«Parla, Signore, che il tuo servo ascolta» (1 Samuele 3,10): queste parole esprimono bene il fatto che l'ascolto, secondo la, rivelazione ebraico-cristiana, è l'atteggiamento fondamentale della preghiera...
del 01 gennaio 2002
«Parla, Signore, che il tuo servo ascolta» (1 Samuele 3,10): queste parole esprimono bene il fatto che l’ascolto, secondo la, rivelazione ebraico-cristiana, è l’atteggiamento fondamentale della preghiera. E contestano un nostro frequente atteggiamento che si vuole di preghiera ma che riduce al silenzio Dio per lasciar sfogare le nostre parole. Dunque la preghiera cristiana è anzitutto ascolto: essa infatti non è tanto espressione dell’umano desiderio di autotrascendimento, quanto piuttosto accoglienza di una presenza, relazione con un Altro che ci precede e ci fonda.‚Ä®Per la Bibbia, Dio non è definito in termini astratti di essenza, ma in termini relazionali e dialogici: egli è anzitutto colui che parla, e questo parlare originario di Dio fa del credente un chiamato ad ascoltare.
È emblematico il racconto dell’incontro di Dio con Mosè al roveto ardente (cfr. Esodo 3,1 e sgg.): Mosè si avvicina per vedere lo strano spettacolo del roveto che brucia senza consumarsi, ma Dio vede che si era avvicinato per vedere e lo chiama dal roveto interrompendo il suo avvicinarsi. Il regime della visione è quello dell’iniziativa umana che porta l’uomo a ridurre la distanza da Dio, è il regime del protagonismo umano, è scalata dell’uomo verso Dio, invece il Dio che si rivela fa entrare Mosè nel regime dell’ascolto e conserva la distanza tra Dio e uomo che non può essere valicata affinché possa esservi relazione: «Non avvicinarti!» (Esodo 3,5). E ciò che era uno strano spettacolo diviene per Mosè presenza familiare: «lo sono il Dio di tuo padre» (Esodo 3,6).
A Prometeo che sale l’Olimpo per rubare il fuoco si oppone Mosè che si ferma di fronte al fuoco divino e ascolta la Parola. A partire da quell’ascolto originario e generante, la vita e la preghiera di Mosè saranno due aspetti inscindibili dell’unica responsabilità di realizzare la parola ascoltata.‚Ä®Nell’ascolto Dio si rivela a noi come presenza antecedente ogni nostro sforzo di comprenderla e di coglierla. Dunque il vero orante è colui che ascolta. Per questo «ascoltare è meglio dei sacrifici» (1 Samuele 15,22), è cioè meglio di ogni altro rapporto tra Dio e uomo che si fondi sul fragile fondamento dell’iniziativa umana. Se la preghiera è un dialogo che esprime la relazione tra Dio e l’uomo, l’ascolto è ciò che immette l’uomo nella relazione, nell’alleanza, nella reciproca appartenenza: «Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Geremia 7,23). Capiamo allora perché tutta la Scrittura sia attraversata dal comando dell’ascolto: è grazie all’ascolto che noi entriamo nella vita di Dio, anzi, consentiamo a Dio di entrare nella nostra vita.
Il grande comando dello Shema’ Israel (Deuteronomio 6,4 e sgg.), confermato da Gesù come centrale nelle Scritture (Marco 12,28-30), svela che dall’ascolto («Ascolta, Israele») nasce la conoscenza di Dio («Il Signore è uno») e dalla conoscenza l’amore («amerai il Signore»).‚Ä®L’ascolto perciò è una matrice generante, è la radice della preghiera e della vita in relazione con il Signore, è il momento aurorale della fede (fides ex auditu: Romani 10,17), e dunque anche dell’amore e della speranza. L’ascolto è generante: noi nasciamo dall’ascolto. È l’ascolto che immette nella relazione di filialità con il Padre, e non a caso il Nuovo Testamento indica che è Gesù, il Figlio, Parola fatta carne, che deve essere ascoltato: «Ascoltate lui!» dice la voce dalla nube sul monte della Trasfigurazione indicando Gesù (Marco 9,7). Ascoltando il Figlio noi entriamo nella relazione con Dio e possiamo nella fede rivolgerci a Lui dicendo: «Abba» (Romani 8,15; Galati 4,6), «Padre nostro» (Matteo 6,9). Ascoltando il Figlio veniamo generati a figli. Con l’ascolto la Parola efficace e lo Spirito ricreatore di Dio penetrano nel credente divenendo in lui principio di trasfigurazione, di conformazione al Cristo.‚Ä®
Ecco perché essenziale al credente è avere «Un cuore che ascolta» (1 Re 3,9). È il cuore che ascolta attraverso l’orecchio! Cioè l’orecchio non è semplicemente, secondo la Bibbia, l’organo dell’udito, ma la sede della conoscenza, dell’intelletto, dunque si trova in rapporto strettissimo con il cuore, il centro unificante che abbraccia la sfera affettiva, razionale e volitiva della persona. Ascoltare significa pertanto avere «sapienza e intelligenza» (1 Re 3,12), discernimento («Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese», Apocalisse 2,7). Se l’ascolto è così centrale nella vita di fede, esso allora necessita di vigilanza: occorre fare attenzione a ciò che si ascolta (Marco 4,24), a chi si ascolta (Geremia 23,16; Matteo 24,4-6.23; 2 Timoteo 4,1-4), a come si ascolta (Luca 8,18). Occorre cioè dare un primato alla Parola sulle parole, alla Parola di Dio sulle molteplici parole umane, e occorre ascoltare con «cuore buono e largo» (Luca 8,15). Come ascoltare la Parola? La spiegazione della parabola del seminatore (Marco 4,13-20; Luca 8,11-15) ce lo indica. Occorre saper interiorizzare, altrimenti la Parola resta inefficace e non produce il frutto della fede (Marco 4,15; Luca 8,12); occorre dare tempo all’ascolto, occorre perseverare in esso, altrimenti la Parola resta inefficace e non produce il frutto della saldezza, della fermezza e della profondità della fede personale (Marco 4,16-17; Luca 8,13); occorre lottare contro le tentazioni, contro le altre «parole» e i «messaggi» seducenti della mondanità, altrimenti la Parola viene soffocata, resta infeconda e non perviene a portare il frutto della maturità di fede del credente (Marco 4,18-19; Luca 8,14). E se non vi sarà questo ascolto non vi sarà neppure preghiera!
Enzo Bianchi
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