Prenditi un po' di tempo

Abbiamo tutto, forse troppo.Ma siamo felici? È proprio vero che per avere tutto che ruota attorno a noi abbiamo bisogno di un cellulare? O forse di qualcosa d'altro? E se è così, allora, che cosa? Per cosa esistiamo, soffriamo, ci affatichiamo ogni giorno?

Prenditi un po' di tempo

da Quaderni Cannibali

del 29 settembre 2009

Abbiamo tutto, forse troppo.

Ma siamo felici?

È proprio vero che per avere tutto

che ruota attorno a noi abbiamo

bisogno di un cellulare?

O forse di qualcosa d’altro?

E se è così, allora, che cosa?

Per cosa esistiamo, soffriamo,

ci affatichiamo ogni giorno?

 

 

Festival di Salisburgo, la grande kermesse della musica classica sinfonica e operistica. Evento internazionale, inviati speciali, pubblico sceltissimo. Il discorso di apertura è affidato ad un nome blasonato del teatro contemporaneo, Ionesco. Che così, a sorpresa, conclude il suo discorso. “Le parole amore e contemplazione oggi non sono neppure più ridicole, sono completamente abbandonate. L’idea stessa di metafisica, quando non accende collere, uscita sorrisi di compassione. La crisi è incominciata da molto tempo. Forse già a partire dal XVII secolo, la cultura ha affrettato il proprio decadimento. È diventata sempre più umanistica, invece di essere spiritualistica. Ci sono sorrisi di santi, di angeli e di arcangeli sui volti delle sculture che si trovano nelle cattedrali. Non sappiamo più guardarli. Gli uomini girano intorno in quella loro gabbia che è il pianeta, perché hanno dimenticato di guardare il cielo. Come vivere, come vivere bene, come possedere il mondo, come goderne, come rimpinzarci, dunque come produrre oggetti gradevoli, strumenti del nostro piacere, come godere continuamente senza tener conto degli altri, senza neanche porci il problema della loro felicità o infelicità, come industrializzare l’umanità fino alla saturazione. Ecco che cosa si sono proposto gli uomini e quello che si chiama umanesimo. Si tratta dell’abbandono dei valori spirituali o metafisici. Il problema del nostro destino, della nostra esistenza nell’universo, del valore o della precarietà delle condizioni esistenziali nelle quali viviamo, non è più stato preso in considerazione”.

La nostra cultura scettica ci ha inariditi. Non sappiamo più, come dice splendidamente Ionesco, ‘guardare il sorriso sui volti dei santi, degli angeli e degli arcangeli scolpiti nelle antiche cattedrali’. Giriamo come topi impazziti nella gabbia, ‘incapaci ai guardare il cielo’. Stiamo perdendo le grandi dimensioni dell’umano: il senso dell’amore, del mistero, della contemplazione. Triste.

 

Milano in contemplazione?

 

Poche mesi dopo il suo ingresso a Milano come vescovo, Carlo M. Martini, noto biblista, rivolse alla sua diocesi una ‘lettera’ dal titolo: ‘La dimensione contemplativa della vita’. L’argomento sorprese i milanesi. Una città presa tutta dalla febbre dei commerci e dell’industria, aperta a tutti i venti di novità, gettata a corpo perduto negli affari, invitata alla contemplazione?

“Vorrei dirvi – scriveva il nuovo vescovo - che ammiro l’impegno stressante per la costruzione della città, per la difesa e la diffusione del benessere, per il trionfo dell’ordine contro la minaccia sempre incombente del disordine e dello sfascio. Ma vorrei anche ricordare – ha proseguito Martini - che l’ansia della vita non è la legge suprema, non è una condanna inevitabile. Essa è vinta da un senso più profondo dell’essere dell’uomo, da un ritorno alle radici dell’esistenza. Questo senso dell’essere, questo ritorno alle radici ci permettono di guardare con più fermezza e serenità ai gravissimi problemi che la difesa e la promozione della convivenza civile ci propongono ogni giorno. Tuttavia vorrei approfondire ulteriormente il discorso alla luce della fede, esplorando le profondità della persona redenta da Cristo, mostrando gli orizzonti reali e meravigliosi su cui ci fa aprire gli occhi la riflessione sul mistero della preghiera (…). Penso alla disabitudine, presso la grande massa, della preghiera e delle pause contemplative. In questo la civiltà occidentale si distingue nettamente dalle civiltà dell’Oriente dove sono in onore la pratica e le tecniche contemplative e il gusto per la riflessione profonda”.

La nostra cultura, ha concluso il vescovo, è tutta tesa al ‘fare’, al ‘produrre’. Ma questo “genera, per contraccolpo, un bisogno indistinto di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo”. Sarebbe sbagliato, osserva ancora Martini, contrapporre azione e contemplazione. “Sia l’attivismo frenetico, sia certe forme di intendere la contemplazione possono rappresentare una ‘fuga’ dal reale. Occorrerà evitare le generiche contrapposizioni tra azione lotta, rivoluzione, da un lato, e contemplazione, silenzio, passività, dall’altro. Bisognerà dare uno specifico orientamento cristiano sia all’azione, sia alla contemplazione”.

 

Quei ragazzi stesi a terra

 

Nel suo ultimo libro, Verità e metodo, Gadamer è ritornato sull’argomento. “L’uomo, questo fenomeno frammentato e subordinato di tutto l’universo, è tuttavia capace, nonostante la sua misura esigua e finita, della pura contemplazione dell’universo”.

