue la propria vita. L’azione di grazie scaturisce in modo naturale dall’evento centrale della fede cristiana: il dono del Figlio Gesù Cristo che Dio Padre, nel suo immenso amore, ha fatto all’umanità (cfr. Giovanni 3,16). È il dono salvifico che suscita nell’uomo il ringraziamento e fa dell’eucaristia l’azione ecclesiale per eccellenza. «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie sempre e dovunque, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Gesù Cristo, nostro Signore.» Questa formulazione dei prefazi del Rituale Romano indica bene il perenne movimento del ringraziamento cristiano. E poiché l’eucaristia, in particolare la preghiera eucaristica, è il modello della preghiera cristiana, il cristiano è chiamato a fare della sua esistenza un’occasione di rendimento di grazie. Infatti, dice Paolo, «che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1 Corinti 4,7). Alla gratuità di Dio verso l’uomo risponde dunque il riconoscimento del dono e la riconoscenza, la gratitudine dell’uomo. Potremmo dire che anche il ringraziamento umano è dono di Dio: «Noi dobbiamo a Dio la gratitudine di avere la gratitudine», recita una preghiera della liturgia ebraica.
Il ringraziamento è dunque la modalità spirituale peculiare con cui il cristiano si rapporta al mondo, alle cose, agli altri. Ecco perché un gesto assolutamente vitale come il pasto quotidiano è sempre segnato da una preghiera di ringraziamento. Il ringraziamento a Dio al momento del pasto (la «preghiera della tavola») è una confessione di fede: essa esprime che sono dono di Dio tanto la vita quanto il senso della vita. La vita che ci viene trasmessa dal cibo, il senso della vita rappresentato dalla relazione che lega le persone riunite convivialmente per il pasto comune. Vita e senso della vita che nell’eucaristia sono sintetizzati nella persona del Cristo vivente che si dona come cibo di vita eterna ricreando le relazioni di comunione tra i membri dell’assemblea. Al dono della vita piena nel Figlio il cristiano risponde dunque ringraziando per essere stato creato e per il dono della fede. Si pensi alla tradizionale preghiera del mattino: «Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore. Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, e conservato in questa notte».
Ma soprattutto il cristiano risponde al dono di Dio facendo della propria vita un dono, un ringraziamento, un’eucaristia vivente. Davvero, la preghiera di ringraziamento non è solo risposta puntuale a eventi in cui si discerne la presenza e l’azione di Dio nella propria vita, ma è attitudine profonda di un’esistenza che apre la propria quotidiana trama alla trasfigurazione del Regno veniente. Fino a trasfigurare la morte in evento di nascita a vita nuova. Al momento del martirio l’ultima parola di Cipriano di Cartagine fu «Deo gratias»; Giovanni Crisostomo concluse la sua travagliata esistenza con le stesse parole di ringraziamento a Dio; Chiara di Assisi spirò dopo aver pregato: «Ti ringrazio, Signore, di avermi creata». La loro vita si è compiuta come un’eucaristia. Se dunque è vero che la preghiera di ringraziamento considera il passato, ciò che Dio ha fatto per noi, sicché essa è retrospettiva e nasce dalla memoria, è però altrettanto vero che essa apre al futuro, alla speranza, e si configura come la dimensione peculiare di vivere cristianamente il presente, lo spazio stesso della vita!
Enzo Bianchi
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