Il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo si è espresso in modo critico verso l'ora di religione. «Credo che l'insegnamento della religione nelle scuole così come è concepito oggi non abbia più molto senso. Sarebbe meglio adattare l'ora di religione trasformandola in un corso di storia delle religioni o di etica».
del 01 ottobre 2012
Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo si è espresso in modo critico verso l’ora di religione. «Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole così come è concepito oggi non abbia più molto senso. Nelle nostre classi il numero degli studenti stranieri e, spesso, non di religione cattolica tocca il 30%. Sarebbe meglio adattare l’ora di religione trasformandola in un corso di storia delle religioni o di etica». Secondo l’ultimo dossier sull’immigrazione della Caritas, informa tgcom24, tra i 700mila alunni figli di genitori stranieri, solo il venti per cento degli studenti stranieri è di religione cattolica. Il risultato è che, per la prima volta dal 1993, cioè dalla data della prima rilevazione, il numero degli alunni che non partecipano all’ora di religione ha superato il dieci per cento.
Le parole del ministro hanno provocato la reazione del sito web CulturaCattolica.it, che ha invitato il ministro ad approfondire «le ragioni che giustificano la presenza dell’IRC nella scuola dello Stato» e a rileggere gli articoli del Concordato che lo istituiscono. Riportando inoltre le significative parole scritte dal cardinale Carlo Maria Martini nella lettera pastorale «Andiamo a scuola» del 1985, pubblicata in occasione della scelta dell’ora di religione cattolica, dopo la approvazione della riforma del Concordato. E quelle pronunciate da Paolo Mieli, in occasione del convegno «Ora di religione e riforma della scuola» tenutosi il 7 maggio 2002.
Aveva scritto il cardinale Martini: «Perché e come entra l’insegnamento della religione “nel quadro delle finalità della scuola”? Entra per svolgere un servizio alla scuola e alle sue finalità. Abbiamo visto che una finalità della scuola è quella di porre il problema del rapporto dei dati scientifici e storici con il significato che essi hanno per la coscienza e la libertà. Orbene la coscienza e la libertà chiamano in causa i beni ultimi, universali, fondamentali dell’esistenza. Quello che, poi, la coscienza e la libertà decideranno circa questi beni, è un compito delle singole persone. Ma è compito della scuola porre correttamente il problema. L’insegnamento della religione, che riguarda appunto le questioni decisive, i fini ultimi della vita, aiuta la scuola a svolgere questo compito. L’aiuta entrando in dialogo con le altre materie di insegnamento, ma conservando una propria specificità, che non può essere confusa con gli scopi delle altre materie. […] Presentando il cattolicesimo nella scuola, la Chiesa aiuta gli alunni italiani a capire la cultura in cui vivono, perché, come dice anche il Concordato “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” (art. 9, par. 2)».
Aveva detto Paolo Mieli: «Io non sono cattolico, la mia famiglia è di origine ebraica e quando ero a scuola, trentacinque anni fa, ero esonerato dall’ora di religione. […] Da quel momento [l’incontro con un insegnante di religione cattolica capace], per i successivi cinque anni (i due anni del ginnasio e i tre anni del liceo), io rimasi, per scelta, a tutte le lezioni di religione e questo dialogo, a volte puntuto a volte condotto in spirito di franchezza e onestà, non un dialogo compiacente, è stato un momento fondamentale della mia vita. Io ero, appunto, un non credente che invitato a partecipare a quell’ora la sceglieva volontariamente, a differenza di tutte le altre ore di scuola. Le altre ore di scuola le facevo perché ero tenuto a farle, perché la famiglia mi obbligava a farle, perché dovevo crescere, dovevo diplomarmi, dovevo prendere la maturità e poi laurearmi. Quell’ora, invece, me la sceglievo, per cui nella storia della mia giovinezza l’ora di religione è l’ora della scelta, l’ora della libertà, l’ora del confronto, l’ora della crescita».
Andrea Tornielli
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