Contemplare l’universo e le sue bellezze, contemplare la vita, le gioie e le speranze degli uomini e delle donne d’oggi, contemplare le profondità del nostro cuore. Contemplare Dio e il suo amore, Cristo e la sua tenerezza, nel silenzio e nella preghiera.

Qualche tempo fa, in molti centri giovanili, era stato aperto un luogo silenzioso, lontano dal fracasso quotidiano. Si chiamava ‘il deserto’, il luogo privilegiato della preghiera e della contemplazione. Una moda? Oggi molti ‘deserti’ sono scomparsi. Eppure i giovani d’oggi sono sensibili a questa corda. Si portano dentro la nostalgia del deserto, della contemplazione, del silenzio, della preghiera. La sindrome del mistero.

Qualche anno fa mi trovavo in una casa di montagna per ferie. C’era pure un gruppo di ragazzi e ragazze. Prima di tornare in città organizzarono una giornata di ritiro. Ho visto ragazzi e ragazze passare ore e ore distesi sul pavimento di legno della cappella fin nelle ore piccole, le ore della discoteca, a pregare, riflettere, contemplare, nel silenzio della notte di montagna.

 

Silenzio, “lo spazio dello spirito”

 

“Lo spazio dello spirito, là dove possa aprire le ali, è il silenzio”, scriveva Antoine de Saint-Exsupéry. E Sergio Zavoli: “Chi distrugge il silenzio, distrugge una delle vie che conducono a Dio”. Bellissime espressioni che oggi vengono bellamente archiviate. Viviamo in città assordate da rumori, i decibel si sprecano. Non parlo solo delle discoteche. Ma è tutta la nostra vita che è avvelenata da rumori, frastuono, parole. Radio, tv, motorini assordanti che i giovani truccano perché facciano più frastuono. Si parla di ‘inquinamento acustico’. È significativo che un numero crescente di persone, intellettuali, capi aziende, ecc., credenti e non credenti, cerchino nelle ferie un monastero o un convento solitario per disinquinarsi nel silenzio. E le beauty-farm, isolate nel silenzio in parchi da favola, non sono l’equivalente laico, per miliardari stressati, dei monasteri a libera offerta? “L’uccisione del silenzio – ha scritto A. C. Jemolo – è stato il primo passo verso la morte di Dio”. Dio ha detto una Parola sola e l’ha detta in un silenzio eterno. E quando vuole affidare a un profeta un messaggio importante, va a cercarlo nel deserto o fra i dirupi di un monte. Anche per la spiritualità religiosa orientale, indù o buddhista, il silenzio è una strada per avvicinarsi a Dio. Ce lo dice il poeta indiano Vahira: “Siediti ai bordi dell’aurora, per te si leverà il sole. Siediti ai bordi della notte, per te scintilleranno le stelle. Siediti ai bordi del silenzio, Dio ti parlerà”.

 

Stupore e meraviglia. Diceva Chesterton…

 

Stupore, meraviglia, senso del mistero. Vi abbiamo già fatto cenno. Sembrano argomenti fuori corso in una società altamente razionalizzata, dove tutto è incasellato e sigillato. Razionalizzare è la parola d’ordine. Giusta, entro certi limiti. Infatti lo spirito non è razionalizzabile, ‘il vento soffia dove vuole’ dice la Scrittura.

Stupore e meraviglia oggi sono bandite, guardate con sospetto. Perfino i bambini hanno perso il senso dello stupore, non si meravigliano più di nulla. Viviamo in tempo di disincanto: cifre, diagrammi, grafici, previsioni sono il nostro pane quotidiano. E la società complessa in cui viviamo, esige la razionalizzazione per non finire nel caos. Il rischio è che questo stupore, questa capacità di meraviglia e senso del mistero, vivo ancora negli artisti, venga sterilizzato: perderemmo la nostra anima. “Il mondo non perirà certo per mancanza di ossigeno, ma per mancanza di meraviglia” diceva Chesterton, che non era un favoliere. Incapacità di cogliere e gustare le meraviglie del nostro pianeta o dell’arte.

Si parla oggi della ‘bellezza che salverà il mondo” come scrisse Dostoevskij. Urs von Balthasar, un grande teologo del nostro tempo, scrisse un’opera monumentale dal titolo Un’estetica religiosa, Dio come Bellezza: “Si può essere sicuri che chi è insensibile alla bellezza non è in grado di pregare e, tra poco, neppure di amare”. Infatti, l’innamoramento non è un mistero di meraviglia e di stupore? Carlo Carretto scriveva: “La prima cosa che mi ha dato coscienza dell’esistenza di Dio e in cui ho cercato di esprimere la mia fede è stata la meraviglia”.

 

L’amore. “Come fa Dio a non stancarsi…”

 

È la condizione decisiva per preparare il terreno adatto alla germinazione di Dio nel cuore dell’uomo. Dire di si all’amore che Dio ha per l’uomo, per me, nonostante tutto. “Dio è Colui che ha cominciato una volta e per sempre ad amare e che non è mai stanco di cominciare ad amare - osserva Bruno Forte. - Da dove nasce in Lui questo ‘coraggio’ di amare, tanto più sorprendente quanto più si pensa alla storia di ingiustizia, di peccato e di morte che è la storia del mondo? Come fa questo Dio della vita a non stancarsi dei nostri rifiuti e delle nostre fughe, ad avere ancora fiducia di uomini deboli, idolatri e sanguinari? Interrogativi che non avranno risposta se non si saprà contemplare il mistero della gratuità e della pura sorgività del Suo amore: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi” (1 Giovanni 4,10).

 

Carlo Fiore

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